Martedì sera, Tony Bobulinski, l’ex partner in affari di Hunter e Jim Biden, ha rilasciato un’intervista a Tucker Carlson di Fox News dalla quale emerge come l’intera famiglia Biden, Joe incluso, fosse in affari col Partito Comunista Cinese. Oltre che con dozzine di altri asset in giro per il mondo, inclusi Paesi quali Russia, Ucraina, e Kazakistan. E questo già quando Joe era vicepresidente degli Stati Uniti.
Bobulinski appare molto credibile, ma soprattutto porta con sé materiale, email e messaggi di testo, a comprova delle sue affermazioni.
Stando a quanto emerso nell’intervista, James Gilliard contattò Bobulinski per includere la sua compagnia SinoHawk in una joint venture con la compagnia energetica cinese CEFC e “una della famiglie più importanti degli Stati Uniti”. CEFC era una compagnia, ora defunta, con legami diretti col Partito Comunista Cinese. Questo avveniva il 24 dicembre 2015, quando Biden era ancora vicepresidente in carica.
Dell’affare facevano parte lo stesso Gilliard, Rob Walker, Hunter Biden (figlio) e Jim Biden (fratello). Quest’ultimo si descrive comunemente come un “consigliere politico” di suo fratello Joe. Lo fa anche nella sua proposta originale alla CEFC.
In una sua email a Bobulinski, Gilliard incluse dettagli sulle percentuali che sarebbero toccate a ciascuno. L’equity sarebbe stata suddivisa in questo modo: 20 per cento Hunter Biden, 20 per cento Jim Biden, 20 James Gilliard, 20 Rob Walker e 20 Bobulinski. Bobulinski sostiene che la metà del 20 per cento destinato a Jim Biden fosse in realtà per Joe. Questo collima con una delle email del laptop di Hunter Biden: “il 10 per cento è per The Big Guy“.
Rob Walker è un socio di Rosemont Seneca, una società parte di Rosemont Capital, una holding che ha negoziato affari con governi in tutto il mondo, legata alla famiglia dell’ex segretario di Stato di Obama John Kerry e allo stesso Biden. Un altro partner in Rosemont Seneca era Devon Archer, ex socio d’affari di Hunter Biden, ora in prigione per un’altra truffa finanziaria, che sta collaborando con l’FBI.
Parte delle email di Hunter Biden provengono da un laptop di Archer. Quindi, le informazioni che vedete emergere pubblicamente sulla vicenda arrivano al momento da tre fonti: il laptop di Hunter Biden, Devon Archer e Tony Bobulinski.
Nel 2017, Bobulinski incontrò Joe Biden, Hunter Biden e Jim Biden in un albergo di Los Angeles. L’incontro era stato organizzato da Gilliard e serviva a far conoscere Bobulinski a Joe perché l’ex vicepresidente potesse decidere se poteva far parte dell’affare o no.
L’affare, lo ripetiamo, era SinoHawk, la compagnia energetica di Bobulinski che i Biden volevano includere in joint venture con la cinese CEFC. Durante l’incontro Hunter Biden presentò esplicitamente Bobulinski al padre Joe (che ha sempre negato, anche di recente, di essersi mai interessato agli affari del figlio) come un potenziale socio per gli affari con la Cina.
In un successivo incontro, Jim Biden descrisse a Bobulinski un mucchio di altri maneggi economici e politici della famiglia Biden. Bobulinski chiese se non avevano paura che tutta questa roba potesse venir fuori e risultare compromettente. Jim Biden rise e rispose: “Plausible deniability”.
Per partecipare all’affare, Bobulinski chiedeva che una “proper governance” venisse applicata agli affari della compagnia. Hunter Biden, in un messaggio di testo, gli rispose che “my Chairman” aveva posto il veto su questo. Rob Walker, in un secondo messaggio di testo, rivela a Bobulinski che il “Chairman” di cui Hunter parla è suo padre Joe. Joe Biden non accettava la “proper governance” richiesta da Bobulinski.
Bobulinski si ritirò dall’affare dopo che venne a sapere nel 2017 che CEFC stava pensando di acquisire parte di Rosneft, una società petrolifera russa sottoposta a sanzioni da parte del governo Usa. Poco dopo, al numero tre di CEFC, tale Zheng, fu negato il visto per entrare negli Stati Uniti. Nel 2018, CEFC fece bancarotta e il suo direttore, Ye Jianming, fu preso in custodia dalle autorità cinesi. Resta tuttora introvabile.
Hunter Biden rivelò a Bobulinski che stava agendo come avvocato personale di Ye negli Stati Uniti. In una intercettazione telefonica, Hunter Biden dice anche di aver rappresentato come avvocato un altro dirigente di CFEC, Patrick Ho, messo sotto sorveglianza dall’FBI per spionaggio, definendolo “il fottuto capo delle spie della Cina”.
Bobulinski è a conoscenza non solo dell’affare con la Cina, ma di numerosi altri affari che i Biden concludevano in giro per il mondo facendo leva sul loro cognome e sulla posizione di Joe alla Casa Bianca.
Hunter mancò ad un incontro d’affari con Bobulinski perché si doveva incontrare con “Mykola” (Mykola Ziochevsky, il proprietario di Burisma) riguardo “l’affare Kazako”. Joe era ben al corrente di tutti questi affari. Ripetiamo: un messaggio di testo a Bobulisnki conferma che Hunter chiamava Joe “my Chairman”.
Infine, a Fox News Bobulinski ha rivelato che, ironicamente, l’unico motivo per cui ha deciso di raccontare tutta la storia è che i Biden, i media, e il Partito democratico, continuavano a sostenere pubblicamente che l’intera storia fosse una campagna di disinformazione russa. Cosa che, da veterano della Marina Militare con una lunga tradizione familiare alle spalle, Bobulinski trovava ingiuriosa. Ha fatto ascoltare la registrazione di una conversazione telefonica con Rob Walker in cui chiede ai Biden di ritrattare, o minaccia di rendere tutto quello che sa pubblico. Walker gli raccomanda di tenere la bocca chiusa, oppure: “… ci seppellirai tutti…”.
P.S.
Si noti che Tony Bobulinski è un testimone infinitamente più credibile di uno qualunque dei personaggi che hanno testimoniato nell’impeachment di Trump. E che le prove che Bobulinski porta, come tutte le altre che escono dai laptop di Hunter Biden e di Devon Archer, costruiscono una storia infinitamente più credibile del Russiagate, il caso montato sulla base del fraudolento Dossier Steele, commissionato e pagato dalla Campagna Clinton e usato dall’FBI come architrave della sua indagine di controintelligence contro la Campagna Trump.
I rapporti tra la famiglia Biden e i cinesi, gli ucraini, e i russi, appaiono infinitamente più sospetti e compromettenti della teoria, che secondo il procuratore speciale Mueller “non siamo riusciti a provare”, secondo la quale Trump fosse un “burattino” di Putin che ha vinto le elezioni grazie all’aiuto di Mosca. Teoria con la quale gli stessi media e social media che oggi censurano gli Hunter Files ci hanno ammorbato per quattro anni, e che a tutt’oggi politici e media sulle due sponde dell’Atlantico continuano a ripetere come se fosse vera.
È questa la “normalità” a cui gli elettori americani “moderati” vorranno tornare? Staremo a vedere.