Nel mondo libero non traballa soltanto il governo britannico di Theresa May. Anche quello israeliano di Benjamin Netanyahu inizia a barcollare a causa di alcune dimissioni autorevoli. Le ragioni sono naturalmente diverse. Se il motivo di stress, per la May, si chiama Brexit, ciò che agita il sonno di Netanyahu si chiama invece Hamas.
Il ministro della difesa israeliano, Avigdor Lieberman, si è dimesso in polemica con il premier, reo, a suo dire, di aver promosso un cessate il fuoco con Hamas che appare soprattutto come una resa al terrorismo. Lieberman ha estromesso, oltre a se stesso, anche il proprio partito dall’esecutivo di Bibi Netanyahu, ponendo la maggioranza di governo in serio pericolo. Dopo i seguaci del ministro dimissionario, anche i protagonisti di Focolare Ebraico, un altro partito della coalizione governativa, sta abbandonando il premier Netanyahu. A questo punto, la prospettiva di elezioni anticipate è sempre più vicina. Ricordiamo che l’attuale governo israeliano si sorregge su una coalizione di partiti alleati al Likud, il principale schieramento conservatore dello Stato ebraico che ha espresso storicamente numerosi primi ministri, fra i quali l’ultimo, Benjamin Netanyahu. L’attuale premier fa parte di quella schiera di uomini politici israeliani, del passato e del presente, con più meriti che demeriti che nessuno o nulla potrà cambiare. Ma la presente gestione del conflitto con Hamas, che tiene in pugno la Striscia di Gaza, non convince tutta l’opinione pubblica israeliana e le dimissioni di Avigdor Lieberman, probabilmente, rappresentano un sentimento al quale non tutti i cittadini d’Israele sono estranei. Lieberman viene descritto come un estremista di destra abbastanza minoritario nel Paese e ci sarà pure del vero, anche se la vulgata internazionale politically correct non è sempre affidabile.
In ogni caso, il popolo israeliano è sempre più stanco e inquieto in merito alla situazione di Gaza, territorio da dove i terroristi di Hamas, chiamiamoli pure con il loro nome, non cessano di attaccare Israele, colpendo per lo più civili. L’ultimo cessate il fuoco, quello che ha spinto Lieberman a lasciare il Ministero della difesa, è entrato in vigore dopo il lancio di centinaia di missili in poche ore da Hamas sulle città israeliane più vicine al confine con la Striscia. Israele è sotto attacco da diversi giorni, sebbene la cosa non abbia destato troppa attenzione da parte dell’Europa e delle Nazioni Unite. Le difese israeliane hanno intercettato diversi missili, limitando i danni, e colpito alcuni obiettivi di Hamas a Gaza, ma forse tutto ciò, se serve nell’immediato a contenere la portata degli attacchi, non è più sufficiente a far sì che i terroristi della Striscia non possano nuocere al territorio israeliano per un tempo prolungato. Per dirla in parole molto semplici, periodicamente Hamas si calma per un po’ e poi riprende a lanciare missili, spesso violando tregue e cessate il fuoco. È necessario impedire ai signori di Gaza di ritrovarsi, ogni due o tre mesi, nelle condizioni di poter ripetere i lanci di missili. Hamas deve essere resa innocua in maniera definitiva. Non si tratta di radere al suolo la Striscia con tutti i suoi abitanti, civili e terroristi, ma diventa sempre più ineludibile una reazione dura, e duratura, da parte di Israele. La politica, anche a Gerusalemme e Tel Aviv, è fatta di tanti “stop and go” e deve tenere conto di equilibri a volte delicati. Per esempio, il Governo Netanyahu ha instaurato nuove relazioni, assai più distese rispetto al passato, con i Paesi del Golfo Persico e non sono pessimi i rapporti con l’Egitto di Al Sisi, che peraltro sta mediando fra Hamas e lo Stato ebraico. Ma se i padroni di Gaza continueranno a rivelarsi, per così dire, correggibili solo con la forza e l’opinione pubblica israeliana chiederà una reazione definitiva, nessun premier, né Bibi Netanyahu, né qualche suo eventuale successore, potrà tirarsi indietro a lungo.