La campagna elettorale non finisce mai, neanche quella per il Quirinale. Dev’essere per questo che il ministro della giustizia, Marta Cartabia, torna a dar segni di sé e non tanto sul campo minato della magistratura quanto su quello, più soffice, più istituzionalmente fecondo, dell’odio. Di fronte alla pomposa “Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza”, per gli amici Commissione Segre, Cartabia si è prodotta in uno di quei discorsi preteschi, tendenza Comunione e Liberazione, che vanno letti in controluce, se non alla rovescia, come si ascoltavano un tempo i dischi di rock oscuro. “Contro i discorsi d’odio non si può puntare solo sulla repressione”, ha scandito il ministro, aggiungendo che occorre “educare, prevenire e riparare”. Discorso in apparenza conciliante, nella realtà minaccioso: educare, sprigiona già odore di zolfo, di stato etico, di scuola militante e non – precisiamo l’ovvio a beneficio degli sciocchi e di quelli in malafede – perché sia cosa buona e giusta odiare; ma perché se è una istituzione, un ministro, una commissione a decidere cosa è odio, allora proprio non ci siamo. Difatti siamo a questo punto, ossia a un punto morto.
Gli intenti di Cartabia si svelano poco dopo: quando si duole perché “non si vede a pieno assolta l’auspicata funzione di deterrenza”, cioè troppo pochi processi, troppo poche sentenze e per di più blande. Alla Guardasigilli non passa per la testa la veneranda massima latina, plurimae leges corruptissima republica, per dire la pioggia di norme che vietano tutto, dagli insulti veri e proprio sino ai sospiri o alle critiche: lamenta che negli ultimi anni si sia “registrato un aumento esponenziale dei discorsi d’odio, a fronte invece di un esiguo numero di procedimenti giudiziari”. Più chiaro di così… Ma il peggio sarebbe che, quand’anche il processo arrivi a conclusione, sfocia in un’assoluzione o a una sentenza di non doversi a procedere. Da cui la conclusione, che sintetizziamo dal suo intervento: “Questi dati confermano che il diritto penale serve, ma non basta. Per contenere questo tipo di fenomeni, oltre al diritto penale serve educare, prevenire, riparare”. Cioè andare più a fondo, nelle menti, nella psiche. Sì, ma secondo quali parametri? Cartabia ci gira intorno, e che altro potrebbe fare? Ammettere che una impostazione simile è pericolosa? Sì, certo, il politichese tira in ballo l’educazione, la sensibilizzazione, la domanda e l’offerta, “la responsabilizzazione delle piattaforme che fanno business, con codici di autocondotta, perché la parola d’odio attira tanto”.
Chiacchiere fritte con l’olio della banalità, senonché i social sono già oggi soffocati da un controllo che neanche la Stasi: e tutto a senso unico. Non è più la vecchia storia del dipinto, della foto artistica, della copertina di un disco che costa il bando temporaneo, tutta roba superata; qui anche solo inserire dati ufficiali, reali, non “grezzi” a proposito della pandemia provoca il congelamento immediato: e sappiamo tutti che ritrovarsi impediti sui social è un trauma, perché il ricatto è stato di renderli necessari, imprescindibili per il lavoro, per qualsiasi genere di contatto, per la stessa navigazione, in una parola: per esistere. Ma i vari Facebook, Twitter, YouTube, non fanno una piega e, schermandosi dietro misteriosi algoritmi, che invece sono manovrati da esseri umani fatti e finiti, stringono sempre più le maglie. Col Covid la faccenda è diventata intollerabile, oltre la stessa faziosità. Basta che uno ti segnali in fama di no-vax e sei fuori. Basta una critica al governo o a una qualunque istituzione, e si passa per odiatori seriali, venendo giustiziati sul posto. Con modalità anche psicotiche: a chi scrive è appena capitato di ritrovarsi sospeso prima per un giorno, poi per tre, avendo cercato di condividere su un social l’indirizzo personale su un altro social: un link, per essere chiari, senza commenti o foto o nient’altro; qualcuno ha concluso che io stavo adescando, cercavo vittime, e ha provveduto.
Chi ha odiato chi? Sempre al vostro affezionato cronista, succede di ritrovarsi negare la pubblicità da Google AdSense sul proprio personalissimo blog, perché Google si arroga il diritto di leggere e sindacare i contenuti: ma perché io, per una multinazionale che sta in California posso solo scrivere che bisogna votare Pd e se dico che i cosiddetti no-vax sono esseri umani, vengo penalizzato?
Non basta, e a questo punto la situazione si fa peggio che ideologica, si fa sfacciatamente cialtronesca: odio, odio dappertutto, appelli del ministro a tamponarlo, a (ri)educare, a punire, controlli demandati a una commissione e poi, però, trovi perle come le seguenti, depositate in due anni di violenza mediatica efferata: “I no-vax sono pericolosi, non voglio essere infettata da loro” (Alessia Morani, parlamentare Pd); “I no-vax sono un ricettacolo di casi psichiatrici, devono ridursi a poltiglia verde” (Selvaggia Lucarelli, giornalista); “Mi divertirei a vederli morire come mosche” (Andrea Scanzi, giornalista); “I rider devono sputare nei cestini dei no-vax” (David Parenzo, giornalista); “I loro inviti a non vaccinarsi sono inviti a morire” (Mario Draghi, primo ministro); “Non meritano considerazione e copertura mediatica” (Sergio Mattarella, capo dello Stato); “Sarò felice di mettergli le sonde necessarie negli appositi posti, lo farò con un pizzico di piacere in più” (Cesare Manzini, infermiere); “Gli bucherò una decina di volte la stessa vena facendo finta di non prenderla, poi altro mi verrà in mente” (Francesca Bertellotti, infermiera); “Per loro non faccio le corse, si arrangiassero” (Stefania Trezza, infermiera); “Sono dei criminali, il male, associazioni organizzate contro lo Stato, vanno perseguiti come si fa coi mafiosi” (Matteo Bassetti); “Continueremo a rendervi la vita difficile” (Pierpaolo Sileri); “Se fosse per me costruirei anche due camere a gas” (Marianna Rubino, medico); “I cani possono sempre entrare, solo voi, come è giusto, resterete fuori” (Sebastiano Messina, giornalista); “Se riempiranno le terapie intensive, mi impegnerò per staccare la spina” (Carlotta Saporetti, infermiera); “Campi di sterminio per chi non si vaccina” (Giuseppe Gigantino, cardiologo); “Un giorno faremo una pulizia etnica dei non vaccinati, come il governo ruandese ha fatto con i tutsi” (Alfredo Faieta, giornalista); “Prego Dio perché i no-vax si infettino tra loro e muoiano velocemente” (Giovanni Spano, vicesindaco); “Bisogna essere più duri e incriminare chi non si vaccina, a scuola, al lavoro, ovunque” (Filippo Maiolini, medico); “Serve Bava Beccaris, vanno sfamati col piombo” (Giuliano Cazzola, ex sindacalista); “Sono teste di cazzo, mandategli a casa i carabinieri” (Luca Telese, giornalista); “Non sarà bello augurare la morte, ma qualcuno sentirebbe la mancanza dei no-vax?” (Laura Cesaretti, giornalista); “Escludiamoli dalla vita civile” (Stefano Feltri, giornalista); “Creano terrorismo e terrore, vanno arrestati” (Paolo Guzzanti, giornalista); “Se mi arrivano sotto, il Covid gli sembrerà una spa rispetto a quello che gli farò io” (Vania Zavater, infermiera); “Sono sorci” (Roberto Burioni, televirologo); “Cento euro di multa sono niente, meritano di pagare molto di più” (Martina Benedetti, infermiera influencer).
È solo un minuscolo florilegio, non abbiamo l’eternità per contare tutti i fiotti d’odio, le fontane di crudeltà come dopo l’insegnante che si è dato fuoco a Rende: “Dovrebbero imitarlo tutti i no-vax”. Cartabia ha notizia di uno, un solo provvedimento dalla imprescindibile Commissione Segre? Dall’Ordine dei Giornalisti? Da quello dei Medici? Da quello degli Infermieri? Dalla stessa Liliana no, lei ha avuto modo di far sapere urbi et orbi come la pensasse: “Stessero chiusi in casa senza danneggiare gli altri”. Ed è una reduce dai campi di concentramento a parlare. Ma le evocazioni dei forni, dei lager non sembrano averla minimamente turbata così come le discriminazioni alla Pregliasco negli ospedali, le irrisioni, le provocazioni, le filastrocche del gastroenterologo Cartabellotta, per irridere i malati no-vax. O le penose pantomime di Fiorello che inscena scatti spastici per gettare nel ridicolo questi ultimi, ma anche chi ha patito reazioni avverse dopo il vaccino.
Forse la Guardasigilli ha ragione, c’è molto da rieducare, prevenire e riparare. Ma niente paura, siamo già alla fase successiva, quella del “io non l’ho mai detto”. Sarà che il vento è cambiato e tutti ammettono che il lasciapassare era, resta una misura di mero potere, una espressione del regime; sarà che i dati grezzi si vanno dimostrando per falsi, manovrati; che la conta degli infetti e dei morti risulta irrimediabilmente adulterata per volgarissime questioni di business, di rimborsi, di carriere. Insomma, tra poco non si troverà più uno disposto ad ammettere di aver vomitato le frasi che ha vomitato. E l’omertà della “commissione contro l’odio” aiuterà il processo di rimozione forzata, di archiviazione negli scantinati dell’oblio. Sono processi spontanei, cicatrizzano da soli. Però fanno schifo lo stesso: forse, cara Guardasigilli, più che di corsi di stato per contrastare “l’odio”, c’è urgente bisogno di lezioni di decenza, dignità, serietà, coerenza, lealtà. Ma conveniamo che tutto questo, con la politica, non ha niente a che fare.