Appena nominato Cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, trentanovenne astro nascente dei conservatori, si è trovato a dover affrontare la stesura di un budget che in un contesto già reso delicato dalla Brexit deve tenere in considerazione una pandemia che minaccia seriamente lo sviluppo economico. Ex sottosegretario del Tesoro con un passato nel mondo della finanza (ha lavorato per Goldman Sachs), Sunak è il successore naturale del dimissionario Sajid Javid ed è uno dei più popolari leader dei Tories, tanto da aver sostituito Boris Johnson stesso in alcuni dibattiti televisivi nell’ultima campagna elettorale. Già nel 2016 in un report per il Centre for Policy Studies (think tank fondato da Margaret Thatcher) faceva emergere la propria visione del Regno Unito post Brexit: un Paese aperto al mondo e al libero scambio, con numerose zone franche a bassa tassazione e regolamentazione limitata per attirare investimenti esteri.
Oggi nella sua posizione di Cancelliere deve affiancare il primo ministro Johnson in una situazione di emergenza come quella del coronavirus, che secondo quanto dichiarato dallo stesso Sunak potrebbe portare a conseguenze simili alla crisi del 2008. La Gran Bretagna per affrontare quella sfida globale che ha coraggiosamente accolto con la Brexit ha bisogno di infrastrutture e di un’economia forte, e il governo si è impegnato a fare tutto il necessario perché la situazione non degeneri in una crisi che potrebbe compromettere lo sviluppo negli anni a venire. Proprio in base a queste premesse il budget presentato prevede 30 miliardi di sterline in incentivi: 5 miliardi per il National Health Service con 50.000 assunzioni di personale infermieristico, 7 miliardi per sostenere le imprese e 18 miliardi in tagli di tasse ed esenzioni fiscali. In particolare, l’azione è stata mirata al sostegno delle piccole e medie imprese e all’alleggerimento fiscale per i lavoratori a basso reddito, provvedimenti che hanno toccato direttamente circa 31 milioni di contribuenti e su cui il governo vuole puntare anche nei prossimi budget. Ci sono anche buone notizie per i consumatori, dato che il governo ha rinunciato agli aumenti delle imposte sugli alcolici e sul carburante. Questo aspetto è particolarmente interessante se si considera che, come emerge dalle ricerche del Centre for Policy Studies, dal loro congelamento nel 2014 le imposte sugli alcolici hanno fruttato ben il 25 per cento in più in termine di gettito, vedendo crescere del 40 per cento le esportazioni.
La risposta del governo inglese all’emergenza del coronavirus potrà essere valutata solo a posteriori, quando avremo i numeri definitivi di contagi, decessi e guarigioni, tuttavia è un dato di fatto che si sia intervenuti in modo radicalmente diverso rispetto a ciò che ogni governo italiano tende solitamente a fare. L’Italia tanto per cominciare quest’anno dovrà sforare il 3 per cento del rapporto deficit/Pil secondo le previsioni più ottimistiche, ma data la recessione che ci aspetta la cifra è destinata ad alzarsi. Le tanto “prudenti” e “responsabili” politiche della sinistra negli anni passati non hanno risolto il problema dei nostri conti pubblici, si è spacciata per “flessibilità” quello che era debito per marchette elettorali, mentre in Gran Bretagna dal 2010 i governi conservatori hanno mirato davvero a ridurre il debito pubblico e il peso pubblico in generale nell’economia, cosa che oggi permette loro di avere le mani libere per interventi mirati e senza strascichi eccessivi nel futuro.
Le sfide per Johnson e Sunak non sono finite, le previsioni di crescita nei prossimi anni sono meno ottimistiche rispetto alla crescita media del 2 per cento mantenuta dal 2010, ma il quadro è decisamente diverso dal nostro: la disoccupazione è ai minimi storici, il debito pubblico è al 75 per cento del Pil contro il nostro 135 per cento, la spesa pubblica al 40 per cento contro il nostro 49 per cento per non parlare della fiscalità. E soprattutto la Gran Bretagna ha una maggioranza con un progetto politico ben definito e con le intenzioni chiare: non fermarsi lungo la strada e proseguire verso una Global Britain fuori dall’Unione europea. Gli errori di comunicazione e gestione da parte del governo italiano nella questione del coronavirus stanno avendo impatti pesanti nel breve termine, ma si stanno già sentendo gli effetti nel lungo termine della mancanza di una seria politica economica a cui si è preferita la cultura del debito e delle tasse, e soprattutto la mancanza totale di una politica estera coerente e attiva nell’interesse nazionale.
Il susseguirsi dei fatti di queste settimane che hanno visto l’Italia schernita dagli “alleati” europei e ignorata dall’Ue dovrebbero farci riflettere: vale la pena di proseguire verso una integrazione europea per rincorrere un sentimento che in realtà è già morto da tempo?