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Il populismo giudiziario di Bonafede: non possono pagarle gli imputati le lentezze della giustizia

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È soprattutto in momenti come questi che ci manca Marco Pannella. Mi riferisco alla scarcerazione di Massimo Carminati e alle ispezioni subito disposte dal ministro della giustizia Bonafede (da poco “graziato” sulla mozione di sfiducia al Senato dal cialtronismo politico di Renzi). Ispezioni o intimidazioni verso i giudici che, vivaddio, hanno applicato la legge?Intendiamoci, sul tasso di criminalità e spietatezza del soggetto non si discute e tutti ci auguriamo che la condanna definitiva che gli verrà inflitta sia la più dura possibile. Ma Pannella, un leader politico autenticamente garantista, che non ha mai temuto battaglie scomode e politicamente scorrette, non sarebbe rimasto in silenzio. Ci permettiamo di azzardare che il leader radicale avrebbe attaccato il ministro grillino per questo ennesimo, sottovalutato episodio di populismo giudiziario.

Caduta l’accusa di associazione mafiosa nel processo di primo grado, Carminati è stato condannato per corruzione. Nonostante la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva, in teoria principio cardine del nostro ordinamento (non sappiamo ancora per quanto, vista la brutta aria che tira), Carminati ha già scontato cinque anni e sette mesi di carcerazione preventiva, ossia più di due terzi della pena edittale massima che potrà essergli comminata in caso di condanna definitiva. Quindi, i giudici, di fronte alle istanze dei difensori, lo hanno sacrosantamente scarcerato.

Comprensibile che Carminati appaia indifendibile, ma le norme di garanzia del nostro ordinamento valgono anche per lui, così come per qualunque altro cittadino dovesse incappare nelle maglie della giustizia. Oppure, dopo la prescrizione, i grillini vogliono abolire anche i termini di carcerazione preventiva? Per questo, sono convinto che Pannella non sarebbe rimasto in silenzio. Perché messe in discussione le garanzie costituzionali e di legge per Carminati, il vulnus riguarda tutti noi.

Eppure, non c’è una forza politica che queste cose abbia il coraggio di dirle. Siamo passati dalla democrazia alla “sondaggiocrazia”, così tutto ciò che è impopolare anche se giusto, non lo si dice. Se va bene si fa finta di niente e nella maggior parte dei casi si cavalca populisticamente l’argomento. Ed invece Bonafede andrebbe sì criticato, ma non per aver permesso la scarcerazione del boss di “Mafia Capitale”, bensì perché dopo oltre due anni al governo non è riuscito a far funzionare in modo più celere la giustizia penale e civile. Ma è mai possibile che in Italia in sei anni si concluda solo il giudizio di primo grado? Non è una grave distorsione, di per sé una forma di ingiustizia? È questo il punto su cui dovrebbe svilupparsi il dibattito politico. Neppure di fronte al clamore mediatico suscitato da questa vicenda si è riusciti a far camminare speditamente il processo, figuriamoci quel che succede nei procedimenti a carico dei cittadini “ordinari”, che si celebrano al riparo dai riflettori.

Il ministro Bonafede dovrebbe tra l’altro chiarire le ragioni per le quali i suoi uomini al DAP hanno aperto le porte del carcere a centinaia di condannati per mafia, col pretesto del coronavirus, piuttosto che inviare ispettori presso i giudici del caso Carminati. Anche gli aedi dell’”indipendenza della magistratura”, nel Pd e altrove, non hanno nulla da dire? Tutti zitti, tanto un’ispezione ministeriale oramai sta bene su tutto e non si nega a nessuno. In questa ignavia, ipocrisia e codardia della nostra classe politica, pezzo dopo pezzo, si intaccano, screditandoli, tutti quegli istituti che rendevano il nostro un sistema appena garantista. Ecco sì, oggi Pannella ci sarebbe proprio servito.

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