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Il Jcpoa è fallito: Biden vuole negoziare con Teheran, ma dovrà ripartire dalle condizioni poste da Trump

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Dopo l’annuncio solo mediatico per ora dell’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca qualcuno ha iniziato a ragionare su quale potrebbe essere la sua politica per il Medio Oriente, e soprattutto verso l’Iran. Molti analisti, tra l’altro, hanno fatto notare che sia Israele che l’Arabia Saudita hanno offerto le loro congratulazioni 24 ore dopo altri leader, per ovvie ragioni di stretta vicinanza al presidente Trump.

Per quanto riguarda l’Iran, si dà per scontato che Biden in qualche modo riaprirebbe il negoziato con Teheran. Il tema su cui si discute, quindi, non è se, ma quando. Secondo il sito israeliano Ynet, Biden avrebbe già composto un team negoziale, che comprenderebbe tra gli altri Antony Binker, ex vice direttore della sicurezza nazionale durante la presidenza Obama, e Jack Sullivan, già consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, quando quest’ultimo era il vice di Obama. La questione, tra l’altro, sarebbe stata da tempo condivisa con gli israeliani (tanto che si dice che il negoziato includerà alcune richieste israeliane, volte a rendere impossibile un nuovo conflitto col Libano, ovvero il depotenziamento di Hezbollah). Sempre secondo Ynet, il negoziato vero con Teheran si riaprirebbe solo dopo giugno 2021, ovvero dopo che gli iraniani avranno eletto il nuovo presidente.

Detto questo, non avrebbe senso che il negoziato con l’Iran si svolga sulle stesse basi di quello del 2015. Troppa acqua è passata sotto i ponti ed è stato chiaro a tutti che proprio il fallimento del Jcpoa ha facilitato la firma degli Accordi di Abramo, lodati pubblicamente dallo stesso Biden. Dunque, se negoziato dovrà essere, sarebbe logico ripartire dai punti che Trump e Pompeo avevano elencato tempo fa, per giungere ad un accordo completamente nuovo con la Repubblica Islamica. Va ricordato, infatti, che Trump non ha mai detto di non volere un accordo con gli iraniani: ha però detto, per bocca del suo segretario di Stato Pompeo, che questo nuovo accordo doveva essere fondato su 12 condizioni molto chiare, tra cui la fine del programma missilistico iraniano e delle politiche regionali offensive dei Pasdaran, soprattutto in Iraq, dove Biden vorrà sicuramente continuare il processo di ritiro americano avviato anni addietro da Obama (ritiro, anche in questo caso, eseguito rovinosamente, nei fatti è andato proprio a favore dell’Iran).

Inaspettatamente, però, il principale ostacolo a questo eventuale nuovo negoziato, potrebbero non essere Israele o l’Arabia Saudita. Certo, Gerusalemme e Riad – così come Abu Dhabi – vorrebbero una continuazione dell’azione di Trump, ma non sono attori che vivono fuori dalla realtà. L’Iran esiste, e se è possibile con questo Paese una convivenza pacifica basata sulla fine delle politiche “rivoluzionarie” – terroriste – di Teheran, ben venga.

Il principale oppositore di questo negoziato potrebbero essere proprio i Pasdaran iraniani. La ragione è semplice ed è prevalentemente economica. Mentre gli iraniani vorrebbero una normalizzazione delle relazioni tra il loro Paese e la comunità internazionale, i Pasdaran hanno il pieno vantaggio a proseguire nella loro posizione oltranzista. Più l’Occidente è costretto a imporre sanzioni verso l’Iran, più si apre per le imprese controllate dalle Guardie Rivoluzionarie la possibilità di aumentare il loro controllo dell’economia nazionale (già oggi profondissimo). Questa politica potrebbe essere favorita proprio dal successore di Rouhani, che con il sostegno di Khamenei e del Consiglio dei Guardiani potrebbe essere proprio una personalità proveniente dai Pasdaran. Due dei candidati più papabili sono Mohammed Bagher Qalibaff, ex sindaco di Teheran e oggi speaker del Parlamento iraniano, e Hossein Deghan, già ministro della difesa e oggi consigliere personale di Khamenei. Entrambi, prima di ricoprire ruoli politici, hanno avuto una lunga carriera come comandanti dei Pasdaran.

Non è dato sapere oggi chi del “fronte moderato” sfiderà eventualmente questi candidati ultra conservatori. Così come non è dato sapere quale sarà la reazione della popolazione iraniana, ormai stanca e depressa da una crisi economica quarantennale. Sappiamo però che quelle in Iran non sono elezioni libere, dato che i candidati sono accettati solo se rientrano in precisi schemi stabiliti dal regime, uno dei quali è la totale fedeltà alla Guida Suprema. Una Guida Suprema che, al contrario del presidente Rouhani, non ha accolto positivamente l’annuncio della vittoria di Biden, chiarendo subito che, al di là di chi sarà il presidente, gli Stati Uniti resteranno il nemico per eccellenza dell’Iran. Una affermazione netta e rilevante, perché qualsiasi nuovo negoziato tra Usa e Iran, dovrà passare proprio per l’autorizzazione di Khamenei…

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