I veri untori della paura e la facilità con cui sono state sospese le nostre libertà

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Davide Rossi, ex assessore alla cultura del Comune di Fano e della Provincia di Pesaro-Urbino

Mi accorgo che anche chi si avventura a criticare il durissimo lockdown deciso da chi ci governa, non può evitare di premettere una frase il cui senso più o meno suona come “vista l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, in ogni caso queste misure andavano prese”. Una sorta di mantra collettivo, un mettere le mani avanti nel timore di un rimprovero o di una scomunica conseguenti al non uniformarsi completamente al pensiero unico, alla religione del principio precauzionale assoluto. Invece, la politica, così come il semplice governo delle nostre cose quotidiane, richiede la capacità di organizzare una strategia che soppesi e salvaguardi i vari interessi in campo. Che strategia è quella di mettere tutti sotto chiave in attesa di tempi migliori? Certo, noi tutti vorremmo che nessuno morisse o soffrisse a causa del coronavirus, o di qualsiasi altra malattia od accidente ma ciò non è ragionevolmente possibile. Tanto più quando era evidente a tutti fin dall’inizio che questo problema non si sarebbe risolto in un mese o due.

Fin dall’inizio, chi ha la responsabilità di guidare il Paese avrebbe dovuto pensare ed attuare misure precauzionali, compatibili con il continuare a far proseguire almeno la maggior parte delle attività economiche. Al limite, si poteva ipotizzare un breve stop per avere il tempo di organizzarle queste misure precauzionali. Invece, tutte le forze politiche di maggioranza ed opposizione, per non parlare di governatori e sindaci, hanno fatto a gara a chi attuava o semplicemente invocava misure sempre più restrittive. Nel momento in cui si è compreso che la paura (ancora una volta) sarebbe stata la maggior leva del consenso, si è andati senza freni verso la competizione a chi chiudeva di più. E stiamo parlando degli stessi politici che, poche settimane prima, sponsorizzavano gli hastag #noncifermiamo e simili, o ostentavano aperitivi consumati in mezzo alla folla per tranquillizzarci ed esorcizzare il rischio di chiusura. Che autorità morale ed intellettuale hanno costoro? Come possiamo ora accettare acriticamente le loro decisioni liberticide? Come possiamo essere certi che “agiscono per il nostro bene”?

È stato uno spettacolo davvero impressionante, per qualsiasi liberale autentico, vedere con quale velocità ed intensità gli italiani abbiano accettato la sospensione (speriamo solo di sospensione si tratti) delle più fondamentali, naturali e basilari libertà personali ed economiche. Questo scempio avviene attraverso lo strumento del Decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm), ossia diamo per accettabile che un sostanziale stato di polizia e di soppressione dei diritti costituzionalmente garantiti sia instaurato (ad abundantiam, senza neppure un limite temporale certo ed inderogabile) attraverso non una legge ma semplici, reiterati atti amministrativi di un organo monocratico, a Parlamento di fatto socchiuso. Tali atti amministrativi si spingono a prevedere addirittura sanzioni penali per chi non ne rispetta i diktat. Quando diremo ad alta voce che, seppur in presenza di un’emergenza sanitaria, il limite è stato superato?

Non pretendo di avere ragione nel merito, ma quantomeno possiamo interrogarci ed inquietarci di fronte ad un’accettazione passiva ed acritica così vasta, non solo del popolo ma dell’intera classe dirigente nel suo complesso? È stato come affondare il coltello nel burro. Tutto ciò, coronavirus o no, non suscita inquietanti interrogativi sulla tenuta della nostra democrazia di fronte a qualsiasi ben attrezzato “imprenditore politico della paura”? È di tutta evidenza che la paura della morte è di gran lunga la più grande, ma di fronte alla quotidiana ridda non verificabile di numeri di contagiati e morti, immagini spaventose che le tv ci trasmettono a getto continuo, così che si imprimano nel nostro inconscio, ed alla confusione di notizie e raccomandazioni spesso contrastanti fra loro, è altrettanto evidente che sulla paura si sta agendo eccome, col risultato di incassare consensi prima inesistenti. Quegli stessi politici che gridavano contro i loro colleghi i quali speculavano su altre paure (in primis quella dell’immigrazione), oggi agiscono spregiudicatamente sulla paura sanitaria. Come giustificare diversamente le scene di elicotteri e droni che battono palmo a palmo le città a caccia del passeggiatore o di una famiglia che osa uscire tutta assieme? Davvero crediamo che queste siano misure condivisibili e ragionevoli per contenere la diffusione del virus? Un tale spettacolare spiegamento di forze risulterebbe appena proporzionato per fare la guerra alla mafia o al terrorismo (ed infatti non l’abbiamo mai vista impiegata a tali scopi).

Per concludere, i liberali non hanno nulla da eccepire sulla cosiddetta task force istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri per monitorare la disinformazione? Da quando un liberale può accettare che sia il governo a stabilire cosa costituisca disinformazione e cosa no e, conseguentemente, a reprimerla? Si tratta di un vero e proprio embrione di Ufficio Censura teso a limitare la libertà di espressione. Tutti i totalitarismi hanno sempre cercato e trovato i pretesti per agire in tal modo, stavolta l’ha fatto quella che dovrebbe essere una democrazia liberale.

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