Un centrodestra debole, diviso e litigioso. È questo l’obiettivo di chi, dopo le consultazioni regionali di settimana scorsa, sta provando a dividere Salvini, Meloni e Berlusconi. Del resto, basta leggere i quotidiani mainstream per rendersene conto: prima si cerca di mettere Meloni contro Salvini, poi di innalzare Zaia come leader anti-Salvini, e infine di utilizzare Toti come volto moderato anti-Lega. L’operazione è molto chiara: dividere una coalizione che stando ai sondaggi su scala nazionale sfiorerebbe il 50 per cento dei consensi e quindi potrebbe facilmente giungere a Palazzo Chigi anche con il proporzionale. Una divisione tra Lega, FdI e FI impedirebbe infatti la vittoria del centrodestra e farebbe il gioco del governo guidato da Giuseppe Conte. Un esecutivo, non va dimenticato, che tira a campare e sembra sempre sull’orlo della crisi, faticando persino nell’ordinaria amministrazione. E che, non a caso, continua a lavorare con l’unico scopo che il leader leghista rimanga lontano dal potere e il centrodestra non metta le mani sul Quirinale allo scadere del settennato di Mattarella.
Certo, bisogna riconoscere che le elezioni regionali hanno rivelato una scelta piuttosto approssimativa dei candidati in Puglia e Campania. Ma questi errori non possono far dimenticare che il centrodestra governa in ben 15 regioni su 20. E soprattutto che la sua forza elettorale è chiaramente superiore a quella dei giallo-rossi. Stando a un recente sondaggio di Ipsos, il centrodestra si attesterebbe al 47,5 per cento, con la Lega al 24, Fratelli d’Italia al 16,7 e Forza Italia al 6,8. Mentre le forze dell’esecutivo si fermerebbero al 43,2 per cento, con il Partito democratico al 19,3, il Movimento 5 stelle al 18,6 (anche se rischia di scendere a percentuali vicine al 10), Italia viva al 3,1 e Sinistra italiana al 2,2. Come si vede, anche con il proporzionale non ci sarebbe partita. Le simulazioni di Nando Pagnoncelli vedrebbero con qualsiasi soglia di sbarramento il centrodestra al governo. Nonostante alcuni mutamenti interni, con un calo della Lega a vantaggio di Fratelli d’Italia, la coalizione risulta piuttosto in salute. La Lega in particolare è ancora il primo partito in Italia e stacca in modo netto ed evidente il Partito democratico.
Malgrado i tanti commenti ostili post voto, la coalizione è dunque solida e competitiva. Servirebbero probabilmente una maggior organizzazione sui territori (la scelta dei candidati è una faccenda seria) e forse una piattaforma programmatica maggiormente condivisa, che eviti uscite stonate. Certo, per riuscire a vincere le elezioni senza affanni, una componente liberale e liberista che si affianchi a Lega e Fratelli d’Italia non guasterebbe. Ma il declino di Forza Italia e gli ammiccamenti a Renzi e alle forze di centrosinistra rappresentano un rischio che potrebbe indebolire notevolmente l’intera coalizione. Magari sottraendo quei punti percentuali cruciali per vincere le elezioni. Venendo agli scenari politici è chiaro che se non ci dovessero essere scossoni, la maggioranza potrebbe tirare avanti fino al 2023. O almeno fino all’elezione del presidente della Repubblica. Non a caso Conte continua a buttare la palla in avanti per giungere al semestre bianco di Mattarella. Proprio per questo il centrodestra deve dotarsi di una strategia condivisa che gli permetta di affrontare quella che, come ha scritto acutamente Luigi Curini, potrebbe essere una “lunga traversata nel deserto”.