Il governo dell’emergenza, un coro sgangherato che non ha nemmeno un direttore d’orchestra all’altezza

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Oggi parliamo di musica. Se partiamo dalla considerazione che la drammatica epidemia che ci attanaglia sta dimostrando che noi vogliamo tutto ed il contrario di tutto, penso all’estrema varietà della musica che possiamo ascoltare. Prevale, comunque, uno strano coro, quello che sta formando la colonna sonora di questi nostri giorni di reclusione domestica. Da una parte cantano i libertari che inneggiano all’insopprimibile diritto all’autodeterminazione individuale, dall’altra i cultori dello stato forte, che sappia mostrare fermezza quando ciò abbisogni; chi lo canta meglio e chi peggio, ma non basta: vi sono pure quelli che, dietro ai reggi-spartito centrali del coro, vorrebbero sia più libertà individuale che, allo stesso tempo, uno stato dal pugno di ferro che ci conduca risolutamente fuori dalla burrasca. Il risultato pratico, pur facente omaggio alla diversificazione delle opinioni ed essendo una dimostrazione di pluralismo, è un coro che canta un po’ diversamente da come potremmo aspettarci, ossia secondo quelle regole di armonia musicale che rende piacevole la musica.

Manca forse un bravo direttore del coro? Forse, ma non soltanto quello. Potrebbe essere, magari, anche la conseguenza della nostra poca conoscenza della musica che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare di primo acchito, richiede un processo di affinamento dell’orecchio ed un po’ di pratica per premetterle di essere gustata in ogni sua sfumatura. Senza un minimo di pratica d’ascolto di quel genere, anche un capolavoro di Bach sembrerebbe poca cosa, anzi annoierebbe. Accade oggi qualcosa a cui non eravamo pronti né preparati ad esserlo, ossia l’essere costretti a cantare in coro, senza aver familiarizzato con gli altri componenti del coro e senza avere il medesimo spartito davanti agli occhi. Considerando, poi, che nemmeno tutti i componenti conoscono la notazione musicale e che, quindi, non possono trarne guida e contenimento individuale, la forma musicale risultante è assolutamente cacofonica. In Italia, è forse la prima volta da secoli che ci sia stato richiesto di cantare assieme, ciascuno facendo la propria parte, senza averla studiata del tutto e senza poter delegare ad altri ciò che si debba o non si debba fare. Ora più che mai, nessuno può tirarsi indietro, fermarsi a riflettere prima di agire, attendere istruzioni precise e chiare che possano evitarci di sbagliare.

L’errore individuale può finire in tragedia molto più frequentemente di quanto accadesse fino a tre mesi fa. Un destino bizzarro e totalmente imprevisto ci sta mettendo tutti alla prova dei fatti, dei comportamenti reali e pratici, come reale e pratico è il rischio che tutti ci accomuna oggi. I direttori del coro sono anche troppi e sempre più se ne propongono, giorno dopo giorno, ma il coro continua a non avere uno spartito comune e non può nemmeno fare conto su un’orchestra di capacità indiscutibile che ne possa attenuare le sue inevitabili stecche, fondendo tra loro ed armonizzando le singole voci che lo compongono.

Proseguendo con questa disamina in chiave musicale, potremmo affermare che, intanto, pochissimi sanno leggere la musica e, già qui, il primo ostacolo è determinante. Per leggere lo spartito, che sia comune o soltanto indicante la parte che ciascuno di noi dovrà cantare, bisogna aver studiato la musica. Era necessario farlo? Forse sì, probabilmente sì, ma ormai è tardi per impararla in quattro e quattr’otto. Togliamo quindi di mezzo lo spartito che, a tal punto, non serve più. Inutile perdersi adesso nelle disquisizioni sull’utilità di insegnare la musica ai bambini delle elementari. Chi la sa, la sa e gli altri vanno ad orecchio (ammesso che ne abbiano). Occorre, dunque, un paziente direttore d’orchestra che sappia almeno fare entrare nella testa dei baritoni, dei soprani, dei contralti e dei tenori la loro parte, con ogni mezzo e con la complicazione dello spettacolo che sta per iniziare.

Se ne trovano molti sulla piazza? No di certo, anzi sono così rari da costituire un’eccezione alla regola e, di solito, quei pochi che ci riescono lo devono unicamente allo straordinario carisma personale che permette loro di farsi capire ed insegnare a tutti la giusta composizione senza lunghe ed estenuanti prove. Non ci si può improvvisare direttori d’orchestra, del coro o, peggio ancora, di tutti e due assieme. Lascio ai lettori le dovute considerazioni sull’abilità, l’esperienza, la capacità e sull’estro degli attuali nostri direttori d’orchestra, ma credo che, tolti i pochi sfegatati che, più o meno interessatamente applaudano comunque e, magari, a comando, possiamo tutti constatare che non stiamo ascoltando Von Karajan.

Sembrerebbe persino che gli spartiti siano stati composti da autori diversi e più volte rimaneggiati, col risultato che taluni suonano versioni diverse della stessa opera. Il risultato dell’esecuzione collettiva è, indubitabilmente, pessimo e non piace a nessuno. Responsabilizzare individualmente tutti, ma proprio tutti i sessanta milioni di italiani, sparsi tra il germanofono Alto Adige fino alla Trinacria, affinché affrontino nello stesso modo e col medesimo sentimento nazionale una così grave calamità è una pura utopia, proprio nel momento in cui le illusioni fanno altro danno. Sappiamo bene che le tradizioni locali e le diverse realtà sociali ed infrastrutturali costituiscono tutt’oggi un motivo di disomogeneità tra regione e regione ed una obiettiva difficoltà dì applicare uno schema che si attagli perfettamente ad ogni realtà locale, ossia al cuore della nostra nazione, fatta prevalentemente di provincia e paesi più che di metropoli che tutte s’assomigliano.

Verrebbe da chiedersi se, dato che in coro cantiamo malissimo e che l’orchestra non suona nemmeno così bene, non sarebbe meglio se si cantasse da soli le canzoni che ciascuno di noi conosca bene e che appartengano, perlomeno, allo stesso genere musicale, evitando di improvvisarci in generi musicali dei quali sappiamo nulla. Temo, tuttavia, di conoscere almeno una delle possibili riposte: cantando in coro, la stecca individuale potrebbe anche passare inosservata agli ascoltatori, anche se non sfuggirebbe ad un bravo direttore, e ciò rincuora e dà coraggio a quelli che, al massimo, possono cantare nel coro parrocchiale, senza esporsi alla gogna dell’esibizione individuale sul palco. “Ha sbagliato, lui e non di certo io”. “Ha sbagliato lei ed io le sono andata dietro”. Cantare in gruppo, dalle canzoni delle gite in corriera al “Va pensiero”, è qualcosa che certamente permette di condividere imprecisioni ed errori, mentre esibirsi da solisti richiede preparazione, capacità, coraggio. Sentiamo spesso parlare, proprio in questi giorni, di “uomo solo al comando”, con un termine che, più che alla musica, si riferisce al ciclismo, ma sempre riferito a dei fuoriclasse in fuga, che quell’exploit individuale verso il traguardo di tappa l’hanno certamente potuto realizzare grazie al lavoro di un gruppo coeso ed organico, composto da gente che pedala, più o meno, allo stesso modo, ossia da professionisti. Altrettanto sanno fare i professori d’orchestra, anche quando uno di essi esegua un (previsto e limitato) assolo. L’assolo lo saprebbe eseguire anche un suo collega, ma è la partitura musicale ad assegnarlo a questo o quel componente dell’orchestra e, prima o poi, l’assolo, finisce e lascia spazio all’ensemble. Anche n questo caso, lascio a chi mi legge di fare gli accostamenti che ne possano derivare, riferendoli all’attuale gestione dell’emergenza nazionale.

Chi sia (e se ci sia) il vero direttore d’orchestra, quanto sia virtuoso e capace di dirigerla, quale sia la capacità individuale dei singoli musicisti e, non dimentichiamolo, quale sia la preparazione culturale e musicale di chi ascolta l’opera non voglio dirlo io. Fate voi, a vostro piacimento, anzi, ad libitum.

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