Il falso nesso tra armi e razzismo in America. E con Biden-Harris vita dura per la polizia Usa

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Essendomi davvero stancato del politically correct che ci viene propinato a tonnellate ogni giorno dai mass media, e in primo luogo dai social network, mi sento obbligato ad esporre alcune brevi considerazioni dove di politicamente corretto non v’è traccia. La voglia mi è cresciuta dentro constatando che la tendenza sta ormai prevalendo anche negli Stati Uniti. E le conseguenze si vedono, come poi dirò.

Dunque. In un articolo di alcuni anni orsono scritto dal premio Nobel per la letteratura Toni Morrison (deceduta nel 2019), pubblicato in prima pagina su la Repubblica, veniva prospettato un nesso di conseguenza logica fra la diffusione delle armi in America, il razzismo e la crescente frattura che si avverte negli Usa tra forze dell’ordine da un lato e comunità nera (appoggiata da alcuni politici) dall’altro.

Che nella società americana sia molto diffusa la cultura dell’autodifesa, che autorizza l’uso delle armi, è risaputo. Non c’è alcunché di misterioso in tutto questo. È un fatto spiegabile senza difficoltà rammentando la storia della nazione, basata sull’individualismo e sulla convinzione che la risposta armata di fronte all’aggressione di criminali di qualsiasi tipo sia del tutto legittima e giustificata.

Si noti, tra l’altro, che anche grazie a tale cultura diffusa gli Stati Uniti sono diventati la prima potenza mondiale. Essendo i suoi cittadini abituati a maneggiare armi, risulta più facile – rispetto all’Italia e ad altri Paesi europei – addestrare le reclute e inviarle in missioni di guerra. Da noi il pacifismo imperante rende invece più arduo tale compito, inducendo al pessimismo nel malaugurato caso di attacco straniero al nostro territorio.

Scriveva dunque la Morrison che “le cosiddette leggi stand your ground for self-defense (che consentono a una persona armata di sparare a un presunto aggressore in base alla mera percezione di pericolo per la sua incolumità) permettono a chiunque di uccidere chi si trovi nella sua proprietà”.

Vero. Ma è forse migliore la situazione in Italia, dove per esempio un negoziante aggredito, se spara, rischia non solo di finire in galera, ma anche di dover risarcire l’aggressore? E dove lo stesso negoziante, che secondo i giudici non dovrebbe in alcun caso far fuoco, è obbligato a valutare nel giro di pochi secondi se il delinquente intende colpirlo sul serio oppure appropriarsi “soltanto” del suo denaro? Con ciò lasciando intendere che, in fondo, il furto del denaro altrui non costituisce reato?

E vengo ora alla questione del razzismo. La Morrison, lei stessa afroamericana, sosteneva che la polizia Usa è intrinsecamente razzista, scordando alcuni particolari importanti. In primo luogo non diceva che moltissimi neri fanno parte delle forze dell’ordine e subiscono anch’essi aggressioni. In secondo luogo dimenticava che tanti comandanti della polizia nelle principali città Usa sono, per l’appunto, neri.

Da rammentare inoltre il comportamento dell’ineffabile sindaco italo-americano di New York, il democratico Bill De Blasio. Sul suo caso molto è stato scritto, e mi limito a notare che il sindaco di una grande metropoli non dovrebbe indurre i propri figli a diffidare delle forze dell’ordine. Certo la polizia americana ha fama di durezza, ma non si vede come potrebbe lavorare diversamente in un contesto di quel tipo. Ancora una volta chiedo: meglio questo oppure il caos italiano, dove polizia e carabinieri vengono costantemente aggrediti, e pure criticati quando si difendono?

Aggiungo un’ultima chicca dell’articolo di Toni Morrison. Al tempo la scrittrice non era d’accordo con chi sosteneva che Barack Obama avrebbe dovuto fare di più per “difendere i neri”. Notando che era il presidente di tutti (e ci mancherebbe), affermava poi in modo quasi casuale: “Non dimentichiamo che sua madre e chi lo ha cresciuto erano bianchi”. Con ciò lasciando intendere che, se fosse cresciuto in una famiglia integralmente nera, avrebbe assunto un comportamento diverso.

I lettori di Repubblica apprezzarono molto il pezzo. Io – lo confesso – assai meno. Del resto sono ormai molti i Nobel che, dopo aver ricevuto il prestigioso premio, fanno dubitare della bontà delle scelte operate dalla giuria di Stoccolma. Basti pensare a tanti Nobel per la pace.

Mi accorgo ora di aver usato all’inizio di questo articolo l’espressione “cultura dell’autodifesa”, collocandomi ipso facto al di fuori dei confini che delimitano il politicamente corretto. Tuttavia non me ne pento affatto. È precisamente quel tipo di cultura, quella della Frontiera e del West, ad aver creato l’America com’è ora. O, meglio, com’era. Giacché pure l’America è cambiata, e negli ultimi anni i cantori del politically correct sono diventati maggioranza. Senza dubbio la presidenza Trump ha segnato un punto di svolta. Tuttavia le prime mosse di Joe Biden, efficacemente affiancato dalla sua vice Kamala Harris, lasciano chiaramente intendere che si sta tornando indietro. Le forze di polizia degli Stati Uniti avranno, col nuovo presidente, vita dura. Con tutta probabilità vedranno diminuire i fondi ad esse destinate, rendendo sempre più difficile da gestire una situazione dell’ordine pubblico già di per sé esplosiva.

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