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Il Belgio si conferma frammentato e cartina tornasole delle dinamiche europee

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Il 21 dicembre scrivevo su Atlantico della crisi del governo belga. Il primo ministro Michel vide sgretolarsi la sua maggioranza a causa del suo appoggio al Global Compact, il documento Onu sull’immigrazione. La fine del governo di Bruxelles era l’inizio della campagna per le europee. Domenica con il voto anticipato, congiuntamente a quello per il Parlamento europeo, si è chiuso il cerchio… o forse no.

Gli elettori del Belgio sono stati chiamati a rinnovare la composizione dei 150 seggi della Camera dei Rappresentanti. Il Paese si conferma frammentato politicamente e geograficamente. Al primo posto con il 16 per cento e 25 seggi troviamo la Nuova Alleanza Fiamminga di Bart De Wever. I conservatori delle Fiandre, fautori della caduta del governo Michel, hanno perso voti e seggi ma si confermano primi e centrali nello scenario politico belga. Difficilmente si riuscirà a formare un governo senza di loro. Seconda forza del Paese (12 per cento, 18 seggi) è la destra del Vlaams Belang, fiamminga, separatista e fortemente euroscettica. Al Parlamento europeo saranno nello stesso gruppo di Salvini e Le Pen. Il leader Tom Van Grieken ha raccolto un record di voti e seggi. Se sentiremo parlare di fantomatiche “onde nere” anche in Belgio sarà per colpa di questo straordinario risultato… Terzi sono i socialisti dell’eterno Elio di Rupo (9,5 per cento, 12 seggi), primi tra i partiti valloni, quelli di lingua francese. Tra le sinistre ottimo risultato del partito dei lavoratori, forza comunista presente in entrambe le entità territoriali. I due partiti liberali, quello fiammingo e la controparte vallona di Charles Michel, hanno insieme 26 seggi mentre i due partiti cristianodemocratici ne hanno 17, con un crollo di meno 5 seggi per la compagine di lingua francese. Anche in Belgio crescono i Verdi, il partito vallone Ecolo ottiene 13 seggi mentre il Groen fiammingo 8. I socialisti delle Fiandre hanno preso 9 seggi, chiude la lista il partito liberale di Bruxelles, DéFI, con 2 seggi.

Dalla distribuzione dei seggi si comprende come il Belgio e il suo Parlamento siano compositi e realmente suddivisi in più parti. Sarà complicato trovare una maggioranza. Le forze tradizionali ed europeiste non hanno i numeri per governare. Liberali, democristiani e socialisti arrivano al massimo a 74, meno due seggi dalla maggioranza assoluta. Per provare a governare l’ex premier Michel (o chi per esso) potrà seguire due strade: cercare di allargare la grande coalizione ai Verdi o tentare di riproporre ai conservatori della N-VA un patto di governo. Se la prima ipotesi, seppur difficile, potrebbe avere sbocchi e futuro, la seconda pare impervia. A De Wever e i fiamminghi conviene tornare al governo con gli stessi partiti con cui hanno rotto a dicembre? E la stessa domanda si può porre a parti invertite. La N-VA lascerebbe spazi enormi a Van Grieken se partecipasse ad un altro governo. Oltretutto non si può tralasciare il risultato delle Fiandre, il dilagare dei sovranisti e separatisti del Vlaams Belang (e va ricordato che la Nuova Alleanza Fiamminga, seppur con toni più moderati, si pone sulle stesse posizioni) è rilevante sia per la tenuta dell’unità territoriale del Belgio sia per il segnale chiaro mandato a Bruxelles, non solo come capitale ma soprattutto come centro decisionale dell’Unione europea. E molti fiamminghi, proprio nella regione di un eurolirico per eccellenza come Guy Verhofstadt, hanno espresso scetticismo nei confronti delle istituzioni comunitarie. Questa situazione di polarizzazione e incertezza potrebbe portare a lunghe trattative e, proprio per questo, il cerchio non si è ancora chiuso e non si chiuderà tanto facilmente.

Il Belgio si conferma quindi cartina tornasole di tutte le dinamiche europee. Infatti troviamo le rivendicazioni territoriali e il separatismo, l’inesorabile avanzata delle forze sovraniste ed euroscettiche, la crescita dei Verdi, la fragile tenuta dei partiti tradizionali… Ed ultima ma fondamentale: la rischiosa ostinazione di pensare alla riproposizione di schemi vecchi e passati, come potrebbe accadere in seno al PE, che vedono la sistematica esclusione dei sovranisti dai governi e l’alleanza tra cristianodemocratici, liberali e socialisti utile solo a mantenere posizioni di potere e status quo, e a prendere metaforici schiaffoni dagli elettori nei successivi appuntamenti elettorali. Perché anche i belgi si potrebbero stufare della solita “minestra riscaldata” e al prossimo giro la scossa potrebbe essere ancora più forte, ma con una variabile in più: potrebbe esserlo così tanto da dividere il Paese, definitivamente e non più metaforicamente.