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Il balletto sui numeri del coronavirus e una certezza: l’impreparazione e lo scaricabarile del governo

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Se c’è una domanda cui la folta schiera di virologi non ha dato una risposta condivisa è quella relativa ai diversi tassi di mortalità che si riscontrano nelle varie province e regioni d’Italia, nonché fra l’Italia e gli altri Paesi, a cominciare dalla terra natia del virus, la Cina. A suo tempo avevo condiviso l’idea di una dei tanti virologi, che ci potesse essere una mutazione nel virus, sì da presentarsi e riprodursi con un diverso grado di capacità di diffusione e di gravità; ma c’è stata più di una smentita, se pur con qualche rinvio al giorno in cui si avrà una ricostruzione esatta dell’intero ceppo, da quello originario a quello via via diffuso, fino ad infettare l’intero pianeta. A dire il vero non sono mancate le supposizioni, sostenute più o meno autorevolmente da quella ormai etichettata con una parola, “la scienza”, di per sé capace di incutere una incondizionata adesione, anche se poi si prospetta meno univoca di quanto sembrerebbe supporre, almeno a stare alle esternazioni sui mass media. A tutt’oggi si discute sull’origine del virus, se pur dando per scontato che sia nato in Cina, a Wuhan, scappato da un laboratorio dove veniva studiato come arma letale o, molto più credibilmente, trasmigrato da un pipistrello ad un uomo in un mercato del pesce; nonché si controbatte sulla via della sua diffusione in Europa, su chi sia stato il paziente zero, una imprenditrice cinese in visita a Monaco o una persona non identificata che avrebbe infettato il paziente 1 di Codogno.

Come ovvio, a tener banco è la strategia di contrasto, confrontandosi vari modelli, da quello cinese dello sbarramento militare delle aree infette, col divieto di uscire di casa, a quello coreano del tamponamento di massa, con l’isolamento non solo dei positivi sintomatici, ma anche di tutti quelli da loro contattati, individuati tramite il controllo dei cellulari. L’Europa non ha subito adottato una risposta uniforme, ma di massima ha finito per adottare una politica che si potrebbe etichettare come una versione democratica di quella cinese, non senza da ultimo essere tentata da quella coreana, meno compulsiva fisicamente ma più intrusiva nella privacy delle persone.

Peraltro, la rigidità o flessibilità delle risposte dei vari Paesi ha risentito dei tassi di morbilità e di mortalità nazionali, sì da creare una sorta di linea distintiva in ragione della maggior o minore incidenza fra quelli del centro sud, Italia, Spagna e Francia, e quelli del centro-nord, Germania, Austria, Olanda in prima fila. La qualcosa, non per nulla, si è riflessa in una ben diversa pressione sull’Unione europea: i primi, per una politica largamente comune, esemplata dalla richiesta introduzione di eurobond; i secondi, per una politica prevalentemente nazionale, non senza qualche significativa apertura con riguardo al Mes, ripulito di alcune pesanti condizioni. Quale ipotesi se ne dovrebbe dedurre dal punto divista epidemiologico, che le popolazioni dei Paesi latini siano geneticamente più esposte al virus di quelle dei Paesi germanici e scandinavi. Ma a tutt’oggi le uniche discriminazioni positive accertate sono quelle riguardanti le donne e i bambini, mentre si vanno attenuando quelle attinenti agli adulti di 30, 40, 50 anni, che si ammalano sempre più frequentemente.

Si è detto che tutto questo dipenderebbe dal maggior tasso di popolazione al di sopra dei 65 anni, almeno fino a quando questo limite rimarrà quello oltre al quale è assai più facile ammalarsi e morire; ma se non l’Italia, certo la Spagna, l’ha significativamente più basso della Germania. Si è aggiunto che il nostro eccellente sistema sanitario permetterebbe di sopravvivere più e meglio alle numerose patologie legate di massima all’età, sì da trovarsi con soggetti più debilitati in presenza di pandemie; ma questo lascia almeno perplessi, visto che darebbe per scontato un vantaggio comparativo rispetto a quello tedesco o francese tutt’altro che dimostrabile. Si è finito col chiamare sul banco degli imputati l’elevato grado di inquinamento della pianura padana, essendo questa la sede di gran lunga privilegiata dalla pandemia; ma non può ignorarsi che, come per la provincia di Wuhan, la grande incidenza epidemica su una area altamente sviluppata sconta la elevata concentrazione produttiva e occupazionale, la fitta interconnessione, la elevata apertura alla globalizzazione.

Non è restato che giocare sui numeri, ma senza troppa concordia, sostenendo che altrove si sarebbero fatti meno tamponi, sì da non evidenziare il numero reale dei positivi; o, al contrario, che se ne sarebbero fatti di più, sì da ridimensionare il tasso dei deceduti. Oppure, si sarebbe addirittura barato, come in Germania, dove si conteggerebbero solo i morti per e non con il coronavirus, essendo i primi quelli non riconducibili ad una età avanzata, per di più aggravata da una o più gravi patologie; calcolo che utilizzato da noi avrebbe comportato un netto abbattimento del tasso di mortalità. Ora, per un giurista, il distinguo appare perlomeno curioso, perché un omicidio è sempre tale, si accoppi un ventenne idoneo al servizio nelle forze speciali o un novantenne, cardiopatico, diabetico, nefritico; ma lo è anche per quel primario ospedaliero che, con un sorriso divertito, ha chiesto quale sarebbe il criterio, quale l’età, quale la presenza di patologie, quale la capacità di reazione del paziente, il tutto lasciato ad una impropria discrezione del medico, che , invece sa perfettamente che senza coronavirus quel paziente per quanto depauperato sarebbe vissuto ancora, poco o molto non ha importanza.

Un giorno, lasciatoci alle spalle il tragico periodo del coronavirus, ci sarà modo di ritornare sul come è stato affrontato, certo verrà in questione lo stato deficitario in cui è stato lasciato il nostro sistema sanitario. Ma non senza porre l’accento sul ritardo con cui il governo ha dato l’allarme, nonostante il chiaro avvertimento proveniente dalla Cina; e con cui ha provveduto a mettere in atto un piano epidemico nazionale, casomai tirando fuori dal cassetto quello predisposto dopo la Sars. Come sarebbe andata se il pronto soccorso dell’ospedale di Codogno fosse stato preavvisato dell’esistenza di una sintomatologia di per sé significativa, a prescindere da eventuali contatti con persone cinesi o provenienti dalla Cina; e, poi, se, invece di inseguire il virus con un gradualismo perdente lo si fosse preceduto, con un “tutti a casa” dato per tempo, non senza farsi carico di provvedere tempestivamente a mettere il personale sanitario in grado di combattere il virus ad armi pari?

Domani, la cosa più probabile sarà la tentazione di una nuova centralizzazione, come se a mancare non fosse apparso proprio lo Stato, bensì le Regioni e i Comuni, che, invece, si sono fatti carico di tenere il fronte, come si dice adottando il linguaggio bellico; e ne è testimone l’estremo ritardo con cui Roma ha provveduto a fornire i mezzi richiesti, a cominciare dalle famose mascherine. E qui si è vissuta l’ultima commedia, con la Regione lombarda, che facendo tesoro dell’esperienza, cinese, coreana, giapponese, ha richiesto ai suoi abitanti di indossarle in pubblico, e il Governo, dietro il paravento del Comitato scientifico, lo ha escluso… forse per l’incapacità di fornirle nella quantità necessaria a tutto il Paese.