I rider, ossia i ciclofattorini che collaborano con le piattaforme online per portare beni e pasti ai clienti finali, hanno assunto un ruolo importante nella quotidianità delle grandi città, complice anche l’avvento di regole restrittive per gli spostamenti dei cittadini.
Tali lavoratori, qualificati come collaboratori autonomi, sono al centro di un forte dibattito istituzionale e dottrinale, cui hanno preso parte anche il Ministero del lavoro e le principali sigle sindacali nazionali.
Nel quadro di cui sopra si è inserito il Contratto Collettivo sottoscritto da Assodelivery (la principale associazione di categoria delle piattaforme di Food Delivery) e dall’Ugl, mediante il quale le summenzionate parti hanno inteso regolamentare il rapporto di lavoro dei rider, mantenendo l’attuale autonomia e flessibilità operativa dei fattorini, ma stabilendo un pacchetto di tutele minime ed inderogabili riconosciute agli stessi.
Il CCNL sottoscritto in Italia, per la portata innovativa e l’originalità della soluzione apportata, si sta ritagliando un ruolo di apripista in Europa e nel mondo. Il CCNL Assodelivery/Ugl, infatti, costituisce un unicum perché è il primo esempio di contrattazione collettiva regolante un settore della cosiddetta gig economy in Europa e nel mondo. Si tratta di un esperimento perfettamente riuscito nel quale per la prima volta è intervenuta una contrattazione sindacale in settori per così dire “nuovi” e collegati alla digital economy. Ulteriore elemento di novità consiste nel fatto che il CCNL è intervenuto nell’ambito di rapporti di lavoro autonomi, settore storicamente non coperto dalla contrattazione sindacale. D’altronde, il confine tra lavoro subordinato ed autonomo è sempre più labile nelle esperienze connesse alla gig economy; è quindi coerente che anche per i parasubordinati o gli autonomi si ipotizzino forme di autotutela e di regolamentazione pattizia.
La bontà del lavoro svolto da Assodelivery e Ugl è dimostrata anche dal fatto che tale “esperimento italiano” sia ora preso a modello anche all’estero. La regolamentazione delle nuove professioni a livello contrattuale collettivo, infatti, garantisce una tutela customizzata e puntuale in settori che, viceversa, ove vedessero un intervento generalizzato da parte del legislatore nazionale, potrebbero essere soffocati o affossati sul nascere. È vero, infatti, che molti stati europei stanno cercando di normare in maniera rigida la prestazione dei rider (spesso riconducendoli ad un rapporto di natura subordinata o similare), tuttavia è indubbio come un livello di regolamentazione diretto tra le parti in gioco (sindacati e associazioni di categoria) possa raggiungere nel caso di specie un risultato più ottimale e confacente.
D’altronde, in sistemi giuridici come quello italiano, nel quale risulta tutt’ora vigente una netta distinzione tra autonomia e subordinazione, con una rigida suddivisione delle tutele spettanti alle due forme di lavoro, l’unico intervento che potrebbe realizzare una norma di legge in materia di rider è l’equiparazione degli stessi a lavoratori subordinati. Ciò, tuttavia, comporterebbe non solo il venir meno di una delle caratteristiche principali di tale tipologia di lavoro, ossia la flessibilità, ma ciò andrebbe anche a detrimento dell’attività imprenditoriale delle piattaforme committenti. Lo stesso discorso può valere per tutti quei Paesi che condividono con l’Italia la medesima base legislativa e culturale in tema di diritto del lavoro. In tutti questi casi, la soluzione preferibile è il mantenimento formale della prestazione nell’alveo dell’autonomia, con l’inserimento a livello pattizio di una serie di “correttivi” e “tutele” in grado di garantire buone condizioni di lavoro per tutti i rider. Insomma, esattamente quello che è stato fatto in Italia con il CCNL Rider.
Anche Oltreoceano pare che il modello contrattuale italiano possa attecchire e che, quindi, possano ipotizzarsi in futuro accordi collettivi per private contractors, ossia lavoratori autonomi. La tematica è, per esempio, al centro dell’attenzione in California, dove si intreccia con le rivendicazioni degli autisti che collaborano con Uber, nonché è stata posta in agenda dal presidente eletto Biden.
Per quanto riguarda il prossimo futuro, infine, non solo è possibile, ma è anche auspicabile che si arrivi in tempi relativamente rapidi ad una proliferazione di contratti collettivi per gruppi omogenei di lavoratori autonomi. Molte moderne professioni autonome, infatti, necessitano di flessibilità sia da parte aziendale che per il collaboratore. A ciò si aggiunga la necessità che tali figure si vedano riconosciuti alcuni livelli di tutela data la loro differente “forza contrattuale” nei confronti del committente rispetto ad un classico lavoratore autonomo. Come già detto in precedenza, il perfetto punto d’incontro tra queste due esigenze può essere agevolmente trovato all’interno di una contrattazione collettiva seria e matura anche per tali settori.