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Il pasticciaccio Alitalia: i nodi gestionali e di accessibilità nell’integrazione Alitalia-Ferrovie

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Con l’uscita di scena di EasyJet e la tiepida partecipazione di Delta, si restringe la partita dei compratori interessati al nuovo corso di Alitalia. Accanto all’ormai certo Tesoro e alle Ferrovie dello Stato, due soggetti riconducibili in pieno alla categoria dell’intervento pubblico, pur con grandi differenze tra loro, si ipotizza un coinvolgimento nella cordata di un investitore del settore delle concessioni autostradali. Una mossa meditata in ragione della pur sempre rilevante quota di mercato detenuta da Alitalia nell’Hub di Fiumicino, gestito da Aeroporti di Roma, controllata di Atlantia.

Lo zoccolo duro della partecipazione azionaria, comprensiva dei rischi, dovrebbe però rimanere nelle mani dello Stato, con diverse modalità di intervento in considerazione delle differenze tra i soggetti in esame. Mentre i margini di via XX Settembre infatti sono limitati “per natura” ed eventuali sovraespozioni potrebbero portare alla lesione della libera concorrenza sancita dall’Unione europea, a cominciare dalla conversione in azioni del prestito-ponte, le FS possono giovarsi dello sganciamento dai binari della pubblica amministrazione, avvenuto nel lontano 1985 e culminato con la trasformazione in società per azioni nel 1992. Ad oggi le Ferrovie rappresentano il più importante operatore, controllato dallo stesso Tesoro, nel settore della mobilità e l’idea di un loro massiccio impiego in soccorso di realtà più “sfortunate” è una tentazione difficilmente rifuggibile per un paese che soffre la cronica carenza di investitori istituzionali disposti a scommettere nel rilancio di Alitalia e, in generale, nell’affrontare tutte le crisi di impresa che ciclicamente si presentano e per le quali gli unici rimedi praticati, con poche eccezioni, sono gli ammortizzatori sociali.

Le stesse Ferrovie dimostrano come una rendita di posizione apparentemente impossibile da sfruttare possa diventare una miniera d’oro in grado di macinare utili a valanga, se commercialmente orientata verso servizi realmente richiesti dall’utenza come l’alta velocità ferroviaria. Un meccanismo che non può transigere dal rispetto di criteri di mercato che hanno coinvolto nella lunga trasformazione intercorsa il numero del personale e la sua produttività. Alitalia non ha saputo adeguarsi al cambio dei tempi e alle regole della concorrenza ed è rimasta vittima della sua stessa obsolescenza, della mancanza di scelte strategiche in capo ai ministeri di competenza, del disinteresse per una logica di sistema che prevedesse un’interpretazione intermodale del trasporto e soprattutto di una eccessiva vicinanza ai palazzi del potere politico e sindacale che hanno frustrato ogni possibile gestione improntata all’autonomia del management. Con il risultato che il progressivo abbandono delle strutture e influenze di partito ha lasciato un vuoto fino ad ora riempito con iniezioni di liquidità esplose dal 1996 ad oggi. Aiuti di stato più o meno surrettizi che pregiudicano ogni possibile ottimistica previsione di ripresa nel breve periodo e disincentivano investitori stranieri ad accordi sul lungo raggio (come la naufragata joint venture con KLM).

In un simile scenario le Ferrovie dello Stato, divenute quel grande concorrente a lungo sottovalutato dai piani alti della ex compagnia di bandiera, diventano da male assoluto a potenziale cura per Alitalia. Nel frattempo 30 anni di scelte errate e interpretazioni politiche dei flussi del traffico aereo pregiudicano nel breve periodo quelle scelte strategiche necessarie per favorire l’integrazione tra i due vettori e rendono inevitabile l’ulteriore esborso di risorse, in maggioranza pubbliche, per un nuovo piano di rilancio.

Alitalia soffre a cominciare dalla localizzazione degli aeroporti e dalla loro accessibilità nel regno del provincialismo, che per conformazione geografica e sociale sconta duelli rusticani tra Regioni se non addirittura Comuni per decretare nascita (e morte) di nuove e vecchie piste d’asfalto, senza considerare che la loro prossimità produce una falsa concorrenza che automaticamente porta al fallimento di entrambe. La scelta degli scali fondamentali in ogni piano nazionale degli aeroporti diventa così un’occasione per mostrare un’insana dialettica pagata a care spese dalla collettività e dalla compagnia aerea per antonomasia, che si sente chiamata a gran voce ad espletare servizi di dubbia convenienza economica, a cui le Ferrovie hanno rinunciato da tempo senza compensazioni adeguate.

Per 6 anni, dal 2002 al 2008, l’Italia ha avuto due hub aeroportuali: Roma Fiumicino e Milano Malpensa, quest’ultimo sino al 2007 beneficiava di una quota di mercato per il 47 per cento imputabile ad Alitalia, una quota insostenibile economicamente per la compagnia aerea, frutto di una malaugurata scelta politica che ha portato al dissesto economico della società. In seguito al de-hubbing collaterale alla prima privatizzazione, Milano Malpensa ha visto un crollo dei passeggeri in transito di 8 milioni, con 5 miliardi di euro di perdite riconducibili a vario titolo alla scelta di sdoppiare il traffico (quasi 1000 voli in più alla settimana di cui molti intercontinentali) sullo scalo del Varesotto. Ad oggi dopo un decennio difficile Malpensa ha incrementato il volume di passeggeri in transito, pur rimanendo sottoutilizzato (26 milioni vs 40 di capienza teorica) e con un deciso cambio di potenziale clientela. Non più l’Hub concorrente con il Centro-Nord Europa per i voli intercontinentali, ma un grande scalo dipendente dalla presenza delle compagnie low cost.

In uno scenario sempre più certo di intervento pubblico, l’accessibilità aeroportuale diventa l’unico spazio di integrazione tra ferro e aereo. Con una quota di mercato interno in continua riduzione (ad oggi è al 14 per cento), in uno spazio già saturo dalla concorrenza delle low cost e con un lungo raggio mai valorizzato, Alitalia ha urgentemente bisogno di passeggeri per ripianare le perdite. Pensare però ad un loro immediato arrivo a bordo delle frecce è pura utopia anche per i più ottimisti. Ritardi decennali nella programmazione dell’accessibilità aeroportuale impediscono nel breve periodo di usufruire dei benefici dell’intermodalità negli aeroporti di Fiumicino, Malpensa e Tessera.

La situazione migliore si concentra al momento sul fronte del trasporto su strada, oggetto di importanti interventi di adeguamento infrastrutturale a cavallo degli anni Duemila. Riporta ENAC, nel rapporto sullo Stato del Sistema Aeroportuale Nazionale, che gli aeroporti più prossimi alle aree metropolitane beneficiano di bacini di utenza molto ampi in tempi ridotti: è il caso di Linate, il city airport per eccellenza, su cui i commissari di Alitalia hanno da tempo scelto di puntare e ancora oggi contingentato a vantaggio di Malpensa nonostante veda il miglior posizionamento in termini di accessibilità. La BreBeMi, la Tangenziale esterna est di Milano, gli interventi di riequilibrio nella viabilità provinciale, uniti al prossimo collegamento su rotaia con la rete metropolitana ne fanno un fiore all’occhiello dell’area metropolitana di Milano. Anche Napoli, Ciampino e Fiumicino risultano accessibili in 30 minuti da circa 3-4 milioni di residenti, Bergamo e Torino da circa 2 milioni, contro Malpensa con 1,8 milioni. Nella fascia di accessibilità in tempi più lunghi emergono gli aeroporti di Malpensa, con quasi 12 milioni, Linate e Bergamo, con circa 8 milioni di residenti raggiungibili nell’arco dei 60 minuti. Un risultato molto vasto concentrato nella Regione Lombardia, giustificato dalla sovrapposizione dei bacini di utenza degli aeroporti che spesso presentano livelli simili di offerta di trasporto (nel caso di Bergamo e di Verona) e qualità di servizio.

Sul fronte dell’accessibilità ferroviaria, l’offerta dell’alta velocità è ad oggi assente. Attualmente nessuno scalo italiano è infatti collegato alla rete AV e in futuro potranno essere potenzialmente collegati solamente gli scali di Venezia (raccordo di tipologia passante previsto per il 2025), Brescia (shunt di Montichiari) e Bologna (sistema “people-mover” per la stazione). Ben diversa la situazione degli Hub europei, dove il collegamento con la rete AV è già presente da tempo.

I due aeroporti italiani più importanti (Roma-Fiumicino e Milano-Malpensa) sono collegati con i centri urbani di pertinenza solamente da treni regionali e suburbani con servizi espletati da Trenitalia, Trenord e dalla società TILO per la Svizzera. Al momento la situazione più critica appare proprio quella di Fiumicino, in relazione alla quota di mercato detenuta da Alitalia e al difficile ampliamento del segmento di offerta con il trasporto intermodale. La stazione dell’aeroporto, realizzata in occasione dei mondiali di Italia ’90 e pensata in tutt’altra logica di quella attuale, è inadatta ad ospitare servizi misti AV/suburbani.

Fiumicino ha visto in due occasioni la sperimentazione di un servizio di tipo combinato: dal 1992 al 1994, in seguito ad una partnership tra FS e Alitalia, con servizi ferroviari rapidi gestiti dalla ex compagnia aerea di bandiera italiana, che collegavano l’aeroporto di Roma alle città di Firenze e Napoli. Il secondo tentativo di integrazione tra vettore ferroviario e aereo è il più recente e ha dimostrato nero su bianco le criticità dell’offerta infrastrutturale degli aeroporti. In seguito ad un accordo tra Alitalia e Trenitalia, venne delineato un modello secondo cui i passeggeri di Alitalia in possesso di un biglietto aereo con destinazione internazionale e intercontinentale avessero diritto ad una riduzione sul prezzo del biglietto Trenitalia. Il tutto a patto che i biglietti fossero acquistati contemporaneamente presso le agenzie di viaggio. Il passo successivo fu l’individuazione di nuovi slot orari per il transito di 2 coppie di Freccia Argento Venezia-Fiumicino e l’avvio di uno studio di fattibilità per collegare i 3 aeroporti più importanti con la rete ferroviaria convenzionale e ad alta velocità.

Per l’aeroporto di Roma Fiumicino si ipotizza un raccordo ferroviario dedicato all’alta velocità in corrispondenza della linea tirrenica e la costruzione di una nuova stazione in sotterraneo. Il progetto sarebbe integrato con il piano di ampliamento dell’Hub promosso dalla società Aeroporti di Roma, controllata di Atlantia, che prevede il raddoppio dello scalo (in termini di infrastrutture di volo, terminal ed accessibilità) in parallelo alle previsioni di superamento della quota di 60 milioni di passeggeri in transito entro il 2030.

L’aeroporto di Milano Malpensa presenta un quadro oggettivamente più complesso, con numerose variabili da prendere in considerazione in virtù del bacino di utenza servito e dei collegamenti transfrontalieri con la Svizzera. Tali relazioni sono destinate ad una progressiva intensificazione già nel breve periodo con la costruzione del raccordo tra il Terminal 2 e la linea del Sempione e con l’apertura al traffico del traforo del Monte Ceneri che segna la fine della prima fase del progetto AlpTransit. Nel quadro dell’accessibilità ferroviaria a Malpensa, è stato definito nel medio periodo un collegamento diretto tra l’asse AV/AC Torino-Milano attraverso l’interconnessione di Novara Ovest la linea FNM Novara-Saronno, da utilizzare per le relazioni dirette Torino-Malpensa. L’incremento della lunghezza del tragitto da percorrere per raggiungere l’aeroporto dalla città di Milano, sarebbe pressoché annullato dai minori tempi di percorrenza assicurati dalla fruizione della rete AV per la quasi totalità del percorso mentre la possibilità di un collegamento diretto tra Torino e lo Malpensa, produrrebbe dei vantaggi a cascata in vista della prospettata integrazione con lo scalo di Caselle. Alitalia d’altro canto potrebbe beneficiare di un incremento del flusso di passeggeri grazie all’integrazione dei servizi per il raggiungimento dell’ex Hub, dove la sua presenza è ormai scesa a meno del 2 per cento dei passeggeri in transito.

Numeri insignificanti rispetto al city airport di Linate dove Alitalia assicura più della metà del numero dei passeggeri totali. Il rebus della composizione azionaria della new company appare ben lontano dall’essere risolto, permangono infatti le croniche difficoltà nel coinvolgimento di soci disposti ad investire cifre considerevoli nel rilancio della ex compagnia di bandiera. Lo spettro degli esuberi di massa agitato da Lufthansa inoltre rischia di concretizzarsi in ogni caso, insieme al nodo dei contratti di leasing degli aeromobili e di fornitura del carburante che andranno rinnovati entro il 2021. Per non tarpare le ali della futuribile Alitalia saranno necessarie delle risposte concrete e in tempi brevi, che dovranno inevitabilmente tenere conto delle ingenti perdite coperte da un prestito ponte ormai quasi dimezzato e il “cavaliere bianco” guidato dal Tesoro potrebbe non essere sufficiente per rimediare ad una spirale di errori della durata di un trentennio.