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Il governo deve morire, dicono, ma non si capisce a chi convenga staccare la spina…

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Saltando da un quotidiano all’altro, da un talk show a un altro, sembra data come del tutto scontata la morte del Governo, considerando qualsiasi ripresina come una reazione agonica. I familiari preparano le lagrime di circostanza, i compagni e gli amici si apprestano al duro lavoro dei necrologi, i giornalisti predispongono i coccodrilli, i nemici di ieri studiano i visi di condoglianze, cercando di evitare quanto successo all’ispettore Clouseau al falso avviso della morte della Pantera Rosa, di scoppiare in un pianto simulato, interrotto da sgangherate risate liberatorie.

Che debba morire è fuori discussione, essendo in coma irresistibile, con tanto di spina che gli assicura il funzionamento artificiale del cuore; ma il problema un po’ anomalo, è che a staccare la spina dovrebbe essere non un medico contrario all’accanimento terapeutico, ma lo stesso paziente. Cioè un suicidio più o meno assistito, che richiederebbe un paziente cosciente, che peraltro, stando al copione, non c’è.

Quindi bisogna, prima, rianimarlo, poi convincerlo a farlo; già, ma con quale mano, quella gialla o quella verde? Quale sarebbe la convenienza della mano verde? Quella, si giura, di far sciogliere le Camere, andare ad una campagna elettorale in agosto, costruire una maggioranza sotto la guida del capitano e…; è da quel “e” in poi che il discorso si fa difficile, anche a prescindere dal fatto, confermato dal recente passato, che, una volta consegnata la bacchetta al presidente della Repubblica, la scelta dello spartito è tutta sua. Se il “Capitano” teme di dover affrontare la resa dei conti in autunno, perché dovrebbe farlo non da vicepremier ma addirittura da presidente del Consiglio di un monocolore di fatto? Bisogna considerarlo molto ingenuo a pensare che lui si creda in grado di battere i pugni più forte sul tavolo dell’Ue, dato che questa prova di forza si gioca nelle prossime settimane o mesi.

Solo che così non si capisce quale sarebbe la convenienza della sinistra, che, infatti, privilegia di gran lunga che a staccare la spina sia la mano gialla. Ma la mano gialla ha buone ragioni per non farlo: la perdita della maggioranza relativa in Parlamento, con una qual sorta di tutti a casa per i suoi deputati e senatori, passati dal Purgatorio della loro vita quotidiana al Paradiso della loro vita attuale a giocare alla rappresentanza nei palazzi romani; la auto-esclusione dal sedere alla tavola conviviale in cui si spartirà la ricca dote di cariche strategiche, in autunno; la rinuncia a giocare, con la briscola in mano, per l’elezione del presidente della Repubblica, che, per quanto non prossima, lumeggia in fondo alla legislatura. Infatti, la presunta convenienza è tutta della sinistra. La favola metropolitana raccontata è quella per cui da qui a settembre, ultima data ragionevolmente prevedibile per una consultazione elettorale, il Pd sarebbe in grado o di crescere in maniera geometrica o di creare un’alleanza con movimenti civili auto-organizzati, con un partito di centro non meglio identificato, con un revival dei Verdi e chi più ne ha, più ne metta. Ma la realtà, occultata alla bene e meglio, è un’altra, cioè di realizzare quel che è improponibile in questa legislatura, una coalizione fra Pd e 5Stelle, a far fronte comune contro il blocco di destra.

Già, ma i conti non tornano e, per quanto i nostri amici grillini siano poco usi a cavarsela con i numeri, questo lo capiscono anche loro. Anche a farli sulla carta bisunta di un macellaio, il risultato è sempre lo stesso, cioè di lasciare una coalizione in cui sono in maggioranza, che – dopotutto conterà ben qualcosa – è capace di tenere a bada il loro nerboruto coinquilino; questo, per andare in una altra, prevedibilmente in minoranza, a far da spalla ad un Pd, che più magnifica la tendenziale omogeneità con la base residua dei 5Stelle, più coltiva l’illusione di spolparli a dovere.

È una sinistra che gioca al lotto, sperando sempre che una qualche combinazione potrebbe uscire su questa o quella ruota. Così può evitare di darsi pena di formulare quattro o cinque idee identitarie capaci di fargli recuperare consenso. Il potenziale bacino di pesca non è a sinistra, ma al centro, come aveva capito Renzi e ora capisce il solo Calenda. Certo occorre rischiare, ma il Pd è come un giocatore che abbia appena recuperato un discreto margine di fiches, sì che fa sua la parola “passo”, per evitare di riperderle. Ma come dice il vecchio adagio elettorale “chi non risica, non rosica”.

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