Macron vuole il mini-bilancio dell’Eurozona, il Recovery Fund, ma ha bisogno della riforma del Mes per togliere ogni alibi ai tedeschi. La pressione a ‘fare presto’ è, quindi, solo francese. Ma il prezzo che Parigi chiede a Roma di pagare è molto alto: il Nuovo Mes ci penalizza. L’Italia non è oggetto di una pressione internazionale univoca, bensì della pressione di due potenze con interessi fra loro divergenti: la Francia, che vuole accelerare l’approvazione del Nuovo Mes e la Germania, che la vuole decelerare. La Francia, se pure ottenesse dall’Italia ciò che vuole, comunque non otterrebbe dalla Germania un bilancio dell’Eurozona più che simbolico. Ne segue che l’Italia, obbedendo ai francesi, non ricaverebbe vantaggio, anzi procurerebbe un fastidio ai tedeschi. Per levarsi d’impiccio, il Parlamento italiano, quando si esprimerà l’8-9 dicembre, può solo subordinare la propria approvazione della riforma del Mes all’approvazione definitiva del Recovery Fund
Macron sta giocando il Recovery Fund come il secondo tempo della partita per il bilancio dell’Eurozona, lo abbiamo visto su Atlantico. Vuole usare il veto di Polonia e Ungheria al bilancio Ue, per convincere i tedeschi a trasformare il Recovery fund della Ue in un bilancio dell’Eurozona, attraverso lo strumento della cooperazione rafforzata. In altre parole, vuole tornare agli accordi da lui fatti con Berlino prima del Covid, gli accordi di Meseberg. Colà, i tedeschi avevano concesso ai francesi un bilancio dell’Eurozona (sia pur piccino piccino) solo in cambio di una riforma del Trattato Mes: ne segue l’esigenza, per Macron onde togliere alibi ai tedeschi, di portare a casa l’approvazione definitiva di detto Trattato, costi quel che costi.
Così, egli ha spedito a Roma il proprio ministro Le Maire, salutato dai due corifei ‘francesi’ Bini-Smaghi e Sassoli, a dare ordine di togliere il veto italiano. Significativamente, egli ha dedicato poco tempo e poche parole al Mes-Sanitario, od alle lentezze nell’approvazione dei piani di spesa del fantomatico Recovery Fund, perché non è ciò che gli preme di più, adesso.
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Il prezzo che Parigi chiede a Roma di pagare è molto alto. Basti qui citare Münchau (il Nuovo Trattato Mes serve a “gettare le basi per una ristrutturazione del debito italiano senza dirlo esplicitamente. Il governo italiano lo sa, e ha ritardato il più possibile”), Giampaolo Galli (“sarebbe una calamità immensa, genererebbe distruzione di risparmio, fallimenti di banche e imprese, disoccupazione di massa e impoverimento della popolazione senza precedenti nel Dopoguerra … sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in applicato a milioni di persone che hanno dato fiducia allo Stato comprando titoli del debito pubblico. Sarebbe un evento di gran lunga peggiore di ciò l’Italia ha vissuto negli ultimi anni a causa dei fallimenti di alcune banche … Per questo motivo ci preoccupano le proposte di revisione del Trattato istitutivo del Mes”), Codogno (“avrebbe effetti devastanti sulla domanda interna, oltre che sul funzionamento dell’intero sistema finanziario italiano”), Cottarelli “la ristrutturazione del debito sarebbe per oltre due terzi una tassa che gli italiani dovrebbero pagare. Quindi non un’alternativa all’austerità, ma una forma di austerità – la patrimoniale di cui oggi tanti parlano -. Quindi l’Italia fa bene a opporsi”), sinanco Beda Romano (“alcuni governi hanno ottenuto che fossero riviste le modalità di prestito ai Paesi in crisi, facilitando forme di ristrutturazione del debito pubblico”), persino Brunetta (“aprirebbe la porta a ristrutturazioni del debito – cioè default – pilotati, rischiando di allontanare gli investitori. La sola idea che un grande Paese come l’Italia non escluda di poter andare in default rischia di aumentare l’instabilità finanziaria piuttosto che ridurla”).
Poi uno può dar retta al figlio di De Luca, che definisce tutto ciò “estremamente positivo per i risparmiatori”, naturalmente.
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L’ordine giunto da Parigi ha comunque messo Palazzo Chigi sugli attenti: andrà alla ricerca del placet parlamentare alla firma del Trattato. Prima dell’Eurogruppo del 30 novembre in Commissione parlamentare passerà Gualtieri, prima del Consiglio europeo del 10-11 dicembre nelle due aule passerà Conte.
Il governo, però, è diviso: abbiamo il Pd a dire sì al Trattato e sì ai prestiti, i 5 Stelle a dire no al Trattato e no ai prestiti, in mezzo Conte a dire sì al Trattato e no ai prestiti. Il Pd questi prestiti li vuole prendere, dunque non può accettare la mediazione contiana e pretende che la negazione venga espressa in termini non impegnativi: ‘sì al Trattato e forse no ai prestiti’. La scena si è già ripetuta due volte, pare, l’ultima volta in una riunione di maggioranza sabato sera, terminata con un nulla di fatto ed aggiornata a dopo il passaggio di Gualtieri in Commissione.
Lì, Gualtieri sosterrà che la seduta, “non essendo prevista una votazione ma solo un dibattito, non condiziona la condotta del ministro in sede di Eurogruppo”; cioè, all’Eurogruppo, egli si sentirà libero di dare l’adesione propria e del governo, sia pur con riserva, cioè subordinata ad una successiva conferma da parte di Conte in sede di Consiglio europeo.
Gualtieri sosterrà che si discute “solo ed esclusivamente della definizione del negoziato relativo alla riforma del Trattato Mes, che è questione distinta e non ha nulla a che fare con il ricorso al Mes o al Mes sanitario”. Ma sarà costretto a precisare qualcosa circa l’utilizzo, ad esempio: “l’Italia non ha oggi necessità di far uso di quel prestito” (oggi, ma domani?), è “una polizza vita” (quindi l’Italia deve morire?), “sull’utilizzo si dovrà comunque passare dal Parlamento” (quindi è un sì?) o simili. In sostanza, dirà il ‘sì al Trattato e forse no ai prestiti’ che è la “sintesi” che gli chiede il Pd. Ciò potrebbe costargli l’opposizione di parlamentari 5 Stelle, non solo fra quelli che sempre hanno detto ‘no al Trattato e no ai prestiti’, ma pure fra quelli che dicono ‘sì al Trattato e no ai prestiti’.
Gualtieri sosterrà che il Nuovo Trattato offra “una rete di sicurezza per il settore bancario”. In Italia, alcuni corifei (Bini-Smaghi, Brunetta, …) insistono a parlare di “un passo importante per il completamento dell’unione bancaria” (Brunetta aggiunge che il Mes possa ricapitalizzare direttamente le banche in crisi, ciò che i tedeschi affondarono fin dal 2012 addirittura). Purtroppo per loro, le cose stanno un poco diversamente: pure a regime la ‘rete di sicurezza’ disporrebbe di una somma risibile ed interverrebbe esclusivamente dopo un bail-in, cioè solo nel caso impossibile che a ‘salvare’ le banche non sia stato sufficiente il completo esproprio degli azionisti, dei creditori e di chi vi tenesse un conto corrente. A far svanire ogni illusione ci hanno pensato questa settimana gli olandesi, lanciando un siluro potente: pretendono di infilare nelle bozze di conclusione dell’Eurogruppo e del Consiglio europeo “impegni formali che riguardano le regole per valutare lo stato di salute delle banche”, da applicarsi escludendo a priori le banche greche e cipriote, le altre revisionandole preventivamente e subito. Implicitamente, il siluro subordina la nascita della ‘rete di sicurezza’ all’applicazione senza più eccezioni, dunque totalmente sanguinaria, della direttiva sui salvataggi bancari (la famigerata Brrd, che già nella sua forma moderatamente sanguinaria costò la testa a Renzi). Esplicitamente, il siluro rimanda la ‘rete di sicurezza’ all’anno duemilaecredici e la rende definitivamente inutile: da qui ad allora, le banche saranno già state ‘salvate’ col bail-in. Fubini scrive che la proposta olandese sia stata accettata da Parigi, il che è perfettamente possibile, vista la disperata determinazione che ormai anima Macron; ma ciò non toglie che di proposta apertamente provocatoria si tratti.
Gualtieri sosterrà che “un veto isolerebbe l’Italia”, dovrebbe aggiungere “dalla Francia”. Il testé menzionato siluro olandese (sostenuto dai tedeschi, dice il FT) è lì a dimostrare che Berlino non mette fretta. Certo, olandesi e tedeschi non sono contrari al Nuovo Trattato Mes, anzi nel 2018-19 lo pretesero loro dai francesi; ma oggi sarebbero lieti di un rinvio, in quanto, come abbiamo visto su Atlantico, non hanno interesse ad offrire a Macron argomenti per evitare lo stallo: tanto del Recovery Fund, quanto dell’alternativo bilancio dell’Eurozona. Infatti, mentre gli olandesi si occupavano del Nuovo Trattato Mes, i tedeschi hanno agito sotto traccia: non possiamo non notare né come il presidente del gruppo Ppe al Parlamento europeo stia facendo melina; né possiamo non notare la simpatia innaturale mostrata dalla Von der Leyen a Conte, proprio mentre questo veniva accusato di star ritardando il Recovery Fund; né possiamo non notare l’enfasi con la quale la Frankfurter Allgemeine Zeitung ha pubblicato una splendida lettera del ministro degli estero polacco, che confermava con forza il proprio veto; né possiamo non notare come persino Romano Prodi si sia accorto che, al bilancio dell’Eurozona, “la cancelliera tedesca fortemente si oppone”. La pressione ‘internazionale’ a ‘fare presto’ è, in realtà, una pressione francese.
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Insomma, l’Italia non è oggetto di una pressione internazionale univoca, bensì della pressione di due potenze con interessi fra loro divergenti: la Francia, che vuole accelerare l’approvazione del Nuovo Trattato Mes e la Germania, che la vuole decelerare. La Francia, se pure ottenesse dall’Italia ciò che vuole, comunque non otterrebbe dalla Germania un bilancio dell’Eurozona più che simbolico. Ne segue che l’Italia, obbedendo ai francesi, non ricaverebbe vantaggio, anzi procurerebbe un fastidio ai tedeschi.
Per levarsi d’impiccio, al Parlamento italiano, quando finalmente potrà esprimere un parere l’8-9 dicembre, basterebbe subordinare la propria approvazione della riforma del Mes all’approvazione definitiva del Recovery Fund. Siccome ciò implica che tutti i Paesi abbiano tolto il proprio veto al bilancio pluriennale, il testo suonerebbe così: ‘il Parlamento impegna il governo a portare nel Consiglio europeo la propria approvazione del Trattato di riforma del Mes, solo subordinatamente alla avvenuta approvazione, da parte dello stesso Consiglio europeo, del bilancio pluriennale e del testo finale degli accordi sul Recovery Fund’. Siccome poi, successivamente agli accordi, il finanziamento del Recovery Fund deve ancora essere approvato dai parlamenti nazionali, il testo continuerebbe così: ‘il Parlamento procederà alla successiva ratifica del Trattato di riforma del Mes, solo subordinatamente alla avvenuta ratifica, da parte degli altri Parlamenti nazionali, delle nuove risorse proprie necessarie a finanziare il Recovery Fund’. Parigi avrebbe più nulla a pretendere.
Si tratterebbe di un testo diverso dalla vecchia mozione (Molinari-D’Uva), votata dalla Camera il 19 giugno 2019, che impegnava il governo, fra le altre cose, ad “esprimere la valutazione finale solo all’esito della dettagliata definizione di tutte le varie componenti del pacchetto” e cioè tutte le seguenti: bilancio dell’Eurozona, Nuovo Trattato Mes, rafforzamento dell’Unione bancaria (approvazione della assicurazione sui depositi, …). Mentre qui si tratterebbe di obliterare ogni riferimento al completamento dell’unione bancaria, concentrando l’attenzione sul solo Recovery Fund. Berlino avrebbe nulla di che lamentarsi.
Agendo in tal modo, la maggioranza ed il governo otterrebbero diversi risultati. Taciterebbero i francesi senza irritare i tedeschi. Eviterebbero a Conte il ricorso al voto dei parlamentari di Forza Italia, consentendogli di sopravvivere un altro po’. Lascerebbero la responsabilità dell’eventuale fallimento delle trattative sul Recovery Fund ad altri: se tali trattative fallissero, nessuno potrà incolparne l’Italia. Per soprannumero, se tali trattative fallissero, perlomeno l’Italia non avrà pagato il prezzo altissimo che Parigi oggi le chiede di pagare. In difetto, la maggioranza ed il governo rischiano di trovarsi senza il Recovery Fund ma con la Troika. Sprofonderebbero nel ridicolo.