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Ieri Salvini, oggi il virus, domani la crisi economica: in Italia c’è sempre una buona ragione per svirilizzare la democrazia

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C’è qualcosa che non torna nell’improvviso silenzio che è calato a coprire tutto come un velo di brina, rotto solo dal gracchiare della tv, che ripete ossessivamente a canali riuniti il decalogo della salvezza. Che cosa? A quanto pare un politico non se lo può chiedere, perché altrimenti verrebbe accusato di rompere il tabù del “tutti uniti”, anche se mai questo è suonato più irrisorio, dal momento che siamo comandati a stare distanti, separati, soli, non potendo comunicare neppure col respiro. Io, però, non sono un politico, sono solo un normale cittadino, che ha avuto la ventura di superare gli ottanta anni, ancora lucido, se pure attardato nel passo e nell’ascolto. Un ex professore di provincia, pensionato da tempo, colto come può esserlo uno che viene da un passato dove leggere era l’unico passatempo, provvisto solo di qualche rudimento medico respirato dal padre e dal fratello… Eppure, già alla fine di febbraio mi ero provvisto delle migliori mascherine, che poi ho distribuito anche a mia figlia e ad una sua amica, medici entrambe, ma prive di alcun supporto. Si poteva capire, sì si poteva, bastava apprendere rapidamente la lezione che ci veniva dalla Cina, con quotidiana insistenza, purtroppo vista e vissuta come se si fosse ad una distanza di sicurezza, con un alternarsi di sicumera e di inquietudine.

Già la Cina è una dittatura, noi siamo una democrazia. Ma chi l’ha detto che di necessità la democrazia è più debole di fronte all’emergenza, cioè proprio quando se ne verifica la forza effettiva? Lo è se è già debole di suo, priva di una leadership, che per legittimazione e autorevolezza popolare sia ritenuta idonea alla guida, capace di anticipare l’emergenza, ma soprattutto di imporre la terapia necessaria quando ancora la stessa élite, per non dire l’opinione pubblica, la sente costrittiva ed eccessiva. La prima lezione che ci veniva dalla Cina, giustamente criticata e condannata per questo, era una sola, che, cioè, il virus va anticipato, non seguito affannosamente, commisurando il passo al crescere del contagio e del timore, con un tocco di ipocrisia ufficiale, per cui tutto ciò viene battezzato come sano gradualismo. Non sono un politico, ma solo un comunissimo cittadino, perfettamente consapevole che il peso degli anni gli giocherà contro, se mai dovesse essere infettato, verrebbe escluso dal supporto meccanico di ossigenazione a favore di qualcuno giovane e lasciato morire ad occhi aperti, col mero ausilio di qualche cura palliativa.

Certo ho già vissuto abbastanza. Tuttavia fa senso che nei pomeridiani bollettini della Protezione civile ci sia cura di enfatizzare come l’elevata mortalità sia concentrata sulle fasce anziane, peraltro con una decrescente età limite, dagli ottanta scesa a cinquanta/sessanta anni, per di più con patologie pregresse; tanto da concludere con un represso sospiro di sollievo che, a ben guardare, se ne sarebbero andati non per, ma solo con il coronavirus, degradato a mera concausa se non a presenza irrilevante. Se devo dire la mia impressione, ascolto ogni sera una vera e propria lezione di eugenetica, con la sottesa convinzione che questa si risolverà in una sensibile attenuazione della nostra spesa pensionistica. Chissà che non vi sia qualche spiritato “profetuccolo” che vi vede la maledizione divina per aver fatto troppi vecchi e troppi pochi bambini.

Cosa è rimasto? Al pudore si è sostituito il quasi orgoglio di essere stati i primi, quelli che hanno tracciato i sentieri che gli altri dovranno percorrere, tanto che impediti di dare lezioni a noi stessi, le diamo gratis ai Paesi oltre confine, non risparmiando loro critiche a iosa, come se essere diventati la capofila mondiale degli infettati e dei decessi ci valesse una sorta di laurea ad honorem. Ma c’è una spiegazione per tutto, basta aggiornarsi rapidamente alla costante accelerazione dell’infezione: ieri, l’infezione era poco più grave di una influenza, oggi è la più seria epidemia da cent’anni a questa parte, da quella spagnola che nel primo dopoguerra fece niente meno che venti milioni di morti; ieri, il nostro grande numero di positivi era dovuto all’elevato numero di tamponi, fatti anche agli asintomatici, oggi l’elevato dato percentuale dei morti è dovuto al basso numero dei tamponi, fatti solo ai sintomatici; ieri, la trasmissione del virus dai soggetti guariti era data per certa, oggi è messa in dubbio; ieri la quarantena di quattordici giorni era considerata sufficiente, oggi c’è voce che dovrebbe essere allungata a ventuno giorni …

Ci siamo messi nelle mani della Scienza, ma per quanto la scriviamo con la esse maiuscola, anche i virologi più scafati barcollano nel buio, rinviando la riuscita delle misure suggerite ad una congrua fase di sperimentazione, che si sposta sempre più avanti, di una o due settimane. D’altronde le misure sono una riedizione di quelle suggerite per gli anziani e i sofferenti di gravi patologie in occasione delle influenze stagionali, solo che ora il costo di non rispettarle da parte di tutti è assai più salato, sì da imporre il tutto chiuso, se si potesse sbarrato dal di fuori, come era uso fare al tempo della peste.

Se ne uscirà di certo, si dice con una nuova consapevolezza della limitatezza umana, dato che un qualcosa infinitamente piccolo può mettere in forse la sopravvivenza di quel homo sapiens che, partito dal cuore dell’Africa, in poche decine di migliaia di anni, ha colonizzato il mondo. Non lo credo, se non si coltivasse ad ogni nuova generazione, la credenza di poter controllare l’ignoto, non ci sarebbe futuro; per loro, ma non per quanti sono rimasti indietro, condannati a restare in morte ancora più anonimi che in vita, senza un bacio, un saluto, una preghiera.

Oggi un politico non può parlare, anche se questo vale solo per il nostro Paese. Ma un cittadino comune può ben formulare il suo accuse, verso un presidente della Repubblica, che, ben consapevole della situazione critica del Paese, ha benedetto una maggioranza inventata sui due piedi, che già inidonea a gestire la congiuntura economica, si è rivelata del tutto incapace di controllare l’emergenza sanitaria; un presidente del Consiglio totalmente sopraffatto da un impegno ben al di sopra delle sue capacità; un ministro della sanità il cui cognome dice tutto, Speranza, espressione del tradizionale affidarsi al famoso stellone. Non se ne può parlare, perché la barca si trova in un mare in forte tempesta, ma se fosse proprio il nocchiero a mancare nella guida del timone?

Ieri si doveva fermare Salvini, oggi si deve contenere il virus, domani si dovrà evitare il collasso economico. Qui, in Italia, c’è sempre una buona ragione per svirilizzare la democrazia; e bisogna dire che quest’ultima ragione è ottima, del tutto indiscutibile per giustificare il rinvio non solo del referendum ma anche delle temutissime elezioni regionali. Così, galleggiando a stento, su e giù dalle gigantesche onde marine, questa pseudo maggioranza giungerà ad eleggere il suo presidente della Repubblica, per poi durare, se pur a denti stretti, fino alla fine della legislatura. Obiettivo raggiunto, come avevano detto e ribadito. La cronaca no, ma la storia sì, farà giustizia.

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