Se ci sono giornali che godono della fama di stampa indipendente, questi sono il Corriere della Sera e La Repubblica. Lo saranno, se si fa riferimento all’autonomia vis-à-vis della proprietà, anche se questa interviene a scegliere il direttore, cambiandolo senza darne alcuna giustificazione, come di recente è avvenuto proprio per La Repubblica, sì da far sospettare una crisi di lettori già a cominciare dall’utilizzazione di titoli cubitali in prima pagina a mo’ di richiamo visivo. Ma non lo sono nella selezione delle notizie da riportare, nella scelta di titoli neutrali, nella distinzione fra ricostruzione e valutazione dei fatti, nel far riferimento a voci citate come “provenienti da ambienti vicini a Caio e Sempronio”, anche quando si tratta di incontri riservati col presidente della Repubblica. Di dritto e di rovescio prevale la linea della corporazione di giornalisti che li governa, che traspare chiaramente pagina dopo pagina, di tendenza chiaramente radicale, cioè di contrapposizione a qualsiasi forza ritenuta di una destra non come conforme a quella che vorrebbero, al meglio inaffidevole e al peggio autoritaria. Né fa fede la forte affinità tra la campagna ossessiva nei rispetti di Berlusconi e quella nevrotica nei confronti di Salvini. Certo è che la loro massima preoccupazione non è di dare una informazione quanto più obbiettiva; ma solo di accontentare quella minoranza che vuol farsi dire quel che desidera.
Naturalmente niente di nuovo e di diverso nel panorama generale, ma gli altri giornali non occultano la loro inclinazione. Di questo fornisce un ulteriore e significativo esempio il come viene presentato un fatto che dir significativo è dir poco, cioè l’archiviazione da parte del Tribunale dei ministri dell’accusa di sequestro di persone avanzata a carico di Conte, Salvini, Di Maio e Toninelli, per aver impedito lo sbarco a Siracusa di 47 migranti a bordo della Sea Watch. Il Corriere della Sera, dopo aver riportato a pagina 19, a capo pagina, con tutto il risalto dovuto, il rischio di un incidente diplomatico con il Portogallo per il giovane lusitano che rischierebbe vent’anni di carcere in Italia per aver cooperato al salvataggio di migranti nel caso Juventa; di seguito, a mezza pagina, sotto il titolo “Intercettata ‘nave madre’ dei migranti. Sbarca un barchino a sud di Lampedusa”, solo nel sottotitolo, aggiunge fra l’altro “Il Tribunale dei ministri sul caso Sea Watch”, per poi riferire in una trentina di righe la decisione, senza alcuna osservazione circa le evidenti conseguenze a favore della politica dei Porti chiusi, ma solo riportando le parole di plauso di Salvini. A sua volta, La Repubblica è ancor più stitica, se pur secondo lo stesso modello, cioè di presentare a pagina 11, a capo pagina, un titolone “Legati e picchiati volevano anche toglierci la bimba”, destinato a richiamare l’attenzione sui rimpatri di emigranti sbarcati in Italia, non più solo dalla Germania, ma anche dalla Svizzera, sempre con maniere brutali; dopo, a mezza pagina, sotto un titolo normale, “Altri cento sbarchi. Saviano: il governo è con gli scafisti”, riassume in nemmeno dieci righe la decisione del Tribunale dei ministri, limitandosi a commentare che arriva a “rafforzare Salvini”.
La tecnica della informazione faziosa è la stessa. Ridimensionare al niente di che la notizia, facendola precedere da un’altra capace di rendere evidente la resa negativa della politica anti-immigratoria, che da un lato ci espone ad incomprensioni con un Paese che ci tornerebbe utile per il braccio di ferro con l’Europa (Corriere); e dall’altro ci rende corresponsabili passivi del rimpatrio di emigranti sbarcati da noi, effettuato fra l’altro con sedativi e manette (Repubblica).
Ora non dubito che sarebbe stata accolta con titoli enormi in prima pagina la notizia di una diversa decisione del Tribunali dei ministri, che avrebbe avuto la forma di una delegittimazione dell’intero vertice del Governo; anche se avrebbe smentito la vulgata corrente di un Di Maio costretto a salvare Salvini, col voto della Camera contro la autorizzazione a procedere nei suoi confronti, perché avrebbe dimostrato che erano tutti sulla stessa barca. Ma non è che la decisione di accogliere la proposta del pubblico ministero nel senso di archiviare l’accusa, sia di scarsa o addirittura di quasi nessuna rilevanza. Qui conta la motivazione offerta dal Tribunale, che spiega la differenza fra la vicenda della nave Diciotti rispetto a quella della Sea Watch allora trattenuta fuori del porto di Siracusa. Essa consisterebbe nel fatto che la Diciotti era una nave militare italiana; mentre la Sea Watch è entrata in Italia in maniera unilaterale e senza le necessarie autorizzazioni della Guardia Costiera”.
Si può discutere su questa motivazione, trovarla equilibrata o pilatesca, ma essa suona chiara a cominciare dall’ultima trovata propagandistica della nostra Sea Watch, di cui i giornali in questione reclamano a gran voce l’autorizzazione ad attraccare a Lampedusa. Senza autorizzazione non può entrare; se lo fa, certo alla fine della storia i 47 emigranti saranno sbarcati, ma scatterà, con piena legittimazione, la multa di cinquantamila euro e il sequestro della nave. Questo spiega la titubanza dei finanziatori, perché va bene farsi propaganda, purché sia a costo limitato allo stipendio dell’equipaggio e al consumo del carburante.
Quindi necessita solo una variante linguistica, a rimaner chiusi non sono i porti ma le acque territoriali. Che poi ci siano emigranti che arrivano a Lampedusa o che passano al confine a Nord-est o che siano riesportati nel Paese di arrivo è inevitabile, ma questo gocciolamento è cosa ben diversa dai flussi enormi e continui del passato. La politica è l’arte del perfettibile , non del perfetto, che così sconta sempre un margine di scostamento rispetto all’intento perseguito.