Il libro di Ettore Puglisi: “Il ruolo della scuola per l’Unità d’Italia”

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È in uscita per le edizioni Historica di Francesco Giubilei un prezioso saggio di Ettore Puglisi, di cui Atlantico raccomanda assolutamente la lettura. È un viaggio nell’istruzione negli Stati italiani dell’Ottocento. Come invito alla lettura del saggio, pubblichiamo l’introduzione curata da Daniele Capezzone

Merita davvero ogni attenzione questo lavoro certosino di Ettore Puglisi: per la buona, anzi l’ottima fatica di una ricerca così accurata e approfondita; e, ancora di più, per la passione che promana da ogni singola pagina. È un lavoro che colma un vuoto, e insieme apre un percorso: a meno di miei errori, con pochissime eccezioni, tra cui Macerata, non esistono corsi universitari dedicati alla storia delle istituzioni scolastiche nel periodo affrontato in questa ricerca.

Certo, dal punto di vista del lettore, colpisce scoprire quanto – in contesti così diversi nel tempo e nello spazio – la discussione sulla scuola sia stata quasi sempre inchiodata agli aspetti organizzativi, delle risorse, si potrebbe dire alla dimensione “politica” e “sindacale” della questione. Lasciando inevitabilmente indietro, cioè lasciando soli – gli uni con gli altri – i veri protagonisti: i maestri e gli alunni, i docenti e i discenti.

Chiamati – da due prospettive diverse – allo stesso miracolo, alla medesima sfida: crescere, migliorarsi, non deludere, far tesoro dei propri talenti. Superare le insicurezze, imparare a non abbattersi alle prime difficoltà: tutte prove a cui è sottoposto non solo chi sta sui banchi, ma pure chi parla dalla cattedra.

Restano un dolore e due interrogativi, venendo all’oggi. Il dolore è legato alla difficoltà di tanti di tenere lontano dalle aule (e dai libri di testo) ideologia e connotazioni faziose: socraticamente, il compito di chi insegna dovrebbe essere quello di “tirare fuori” più che di “mettere dentro”.

I due interrogativi riguardano il futuro, che è o dovrebbe essere già qui. Il primo: in tutti i settori e gli ambiti della vita (dallo sport alla medicina) si procede verso l’individualizzazione del percorso: allenamento personalizzato, cura personalizzata, eccetera. Ecco, a me pare invece nelle nostre scuole sia ancora troppo forte il grado di insegnamento omogeneo e generalizzato, e che sarebbe preferibile maggiore flessibilità. Se ne parla nei convegni, nei documenti ministeriali: ma poi, magicamente (e non è magia buona), il tema sparisce e quasi si inabissa, e si procede come sempre. Con una contraddizione lampante: si parla tanto di diversità, di differenze come ricchezza, ma poi continuiamo a offrire solo uniformità. E a sottovalutare il vero dramma del nostro tempo: per mille ragioni (gli stimoli digitali, la velocità in cui siamo immersi), la soglia di attenzione tende ad accorciarsi in modo feroce: a maggior ragione, per catturare l’attenzione del ragazzo, bisognerebbe offrirgli qualcosa che sia “proprio per lui”.

Secondo interrogativo: ma perché accettiamo che l’asticella si abbassi così sistematicamente? Nello sport, se c’è un ragazzo dotato, troviamo normale che ci siano per lui allenamenti extra. Perché, quando invece si tratta di doti intellettuali, abbiamo timore di spingere troppo e di essere considerati eccessivamente esigenti? Addirittura arrivando a colpevolizzare docenti e genitori, se per caso “insistono”. Come se fosse appagante l’alternativa che implicitamente si propone: accontentarsi, galleggiare, non provare a fare – ciascuno in base alle proprie capacità – meglio, un po’ meglio.

Sono interrogativi che restano aperti e irrisolti. Ma la lettura di questo saggio di Ettore Puglisi conferma una regola antica: solo guardando indietro possiamo capire cosa abbiamo davanti, intuire soluzioni, costruire proposte adeguate, e continuare a sperimentare e a correggerci, con umiltà.

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