Secondo una visione naïve occidentale, alcuni gruppi terroristici non appaiono per quello che sono, ma per quello che vorremmo che fossero. Organizzazioni armate, ma pronte a scelte di realismo politico, ad abbracciare una visione del mondo fondata sul nostro modo di ragionare, quando gli venisse offerta questa possibilità, per esempio a passare alla lotta meramente politica abbandonando quella armata.
Si tratta del tipico pregiudizio positivo che viene applicato ad Hezbollah da molti politici occidentali. Ormai, per molti osservatori, sebbene sia un gruppo armato, Hezbollah va considerato a tutti gli effetti un partito politico che ha scelto di spendersi unicamente per il Libano, rinunciando al suo primario obiettivo: quello di trasformare anche il Paese dei Cedri in una Repubblica Islamica.
Le cose però non stanno così. Alcune priorità su cui un gruppo terroristico nasce possono essere celate dietro alcune parole, ma sostanzialmente non cambiano. Nel caso di Hezbollah, l’obbedienza cieca al regime iraniano non cambierà mai. Perché non è solo una obbedienza fondata sulla “gratitudine” per i soldi e le armi che riceve, ma perché Hezbollah è parte stessa della Repubblica Islamica iraniana, pur essendo geograficamente situato in Libano.
L’ennesima prova è un matrimonio che si è celebrato di recente. Si tratta del matrimonio tra Zeynab Soleimani e Sayyed Reza Hashim Safi al-Din, un matrimonio “vip” nel mondo del terrorismo internazionale. Zeyban è come noto la figlia di Qassem Soleimani, già capo della Forza Qods ucciso da un drone americano ad inizio 2020 mentre era in visita in Iraq. Vip è anche lo sposo Reza, figlio di Sayyed Hashim Safi al-Din, numero due di Hezbollah – secondo solo al segretario Hassan Nasrallah – e nipote di Abdallah Safi al-Din, rappresentante di Hezbollah a Teheran. La notizia del matrimonio di Zeynab, secondo quanto riporta Radio Farda, è stata pubblicata sul profilo Instagram di Zeynab Mughniyeh, figlia di Imad Mughniyah, altro comandante di Hezbollah ucciso a Damasco nel febbraio del 2008.
Perché raccontare di questo matrimonio? Non solo perché riguarda la figlia di Qassem Soleimani, ma perché è un’ulteriore prova che quello tra Iran e Hezbollah è un rapporto di sangue, fatto non solo di rapporti formali e materiali, ma in primo luogo di relazioni umani, che hanno il preciso scopo di rendere il legame indissolubile e la fedeltà inscindibile. Una affinità quasi “tribale”, in cui l’idea che esista un Libano autonomo, libero dal giogo dei Pasdaran, non è nemmeno contemplata. Perciò, quando “Hezbollah combatte l’Isis”, non lo fa per proteggere l’Occidente, ma per proteggere i confini iraniani. Quando Hezbollah attacca Israele, non lo fa per proteggere il Libano, ma per obbedire agli interessi nazionali iraniani. Quando Hezbollah interviene in Siria, non lo fa per tutelare i cristiani o per evitare che la Siria si disintegri, ma solo per difendere Bashar al Assad, in quanto puppet di Teheran. E gli alleati di oggi, se un domani convenisse alla Repubblica Islamica, potrebbero divenire i nemici di domani… e viceversa.
Bisognerebbe evitare dunque di guardare ad alcuni gruppi terroristici con i nostri canoni, soprattutto quando si tratta di gruppi fondati sull’islam politico radicale e quando trovano le loro radici nella fedele obbedienza ai dettami di Khomeini. Dietro quella obbedienza, non c’è solamente una convenienza di facciata, ma un legame indissolubile. Hezbollah non obbedisce ciecamente all’Iran e l’Iran non ordina unilateralmente a Hezbollah. Le due parti decidono insieme, perché le due parti, nei fatti, sono una cosa sola. In questo rapporto, Hezbollah ha solamente il preciso compito di rappresentare il dito più avanzato di una mano che origina direttamente a Teheran.
Ecco perché non ha alcun senso distinguere tra un’ala politica e una militare di Hezbollah, come avviene in quasi tutti i Paesi europei (Germania esclusa). Così come è folle pensare di non rinnovare il bando contro il commercio di armi verso la Repubblica Islamica, previsto ad oggi nella Risoluzione Onu 2231, ma in scadenza il prossimo 18 ottobre. Non rinnovarlo, infatti, non sarebbe un dispetto a Trump e a Pompeo. Ma sarebbe un dispetto ai popoli libanese, iracheno, israeliano, saudita, yemenita e siriano, tutti in buona parte vittime delle politiche eversive del regime fondamentalista iraniano, primo finanziatore del terrorismo internazionale dal 1984…