Messaggio da Oltremanica a poche ore dall’annuncio dell’accordo raggiunto tra Regno Unito e Unione europea: Boris è un ottimo giocatore di poker. Poche parole che riassumono l’ultima fase di trattative sulla travagliata saga Brexit: quattro anni di scontri, mezzi passi avanti e tanti passi indietro, governi pericolanti e leadership da consolidare, e una pandemia a rendere le cose ancora più complicate. Il divorzio tra Londra e Bruxelles avrebbe dovuto modificare i futuri equilibri politici nel Vecchio Continente, ma nemmeno il tempo di vedere concluse le pratiche che gli scenari sono mutati già da diversi mesi, da quando a fine febbraio il Covid-19 ha fatto irruzione a queste latitudini. Il 2020 però si chiude con la certezza maturata nel dicembre di un anno fa, con la valanga di voti raccolti dal Partito conservatore che hanno rimarcato la volontà britannica di procedere spediti verso la separazione: Get Brexit done.
Un primo agreement sostenuto dalla larga maggioranza a Westminster, l’inizio del cosiddetto periodo di transizione fino 31 dicembre, deal or not deal. Eppure, qualcuno era ancora convinto che alla fine Brexit non si sarebbe materializzata, come si può dedurre da alcuni commenti che hanno accompagnato la notizia che le due parti erano arrivate a sbrogliare il bandolo della matassa alla vigilia dal magro Natale 2020, adottando in certi casi atteggiamenti fanciulleschi: cattivi albionici che hanno chiuso la porta agli universitari in Erasmus e sinceri auguri che la Scozia diventi indipendente per tornare a far parte della famiglia europea, dimenticandosi dell’eventuale contraccolpo iberico con le beghe tra Madrid e la Catalogna.
A onor di cronaca, nell’elaboratissimo testo partorito nei frenetici giorni di contrattazione si incontrano riferimenti come questo: “Peaceful relations based on cooperation, respectful of the Parties’ autonomy and sovereignty“. Il riassunto di uno stato d’animo che ha caratterizzato i tanti anni di euroscetticismo britannico, sin dal 1973, l’attimo in cui pareva destinato a sparire con l’ingresso del regno nell’allora Comunità economica europea. Siamo due entità diverse, specie da quando il Trattato di Maastricht ha posto definitivamente le basi per un’unione politica ed economica: lavoriamo assieme, ma non siamo fatti per condividere gli stessi uffici. Chi immaginava il contrario è rimasto a lungo abbagliato dalla parentesi della terza via blairiana. Tranquilli: si potrà ancora andare in vacanza nel ridente Kent, nella frenetica Londra e nelle selvagge Highlands senza munirsi di passaporto.
Nello stesso messaggio che introduceva il concetto di poker player, si leggeva che Boris ha commesso tanti errori sulla gestione del coronavirus, “like everyone else“. Gestire una complicata partita anziché due potrebbe dunque ridargli lo smalto che sta faticando a recuperare dalla primavera per infondere fiducia nel popolo che naviga tra restringimenti e varianti epidemiologiche: ho risolto Brexit come promesso, assieme risolveremo anche questa. Il Regno Unito ha bisogno di ricompattarsi dalle ferite delle battaglie tra Leavers e Remainers che hanno dato risalto soprattutto alle correnti più estreme, di risollevarsi dalle tribolazioni economiche provocate dai lockdown, di ricucire una società in cui la working class – che tanta fiducia ha riposto in Johnson, tradendo Corbyn e i suoi adepti – corre il concreto rischio di pagare il prezzo più caro dall’emergenza sanitaria, specie nelle generazioni più giovani che si vedono chiudere le opportunità delle carriere scolastiche e lavorative, confidando nelle comode e perverse braccia del nanny state.
Serve un’iniezione di fiducia. I progressi scientifici possono così rappresentare l’ideale punto di ripartenza. Circa 10 mila tra medici e volontari vengono reclutati in queste ore per somministrare almeno un milione di dosi di vaccino alle fasce più esposte della popolazione entro la metà di gennaio. Il siero studiato da Oxford/AstraZeneca è in rampa di lancio per ricevere l’approvazione dalla Medicines and Healthcare products Regulatory Agency (MHRA): ha un’efficienza che varia dal 70 al 90 per cento a seconda del dosaggio, con un costo di 2,23 sterline per dose e può essere conservato ad una temperatura compresa tra i 2 e -8 gradi. A ciò si aggiungono le potenzialità del farmaco sperimentato sempre dal connubio Oxford University e AstraZeneca, con l’ulteriore contributo del University College London Hospital, capace di garantire una protezione immediata e di fornire “un’aggiunta entusiasmante all’arsenale di armi che si sta sviluppando” contro Covid-19, come ha dichiarato la virologa del centro universitario Catherine Houlihan. Sarebbe un fiore all’occhiello per il mondo scientifico britannico, una Union Jack da sventolare con orgoglio e un’attrattiva per i ricercatori stranieri, perché c’è molto di più del programma Erasmus.
Sta arrivando il 2021, primo anno post Brexit: è il momento di tornare a guardare avanti.