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I giudici polacchi hanno ribadito l’ovvio, come quelli tedeschi e italiani: la sovranità è (ancora) statale e non Ue

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La notizia della sentenza con la quale la Corte costituzionale polacca sembrerebbe avere sancito la supremazia del diritto nazionale su quello europeo ha suscitato moltissimi commenti. La maggior parte delle osservazioni però mi è apparsa così poco pertinente da indurmi a pensare che in realtà il desiderio di molti fosse più quello di brandire, ancora una volta, il vessillo dei buoni e giusti nella perenne crociata contro i cattivi e malvagi, che quello di comprendere come stiano realmente le questioni sottese alle decisione dei giudici polacchi.

Prima di esporre il mio punto di vista su ciò che mi è stato possibile conoscere della citata sentenza mi appare necessario chiarire al lettore alcune premesse che ritengo utili per contestualizzare correttamente ciò che dirò in seguito. Vorrei evitare, cioè, di essere catalogato fra i populisti nazionalisti nostrani o fra quelli che imperversano in giro per il Continente. Non già perché soffrirei per lo stigma di reprobo che i buoni e giusti mi affibbierebbero all’istante, né perché mi mancherebbe la forza di tenere testa all’esercito del pensiero unico, quanto perché per formazione e convinzione maturate nel tempo non nutro avversione pregiudiziale nei confronti della Unione europea.

Comincio allora col dire subito che ho profonda consapevolezza del fatto che l’Unione europa nasce da una esigenza ineludibile di pace fra nazioni che si sono fatte la guerra per decenni. Riferendosi alla Seconda Guerra Mondiale Helmut Kohl nel 2012 scrisse: “Per coloro che non hanno vissuto questa tragedia e che di fronte alla crisi si chiedono quali benefici possa apportare l’unità d’Europa, la risposta – nonostante una pace senza precedenti che dura da più di sessantacinque anni e nonostante i problemi e le difficoltà che dovremo ancora superare – si riassume in una sola parola: pace”.  Condivido senza riserve la valutazione dell’ex Cancelliere tedesco, quanto meno con riguardo al punto di vista dei Paesi fondatori della Comunità europea. Francia e Germania non avrebbero altre possibilità di convivere se non organizzando un mercato e un sistema istituzionale unici che consentano loro di rinunciare alle rispettive rivendicazioni nazionaliste. Per comprendere appieno questa necessità basterebbe leggere anche “Le conseguenze economiche della pace” di John Maynard Keynes.

Aggiungo di avere piena consapevolezza che l’adesione dell’Italia all’Unione europea abbia rappresentato la salvezza del Paese. Fuori dall’Europa per l’Italia non ci sarebbe stata speranza: le culture politiche dominanti nel Bel Paese l’avrebbero fatta piombare in una situazione ancora più deleteria di quella in cui versa adesso.

Lo capì benissimo Margaret Thatcher quando scrisse “Se non hai alcuna vera fiducia nel sistema o nei leader politici del tuo Paese, sei portato a essere più tollerante nei confronti degli stranieri di manifesta intelligenza, abilità e integrità come Delors quando ti vengono a spiegare come gestire i tuoi affari. O, per dirla più schiettamente, se fossi un italiano anch’io potrei preferii che le leggi mi venissero da Bruxelles”.

Possiamo dire, dunque, che l’Europa anche per un italiano è perfetta così com’è adesso? No; anzi. Personalmente ritengo che l’Europa debba essere quella prospettata dalla Lady di ferro nel discorso che fece a Bruges nel settembre del 1988, allorché lamentandosi con vigore dell’eccessiva smania iper regolativa delle istituzioni europee e paventando l’introduzione di dosi massicce di collettivismo e corporativismo nel continente rivelò come possano esistere diversi punti di vista sulla natura e sulla missione dell’Unione europea, non tutti coincidenti con l’approccio iniziale franco-tedesco. Quella che per Francia e Germania potrebbe essere una necessità per altri Paesi potrebbe rappresentare una semplice opportunità.

Ciò detto veniamo alla sentenza della Corte costituzionale polacca.

Com’è noto, l’Unione europea si regge su cessioni parziali di sovranità da parte degli Stati nazionali; si tratta di cessioni settoriali e sempre revocabili in qualsiasi momento.

Potrebbe sembrare persino banale ribadirlo, ma considerato il tono della maggioranza dei commenti sull’argomento credo non lo sia: se, per fare un esempio, una regione italiana non potrebbe mai abbandonare, a Costituzione vigente, lo Stato nazionale, perché la sovranità della Repubblica è una e una sola e le regioni non sono titolari di sovranità, gli Stati nazionali aderiscono alla Ue “finché lo vogliono”. E del resto basterebbe guardare alla Brexit per comprendere a fondo la questione. Sottolineo questo punto perché la vulgata mainstream, che da decenni martella l’opinione pubblica, ha indotto decine di milioni di persone a pensare che il processo di unificazione europea fosse irreversibile. Non è così.

L’Unione europa si regge semplicemente sul consenso politico che giorno dopo giorno i governi e le opinioni pubbliche nazionali forniscono al progetto europeo. I siciliani non hanno necessità di ribadire con i loro comportamenti di essere italiani, perché l’opzione secessionista non è prevista in Costituzione; i catalani possono provare a esprimere le loro opinioni sulla secessione da Madrid, ma la Spagna ha uomini e mezzi per costringere i riottosi a desistere e per dimostrare che la sovranità è una e una sola. Di fatto e quindi di diritto.

I polacchi, invece, per continuare con gli esempi, stanno nell’Unione europea finché lo vogliono; sono sovrani.

Questa osservazione, che può sembrare banale, come ho già detto, è fondamentale perché introduce il tema giuridico della sentenza della Corte costituzionale polacca e perché chiarisce che l’Ue non è un processo giuridico irreversibile, sebbene la vulgata dica diversamente e nonostante, forse, sarebbe meglio che lo fosse per alcuni Paesi.

La cessione di sovranità che i singoli Stati hanno accettato in favore della Ue non è in realtà totale. La sovranità si atteggia così: o esiste, tutta intera in capo al soggetto che superiorem non recognoscens e che accetta volontariamente decisioni assunte in altri ordinamenti, o non esiste. Se la cessione fosse totale e definitiva non esisterebbero più gli Stati nazionali europei come li conosciamo oggi. Esisterebbero gli Stati Uniti d’Europa.

Ciò vuol dire che la cessione, parziale e condizionata, della sovranità statale alle istituzioni europee dipende sempre da un giudice che può negarla e questo giudice non è la Corte di giustizia europea ma sono le singole Corti costituzionali nazionali.

Piaccia o non piaccia la dottrina e la giurisprudenza delle Corti costituzionali degli Stati europei hanno sempre stabilito che il diritto europeo non possa contrastare con le costituzioni nazionali, o almeno con i principi fondamentali delle costituzioni nazionali. È l’arcinota dottrina dei contro limiti. Gli Stati accettano di essere permeabili al diritto dell’Unione ma solo entro limiti che possono definire autonomamente e, quando le acque si fanno agitate, anche volta per volta.

A stabilire se c’è contrasto inammissibile fra diritto nazionale e diritto europeo non è la Corte di giustizia europea ma la Corte costituzionale nazionale. È cosi da sempre, ma questa riserva fortissima a favore del “nazionalismo giuridico” non ha mai dato scandalizzato nessuno perché la vulgata mainstream ha discusso dell’Unione europea con gli strumenti dell’ideologia monolitica e non con gli arnesi del diritto.

Da sempre esiste il “nazionalismo giuridico” in Europa; non lo ha inventato la Polonia.

Recentemente c’è stato un caso che ha coinvolto la Corte costituzionale italiana la quale ha ammonito la Corte di giustizia europea sulla impossibilità di dare prevalenza al diritto europeo quando questo violi principi fondamentali della Costituzione repubblicana.

In quel caso (sentenza Taricco) la Corte di giustizia pretendeva l’applicazione retroattiva di una norma in materia penale, a dimostrazione che non esistono istituzioni di cui non avere mai timore. È stato solo grazie alla sensibilità politica della Consulta italiana che si è superato l’ostacolo poiché i giudici nazionali hanno invitato la Corte europea a ritornare sui propri passi e a rinunciare alla loro illegittima pretesa.

La Corte italiana, tuttavia, aveva già detto e avrebbe potuto insistere nel negare prevalenza alla norma europea veicolata dalla decisione della Corte di Giustizia che si pretendeva fosse applicata all’interno dell’ordinamento giuridico nazionale.

Chi volesse approfondire l’argomento potrebbe anche verificare i poteri che in teoria si è riservata la Corte costituzionale tedesca in materia di solidarietà economica e finanziaria fra gli Stati europei. A Karlsruhe avrebbero potuto decidere di far saltare il banco dell’Unione europea e nessuno avrebbe potuto obiettare alcunché sotto il profilo del metodo. Il fatto che le decisioni siano state favorevoli al mantenimento dell’impianto europeo non vuol dire che la Corte non abbia il potere, in astratto, di decidere diversamente. La circostanza stessa che ci sia un giudizio di tale portata davanti alla Corte costituzionale tedesca vale a sconfessare qualsiasi lagna contro il “sovranismo giuridico”.

Chissà quanti europeisti mainstream cadranno dalle nuvole adesso.

Ebbene, non nutro interesse per le eventuali ragioni strumentali sottese alla decisione della Corte polacca, né mi voglio occupare delle conseguenze politiche delle stesse; posso dire però che se i giudici polacchi hanno rivendicato il diritto di valutare la compatibilità dell’ordinamento europeo con quello interno hanno affermato un principio corretto che appartiene già alla cultura giuridica di tutte le Corti costituzionali nazionali.

Mi appare inutile e stucchevole, pertanto, reagire come se ci si trovasse di fronte al reato di lesa maestà o come se stesse per scoppiare la controriforma; l’Europa non ha sovranità, l’Europa non può imporre alcunché agli Stati nazionali se questi non accettano spontaneamente di sottomettersi alle decisioni dell’Unione. Non esiste una sovranità dell’Europa; esiste la volontà degli Stati nazionali di sottomettersi quotidianamente alle decisioni europee; ogni singolo giorno gli Stati potrebbero cambiare idea e avviare la procedura di abbandono dell’ordinamento unionale.

Non è detto che questo sia un bene, non è detto che non esistano ancora ragioni per coltivare il perfezionamento dell’Unione. Dovremmo però accettare che quello che ha affermato la Corte polacca è persino una banalità e che esistono diversi modi di intendere la natura e la missione dell’Unione europea.

Il Re è nudo, mostrare i denti alla Polonia non servirà a granché.

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