Un piano consepito a tavolino tra Putin e Tokayev per rimuovere il potere decennale dei Nazarbayev e riconsegnare questo tassello di ex territorio sovietico alla Russia
A dieci giorni dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, l’elenco delle perdite logistico-finanziarie da parte della Russia si fa lunghissimo. Il prezzo che la Russia di Putin sta pagando per questa disastrosa avanzata costa alle sue casse circa 20 miliardi di dollari al giorno, per non parlare delle sanzioni che hanno messo in ginocchio il Paese, congelando banche e beni in tutto il mondo e costringendo Mosca a tenere chiusa la Borsa, ormai da una settimana. La reputazione di Putin definitivamente perduta.
Il quadro geopolitico complessivo è quello di un mondo multipolare in cui Stati Uniti, Cina e Russia sono i grandi protagonisti e maggiori players planetari.
Ma cerchiamo di allargare la lente e allontanarci per un attimo dal fuoco ucraino.
Poco prima dello start alle “esercitazioni” russe sul confine ucraino, che risale a due mesi fa circa, il 2 gennaio, in Kazakhstan, scoppiano gli scontri in piazza nella città di Almaty, a causa del caro greggio.
Il Kazakhstan rappresenta il cuore geografico dell’Asia, è il più grande Paese musulmano al mondo, laico e se pur con vistosi difetti, formalmente democratico.
Un vastissimo pezzo di continente che si estende dal Mar Caspio allo Xinjiang cinese, ricco di gas e petrolio e attraversato dalle più grandi infrastrutture di trasporto del gas, che collegano lo stesso Kazakhstan al Turkmenistan e alla Cina.
Dopo tre giorni di scontri nelle piazze di Almaty, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio scorso, il capo dell’intelligence kazaka, NSC (National Security Committee of the Republic of Kazakhstan), Karim Masimov, viene rimosso dal suo incarico ed arrestato per volere del presidente in carica Kassim-Jomart Tokayev, con il sospetto di alto tradimento, senza processo e senza motivazioni precise.
A due mesi, oggi, dal suo arresto, vige il totale silenzio stampa internazionale. Le circostanze dell’arresto, comunicato persino con tre giorni di ritardo, non sono chiare.
Karim Masimov forse si è rifiutato di sparare sulla folla in protesta, forse voleva ostacolare la decisione di Tokayev di richiedere l’intervento delle forze armate russe per sventare il presunto attacco terrorista.
Secondo la versione ufficiale, un manipolo di terroristi avrebbe cercato di sovvertire il governo in carica, il quale riuscendo a ripristinare l’ordine, rientrata la crisi, ha rivenduto all’opinione pubblica internazionale un quadro di equilibrio e rinnovata serenità fra lo stesso Tokayev e lo storico già presidente Nazarbayev.
Resta il fatto che più volte, negli ultimi tempi, Tokayev si sia esposto contro quella che egli definisce “casta”, in riferimento al potere economico e politico detenuto dalla famiglia Nazarbayev.
Sappiamo bene che Masimov è stato per trent’anni il braccio destro di Nursultan Nazarbayev. Karim Masimov è stato due volte primo ministro, si è occupato dei più grandi progetti finanziari ed infrastrutturali del Paese ed a capo dell’intelligence.
Nazarbayev ha sempre tentato, da parte sua, di rafforzare l’identità del Paese, al fine di consolidarne l’indipendenza dalla Russia. Trent’anni di potere capitolati nelle mani di Tokayev, che ha riconsegnato de facto il Paese alla Russia, finendo così per scontrarsi con Nazarbayev e la sua famiglia, che hanno in mano i mercati commerciali di Almaty.
Tokayev ha così cominciato prima ad oscurare la famiglia di Nazarbayev, poi lo stesso Nazarbayev, estromettendolo dai servizi di sicurezza, quindi ha richiamato attraverso Putin l’indebolimento di una figura come quella di Timur Askaruly Kulibayev – importante oligarca, membro del board di Gazprom e genero di Nazarbayev, che per potere, denaro e ramificazioni sarebbe forse potuto diventare il naturale successore di Nazarbayev – rafforzando così i suoi legami con Putin.
Dai bollettini ufficiali che riportano il calcolo dei danni, dalle testimonianze dirette sul campo, emerge chiaramente come gli scontri nelle piazze di Almaty, città simbolo del potere di Nazarbayev, non sono stati altro che sparuti assalti di taglia ridotta, con vetrine spaccate e scontri con la polizia, la quale ha poi sparato sulla folla disarmata per volere dello stesso presidente in carica Tokayev, il quale a sua volta ha poi dipinto i fatti come un pericolo terrorista sventato grazie all’intervento delle milizie russe, da lui stesso chiamate.
Tutto fa pensare ad un piano a tavolino tra Putin e Tokayev per rimuovere il potere decennale dei Nazarbayev e riconsegnare questo tassello di ex territorio sovietico alla Russia.
Il Kazakhstan resta così legato politicamente alla Russia, ma sul fronte energetico spartito tra Russia e Cina. Fu lo stesso Masimov ad aprire le porte e consolidare i ponti con la Cina, mettendo nelle mani di questa pezzi di asset del Paese, ma riuscendo anche a mantenerne sempre una certa distanza.
Il Kazakhstan si trova al centro di un crocevia economico e commerciale. Se la Via della Seta è già tramontata, restano però alcune opere infrastrutturali fondamentali, tra cui proprio i due oleodotti che hanno i loro terminal in Cina. E quella è la regione cinese oggi più calda, ovvero lo Xinjiang, dove si sta consumando il genocidio degli uiguri per mano dei cinesi, una situazione fuori controllo dal punto di vista dei diritti internazionali.
L’uscita di scena di un protagonista così importante come Masimov, “the mind over matter” di un Paese che con molta difficoltà era riuscito a mantenere la sua indipendenza, autorizza Tokayev ad accrescere la dipendenza dalla Russia. Fu Masimov a sostenere le proteste delle comunità uigure proprio sotto l’ambasciata cinese e sempre Masimov a favorire l’asilo politico dei kazakhi-uiguri in fuga dallo Xinjiang.
La Cina rappresenta il partner commerciale più strategico per il Kazakistan e recentemente ha acquistato ben la metà del gas kazako, aggiudicandosi così il primato sulla materia prima dell’area. Il Paese resta così adesso schiacciato tra Russia e Cina.
A pagare lo scotto di quesa complessa geometria è Karim Masimov, un democratico, cosmopolita, laico, liberale, l’unico vero riformista che la Repubblica del Kazakistan abbia mai conosciuto, il capro espiatorio di quella buona parte della classe dirigente kazaka che lo considera un outsider, lo straniero, come uiguro e tartaro.
Si cancellano così trent’anni di indipendenza e modernizzazione di un Paese che è ora riconsegnato all’ottusità di una burocrazia filorussa e a cui da una settimana a questa parte sta crollando il terreno sotto i piedi, a causa della scellerata iniziativa di Putin di invadere l’Ucraina.
Il Kazakhstan, dove si raffreddavano le frizioni tra Russia e Cina, oggi è smembrato e politicamente alla mercé di un Paese che sta collassando.
La Russia e la Cina, dal canto loro, già dietro le quinte dei giochi olimpici invernali, hanno sostanzialmente saldato un patto di non intervento, per cui da una parte la Cina ha lasciato mani libere a Putin in Ucraina, dall’altra la Russia chiude un occhio sugli interessi cinesi.
La Russia oggi è però a terra e la Cina potrebbe presto giocare un ruolo da protagonista per scongiurare una ulteriore escalation del conflitto ucraino, che potrebbe sfociare in una guerra mondiale.
È lecito supporre che questa guerra possa presto spostarsi sull’asse dell’Indo-Pacifico e che una prossima tappa – Taiwan – possa diventare terreno di scontro diretto tra Cina e Stati Uniti.
Intanto, l’India non si decide a prendere le distanze dalla Russia, suo maggior fornitore di armi, complicando così l’intero quadro geopolitico.
Se al momento la comunità internazionale sta prendendo le difese dell’Ucraina, altrettanto dovrebbe fare perché una personalità come Masimov venga immediatamente rilasciata dalle autorità kazake.