Se c’è una cosa più indisponente del coronavirus, questa è il Premierconte. Tutto attaccato, come, siamo sicuri, fa piacere a lui, che ormai si considera una cosa sola con la sua poltrona. E la poltrona è l’alabarda spaziale per salvarci tutti dall’insidia sconosciuta. Non è neanche il rigurgito per il rosario di cazzate inanellate in tempi già sospetti, tempi persi, occasioni sprecate. È che proprio al Premierconte piace comandare e piace apparire: e, nella sua personalissima percezione, le due faccende vanno di pari passo. Il Winston Churchill del Tavoliere è ormai come il segnale orario, come le previsioni del tempo: a scadenze regolari compare, la bandiera eurostellata di sfondo (quella tricolore latita, ma forse è giusto così), per la rituale conferenza in cui, con tono di voce consapevole, esausto ma indomito, può liberare la sua attitudine in un sovraccumulo di identità preoccupante: “Ho deliberato (insieme al mio governo…)”; “Ho deciso che…”; “Mi sono risolto a…”. Sempre in prima persona, e speriamo non passi alla terza napoleonica, perché i sintomi già ci stanno tutti. E poi quell’approccio paternalistico, sul patriottico retorico: “Siamo grandi, ce la faremo”, “Siamo un grande Paese, sappiatelo”, “Per il bene di tutti è necessario che”, “Capisco che”, “Vi assicuro”, “Mi raccomando”. Un dittatore illuminato, anzi, luminoso, un pontefice in girocollo che sa cosa è meglio per il suo amato gregge. Una certezza accuratamente pettinata, anche in giorni scompigliati.
Premierconte non dorme mai, la luce nel suo ufficio è sempre accesa, e nemmeno c’è posto per fugaci e furibondi incontri galanti, smaltiti in piedi: qualcosa di più urgente preme, è sempre l’ora delle decisioni irrevocabili, l’uomo è investito di un destino fatale. Tanto si è già scritto sui suoi vezzi da influencer di governo, sulla comunicazione approssimativa, ma affiora qualcosa di più, un narcisismo compulsivo, a pendolo tra il complesso di Atlante e quello di Superman. Mai sfiorato da sospetti di eventuali débacle, il Premierconte si considera in missione per conto di Dio; si piace, mentre si rivolge al Paese, si apprezza, largamente ricambiato da se stesso; si considera l’ultima spes, la colonna d’Ercole della profilassi, la Pochette della Provvidenza.
Il nostro Winston alle cime di rapa ha come segretario Rocco Casalino, e non potrebbe essere altrimenti: il portavoce giusto per l’uomo giusto, la strategia complessiva è da reality, ma Premierconte ha l’aria di pensare che va bene così, che il suo è il migliore dei mondi possibili. Lui annunzia: e la gente scappa. Lui vara decreti: e il popolo s’ammassa. Lui consiglia: e da nord a sud si scatena un esodo. Tante epifanie, miracoli pochini. Premierconte benedice (la sanità, i suoi “angeli”, bla bla bla), striglia, consiglia, avverte, tranquillizza, sensibilizza, incoraggia, calma, sprona, incita, invita, ma non sembra riscuotere grandi apprezzamenti: fate un esperimento da cronista, uscite e, se li trovate, provate a interpellare chi incontrate, commercianti, passanti, manager, professionisti, docenti, artigiani, artisti, ladri, puttane e chi più ne ha più ne ascolti: non ne troverete uno convinto dal nostro Winston. Ma lui non se ne avvede, è sempre tutto sotto controllo, c’è lui a vigilare, a risolvere. Fidiamoci. Tanto incombente, quanto Mattarella, per ora, latitante.
Premierconte è più sovraesposto di Burioni e Maria Rita Gismondo, di Pelù e Jovanotti, di Amadeus e Paolo Fox messi insieme: questo è il suo gioco, Palazzo Chigi la sua casa del Grande Fratello, e lui largamente ne profitta. Crede di passare alla storia, ma forse sarà la storia a trapassare lui. Intanto, per non sbagliare nomina un commissario stroardinario, anzi un “supercommissario” (tutto è esagerato, roboante nel favoloso conto di Premierconte) nella persona del manager Andrea Viero, bocconiano, tecnocrate, un tipico CEO come lo definirebbe Riccardo Ruggieri, ma che con l’emergenza sanitaria c’entra poco e niente. In compenso, ha l’aria di un nominato per squisite esigenze strategiche, dato per vicino al blocco grillopiddino così da segare l’altro candidato, Bertolaso. Una supernomina per una supermanovra della superpolitica dal superpremierconte alle prese con la supercontingenza. Auguriamogli lunga salute e nessun contagio (sarebbe, oltretutto, un supercontagio): abbiamo bisogno di Superconte, l’unico a poter debellare la pandemia che ammorba tutti i continenti. In fondo, l’altro Churchill, quello originale, aveva appena sconfitto Hitler, robetta. Adesso si fa sul serio, quando il gioco si fa duro il Premierconte si mette a giocare: e non ce n’è per nessuno. Superpremiercontedrasticoespiralidoso, salvaci tu. Salvaci tutti. Resta, amico, accanto a noi. Ci hai gestito, governato, tutelato, amato; chi fa miracoli sei tu, cosa mai chiedere di più. Non dimenticarci, eh!