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Il Nato Transatlantic Link scricchiola, Mosca e Pechino potrebbero approfittarne

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Perché il presidente Trump ha deciso di ritirare senza preavviso circa 10.000 delle 34.000 truppe statunitensi in Germania, pari al 30 per cento del “pacchetto deterrenza” della Nato, è una delle domande che tutti gli esperti che scrivono di Alleanza Atlantica si stanno ponendo in queste ore. È necessario capire il motivo di questa decisione, e perché è una mossa potenzialmente pericolosa. Poi, in molti si chiedono cosa potrebbe passare nella mente del presidente russo Putin e, conseguentemente, cosa potrebbe accadere.

Sulla scia della decisione degli Stati Uniti, Mosca ha già annunciato che rafforzerà il suo sistema operativo occidentale con la Brigata di Sebastopoli. Quest’unità “svolgerà attività tese a garantire la difesa della Federazione Russa sulla direttrice strategica occidentale”, perché come dichiarato dal generale russo Sergei Rudskoi, le esercitazioni alleate, anche se su scala limitata, condotte dalla Nato nei pressi del confine russo sono un esempio di “continue attività anti-russe”.

Il motivo per cui il presidente Trump sta attuando questo ritiro di forze, in piena campagna elettorale e sotto la pressione delle dimostrazioni della sinistra americana per i tragici fatti di Minneapolis, appare chiaro. Trump “porta i ragazzi a casa” per fare appello alla sua base elettorale che vede di buon occhio un ridimensionamento del Transatlantic Link e crede che Washington dovrebbe usare le sue forze armate per difendere gli interessi nazionali messi in pericolo dall’ascesa del potere militare cinese in Asia.

La decisione del presidente Trump dovrebbe anche essere intesa come un avvertimento ai membri europei dell’Alleanza che hanno sempre avuto la certezza che lo scopo delle forze armate americane sul Vecchio Continente fosse di agire nel loro esclusivo interesse.

Potrebbe aver influito anche la paventata intenzione di Berlino di non avere armamento nucleare sul territorio della Germania, da cui è scaturita la dichiarazione/velata minaccia che Mosca potrebbe ricorrere a una politica nucleare di “primo utilizzo” in caso di un attacco militare convenzionale contro la Russia. Come direbbero a Roma, “alla faccia della Risposta Flessibile!”, fino ad ora utilizzata come “metro di misura” tra i blocchi contrapposti. Non è trascurabile, in questo momento, anche la postura non ostile di Berlino verso Pechino, ampiamente in contrasto con l’attuale direttrice della politica estera del governo americano.

Oggi l’Europa occidentale è in crisi per il virus di Wuhan. Londra in rapido declino strategico dopo la Brexit, anche se possiede lo scudo nucleare ha ormai poca o nessuna influenza sugli affari internazionali, e la Francia, impantanata da un debito pubblico importante, “ha voce in capitolo” solo se la Germania è d’accordo.

In particolare, tutto il resto dell’Europa, Italia compresa, non è in grado di proporre una deterrenza credibile e molti stati intrattengono stretti rapporti con Mosca che potrebbero compromettere la capacità dell’Alleanza di agire in caso di emergenza. La Turchia, poi, è ora così alienata dal resto dell’Europa che non può più essere un alleato credibile in caso sia necessario il suo contributo per agire durante un’emergenza dell’Alleanza. Ad Ankara, purtroppo, i valori democratici fondanti della Nato sono divenuti “un optional fastidioso”.

Da parte sua il presidente Putin si trova di nuovo di fronte a una difficile situazione interna e ha, da poco, dichiarato lo stato di emergenza da Covid-19. L’esportazione di idrocarburi russi è stata paralizzata dal crollo del prezzo del petrolio e del gas ed è improbabile che si riprenda a breve considerando la crisi delle industrie europee che hanno bisogno di energia elettrica per funzionare e, in parte, l’arrivo della stagione calda. Gazprom, al momento in deficit, da sola contribuisce a più del 5 per cento del Pil russo. Mantenere operative le forze armate russe ha costi elevati e se l’economia di Mosca continuerà a declinare sarà difficile sostenerle. Anche  se Putin sta perdendo parte della sua popolarità in casa propria, potrebbe farsi forza del deterioramento, negli ultimi mesi, delle relazioni tra Pechino e Washington. Il deterioramento è dovuto alla minacciata politica del Partito comunista cinese volta a porre fine al modello “un Paese, due sistemi” ad Hong Kong, che potrebbe comportare di fatto l’occupazione militare della ex colonia britannica. Un avvertimento anche alla democratica Taiwan di non cercare la secessione anche formale dopo quella esistente, di fatto, dal Dopoguerra.

Come già da qualche tempo discusso in ambienti Nato, con gli Stati Uniti concentrati sulle elezioni presidenziali e l’Europa, come appena accennato, impotente, la seconda metà di quest’anno potrebbe essere l’occasione perfetta per Pechino e Mosca di sostenersi a vicenda creando crisi simultanee nell’Indo-Pacifico e in Europa. Segnali chiari arrivano in questo senso da Pechino e Mosca, che starebbero avendo contatti diplomatici per concordare una strategia anti-occidentale.  

A Bruxelles gli esperti ipotizzano che se la Russia agirà, lo farà con l’uso della strategia a lei più congeniale: inganno, disinformazione, disgregazione, destabilizzazione e distruzione (persino effettiva). Teatro perfetto potrebbe essere di nuovo l’Ucraina. Come in passato, il periodo immediatamente precedente a tali azioni potrebbe coincidere con una stagione ingannevolmente calma oppure un “periodo di vacanza”. Per esempio, nell’agosto 2008, Mosca utilizzò la distrazione internazionale dei Giochi Olimpici di Pechino per creare i presupposti e poi occupare ampi territori della Georgia.

Come dichiarato in più occasioni, Washington critica gli alleati europei perché non fanno abbastanza per difendersi (continui rinvii dell’aumento delle spese militari, che ad oggi non sono assolutamente sufficienti per avere una deterrenza credibile) e gli Stati Uniti sono chiamati troppo spesso a “fare” al loro posto, con molti leader europei che, per tenere a freno l’opposizione interna, negano l’evidenza del pericolo proveniente da Est ma molti anche, incredibilmente, da Sud.

In conclusione, la decisione di ritirare improvvisamente le truppe Usa dalla Germania è, quindi, strategicamente pericolosa o affrettata nella migliore delle ipotesi, a meno che non si giustifichi con la teoria che, forse, il presidente Trump ha in serbo un accordo segreto con il presidente Putin (una proposta migliore di quella del presidente cinese Xi?)

Non è intenzione di queste considerazioni suscitare timori, ma appare logico che le azioni americane avranno conseguenze. Anche se, nelle ultime ore, iniziano a circolare alcune voci riguardo un possibile ridimensionamento o ritardo del ritiro, che potrebbe trasformarsi in un ridispiegamento delle stesse unità in Polonia. Se confermato dai fatti, potrebbe essere vista come un’azione punitiva, già ipotizzata lo scorso anno, verso la Germania, che perderebbe parte dell’indotto della presenza Usa a parziale compensazione a favore della Polonia per la perdita dei diritti di transito verso l’Europa del gas russo dovuto alla costruzione del gasdotto Nord Stream 2 nel Mar Baltico. Insomma, una mezza misura.

Winston Churchill nel 1936 disse (e non vorrei che adesso le sue parole ritrovino attualità):

“L’era dei rinvii, delle mezze misure, degli espedienti ingannevolmente consolatori, dei ritardi è da considerarsi chiusa, ora inizia il periodo delle azioni che producono delle conseguenze”.