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Hollywood: l’industria più intollerante al mondo. Ma ci pensa Roseanne a dar voce al popolo di Trump

Da quando le repliche degli episodi della Famiglia Bradford non si trovano neppure a pagarle oro, e Bill Clinton ha vinto le elezioni nel ’92, l’industria dell’intrattenimento televisiva americana ha virato verso sinistra, privilegiando la produzione di film e di tv serie distinte da temi, lessici, valori e mind-set cari al mondo e alle sensibilità progressiste, facendo scomparire dal rivelamento dei rating l’audience conservatrice.

Dall’era Clinton in poi, l’offerta mediatica ha assecondato la narrazione di una famiglia americana sempre più aperta al cultural and demographic diversity, impegnata nelle battaglie per i diritti civili, e soprattutto sempre più benestante. Il fatto che molte famiglie, nella vita non fiction, non riescano a pagare l’assicurazione medica, che una volta perso il lavoro, i figli tornano a vivere con i genitori, che molte aziende hanno chiuso o delocalizzato in Messico, non rientra nella narrazione mediatica e hollywoodiana. Il mondo e la società sono più belli e armoniosi quando sono raccontati con il filtro e l’afflato ideologico e perbenista di Obama e di Hillary Clinton. Ma i “deplorabili” della middle class americana hanno trovato il loro riscatto sul network ABC. Ci ha pensato una sit-com, Roseanne Reboot, (il revival di Pappa e Ciccia) a riportare la classe media conservatrice sul piccolo schermo. Ed è stato anche un successo. La sitcom, interpretata dall’attrice Roseanne Barr, è tornata nei palinsesti il 27 marzo dopo uno stop di due decenni portandosi a casa 18 milioni di spettatori. Tratto distintivo della serie è che il personaggio interpretato dalla Barr è un supporter di Trump e delle sue policy.

Roseanne Barr ha portato la voce e le istanze dei lavoratori e delle famiglie della classe media sul piccolo schermo; e lo ha fatto senza denigrare gli altri personaggi che interpretavano ruoli progressisti ascrivibili al mind-set dell’elettorato di Hillary Clinton. In Roseanne Reboot, la famiglia media che vota Trump esce dallo schermo non come un “basket di deplorabili” bigotti, rozzi, intolleranti, ma bensì come lavoratori e cittadini con aspirazioni e comportamenti nella norma.

In un ambiente e filone culturale mediatico dominato dal politically and culturally correct, in cui se hai solo amici wasp e eterosessuali che non sbandierano il loro impegno civile radical chic sui social, e se difendi chi il lavoro lo crea invece dei lavoratori, portare la normalità della famiglia media in tv è un atto innovativo.

Il vero conservatore discriminatore deplorevole è proprio Hollywood. Nonostante le produzioni con un forte imprinting moralista che esaltano i valori della diversità e dell’inclusione, l’industria dell’entertainment hollywoodiana è tra le più intolleranti al mondo.

Lo spazio per produzioni non il linea con il progressismo e il perbenismo che sfidano il dogma liberale di sinistra sui temi come immigrazione, global warming, welfare, politica estera, tassazione, l’intrusione dello Stato nella vita delle perone e delle aziende, è solo un’eccezione e non la regola.

Eppure, l’appetito per argomenti, punti di vista, valori liberisti non vien mangiando. Il talk radio è dominato dalle emittenti conservatrici; Fox News ha asfaltato la concorrenza nel cable news; film come American Sniper e La Passione di Cristo hanno incassato talmente tanto da ridicolizzare i pipponi di Al Gore sul global warming; i winner della New York Times best seller book list sono di destra. Morale della favola: gli ospiti ci sono, e non aspettano altro di essere invitati.

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la grande bugia verde