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Il fallimento dei 5 Stelle e una Terza Repubblica mai nata: un sistema politico alla deriva

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Nella primavera del 2018 il capo politico del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, proclamava la nascita della Terza Repubblica alla luce del risultato elettorale che aveva dato al suo partito il 32 per cento dei consensi. Un’affermazione roboante, che coglieva sicuramente lo spostamento del consenso degli italiani verso partiti di nuovo conio rispetto a quelli già attivi da tempo, ma che era priva di ogni fondamento. Una nuova Repubblica nasce quando alla sua base c’è un atto costituzionale che le dà il là. Oggi, a circa due anni da quel giorno si può tranquillamente dire che la Terza Repubblica è abortita, e che la causa è da cercare in larga parte nel fallimento del Movimento 5 Stelle.

Negli anni della Prima Repubblica – l’unica vera che abbiamo mai avuto, nata con l’entrata in vigore della Costituzione il 1° gennaio 1948 – il sistema politico italiano era solidissimo ma i governi erano fragili. Il baricentro del sistema era la Democrazia Cristiana (vero e proprio partito-stato), il collante l’anti-comunismo. Dopo la rivoluzione giudiziaria del biennio 1992-1994, fu Silvio Berlusconi a ereditare il ruolo: o si era con lui o contro di lui. Le elezioni del 4 marzo 2018 davano questo compito al Movimento 5 Stelle, sorta di Balena Bianca 2.0, e partito-camaleonte capace di calamitare intorno a sé i voti degli scontenti di un po’ tutto il sistema. Con oltre il 32 per cento dei parlamentari i grillini si sono rivelati l’asse attorno al quale ruota la legislatura, ma non sono riusciti a emergere come nuovo baricentro politico di un sistema, che, difatti, è fragilissimo. In primis, nel giro di soli due anni il loro consenso si è dimezzato. Inoltre, la mancanza di radicamento del Movimento sul territorio ha portato a risultati disastrosi nelle elezioni regionali e ad amministrazioni locali che non si sono distinte certamente per il buon governo. Infine, c’è una questione di fondo che rende difficile per i 5 Stelle fungere da architrave del sistema: come notava Michele Salvati agli albori del fenomeno-Grillo, il Movimento si distingue per una serie di policies in tema di giustizia (sic), ambiente e pubblica amministrazione, ma gli manca una politics di fondo a dare sostanza e spessore alla sua attività nella società italiana, nelle istituzioni, e, ovviamente, in Parlamento. Per un partito che ha fatto campagna per lungo tempo in favore del vincolo di mandato parlamentare non è esattamente esaltante vedere che la maggior parte dei parlamentari del Gruppo Misto provengano dalle proprie fila.

Il M5S sembra un partito per tutte le stagioni ma mai un partito che possa ripercorrere le orme dei suoi predecessori. Si è alleato prima con la Lega anti-immigrazione e pro-ceti produttivi del nord e poi ha trovato la sua giusta collocazione in un’alleanza di sinistra con il Pd, che sta prendendo la forma di un Fronte Progressista guidato da quel Giuseppe Conte, il quale, in tempi non sospetti, aveva affermato che “sovranismo e populismo erano inscritti nella nostra Costituzione”. La questione della classe dirigente grillina emerge costantemente nella sua drammaticità con sgangherati e sgrammaticati interventi nelle aule parlamentari, con lo scarso peso politico di alcuni suoi ministri e con il continuo ricambio delle strutture interne al partito: il sito Rousseau (che viene consultato spesso a cose fatte), il Direttorio, le uscite del libero battitore Di Battista a caccia di spremute di umanità. Il consenso per i grillini è crollato verticalmente soprattutto nelle aree in cui hanno promesso le cose più irrealizzabili, tipo fermare il TAP o l’annosa questione della TAV Torino-Lione. Il 32 per cento ottenuto non più tardi di due anni fa si sta traducendo in un elettorato già in libera uscita che cerca nuovi protagonisti, impedendo così di puntellare il baricentro del sistema politico. La folta pattuglia di grillini che occupa il Parlamento in questa legislatura probabilmente risulterà dimezzata alla prossima tornata elettorale. Chi erediterà il loro consenso? Il sistema politico saprà rafforzarsi o siamo destinati a una perenne fragilità? Ai posteri l’ardua sentenza.

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