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I danni del pauperismo oggi imperante con 5 Stelle e sinistra cattolica. Draghi farà da argine?

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L’invidia sociale è un fenomeno comune se si guarda alla storia del genere umano. In fondo è del tutto naturale che chi occupa posizioni inferiori provi invidia per coloro che stanno sopra. Altrettanto normale che il risentimento riguardi soprattutto il reddito: se il proprio è basso si tende inevitabilmente a provare un sentimento di frustrazione notando che qualcuno guadagna di più.

Alzi la mano chi non ha mai provato invidia, per esempio, nei confronti di un compagno di scuola più dotato che otteneva voti migliori studiando meno, o per un collega che riesce a svolgere mansioni analoghe alle nostre con minore fatica e risultati più efficaci.

Qualora venga contenuto entro limiti fisiologici, tale fenomeno può essere uno stimolo per la crescita e rappresentare un incentivo alla concorrenza, pilastro fondamentale di ogni società che intenda essere non solo democratica, ma anche liberale.

Non sono ovviamente d’accordo coloro che vorrebbero imporre l’eguaglianza per legge. Ignorando il fatto che si tratta di un concetto non solo astratto, ma pure pericoloso ove si rammenti che gli esseri umani non nascono affatto eguali, e che le differenze tra loro possono – se sfruttate adeguatamente – costituire un fattore di ricchezza per tutti.

Quanto sta avvenendo da parecchio tempo nel nostro Paese, tuttavia, causa parecchie perplessità (e non credo di essere il solo ad averle). Senza dubbio è giusto penalizzare i redditi alti – o addirittura quelli medi – quando non sono il frutto di meriti reali. Non mi piace usare il termine “casta” perché è ormai diventato una sorta di mantra inutile e ripetitivo. Ma in questo caso lo utilizzo per farmi capire meglio.

Dunque, si colpisca pure la “casta” cercando di eliminare sprechi e abusi, e puntando a recidere il cordone ombelicale che lega tanti incarichi manageriali al mondo politico. Non si dimentichi però che lo stipendio deve per forza essere commisurato al grado di complessità del lavoro svolto e al livello di responsabilità che esso comporta.

Altrimenti l’avrà vinta, ancora una volta, la mentalità sindacale che già tanti danni ha causato nel nostro Paese. Tutti eguali? Todos caballeros? Che Dio ce ne scampi. Si è tentata l’operazione nel ’68 e pure in decenni successivi, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

E non si pensi che il mio sia un discorso puramente astratto. Per restare in un ambito che conosco bene, quello universitario, la tanto strombazzata riforma Gelmini (che in realtà dovrebbe chiamarsi riforma Berlinguer) era partita con l’intento di rendere gli atenei più efficienti e manageriali.

Stiamo invece assistendo in molti casi a una vera e propria “presa del potere” da parte del personale amministrativo a scapito dei docenti, con la moltiplicazione insensata di regole e cavilli degni della burocrazia borbonica. Tutto ciò scordando il fatto che le università non sono fabbriche di biscotti o di automobili. La loro “ragione sociale” consiste in insegnamento e ricerca scientifica, con l’apparato amministrativo che svolge (o dovrebbe farlo) una funzione di supporto.

La retribuzione, in questo caso e in tutti gli altri, dev’essere commisurata alla natura delle mansioni, senza indulgere a giacobine pretese di eguaglianza. Eppure, come ho detto in precedenza, la sensazione è che il giacobinismo la faccia sempre da padrone.

Una filosofia di tipo pauperista è stata praticata, con pochi ostacoli, dal governo Conte con il supporto essenziale del Movimento 5 Stelle. E ha contribuito pure una parte del mondo cattolico – vicina al Pd – che con il pensiero liberale non ha dimestichezza e nemmeno intende acquisirla. Non è un caso che si citi talvolta Giorgio La Pira, uomo stimabilissimo e di grande spessore morale, ma con idee non certo consone al tempo che stiamo vivendo.

Non si è ancora capito, a tale proposito, come si muoveranno realmente Mario Draghi e il suo governo. Certo preoccupa la grande eterogeneità delle forze politiche che lo compongono. La speranza che l’esperienza accumulata dal premier alla Bce segni un punto di svolta è però contraddetta dalla tendenze pauperiste di molti personaggi che in questo governo hanno ruoli fondamentali.

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