Il pregiudizio contro Israele e quella pericolosa saldatura tra la sinistra occidentale e l’islamismo

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Sono in diversi ormai, tra i critici delle sardine, a commentare gli articoli pubblicati sul caso “Nibras e Suleiman Hijazi” con delle frasi definitive quali “ma smettetela di parlare di questi tizi inutili”.

Una critica da non sottovalutare, ma che purtroppo non va nella direzione giusta. Chi scrive ritiene che elettoralmente parlando, le “sardine” spostino pochino, perché fondamentalmente fanno già parte di un elettorato di sinistra, che al massimo aveva scelto l’astensionismo negli ultimi tempi. Detto questo, visto che di sinistra parliamo, il dibattito che si è scatenato dopo il caso Nibras non è solamente ascrivibile alla normale dialettica maggioranza-opposizione, riguarda una questione centrale per il progressismo italiano e internazionale.

Il tema di cui parlo è il rapporto che, ormai da decenni, si è venuto a creare fra la sinistra occidentale e l’islamismo politico, prevalentemente sunnita, ma anche sciita. Un rapporto che, semplificando al massimo, ha iniziato a prendere forma dopo la guerra del 1967 quando, da Paese vittima, per l’ideologia progressista occidentale Israele diventa un Paese occupante. Un passaggio figlio della Guerra Fredda e dello schieramento definitivo dello Stato ebraico nel campo degli Stati Uniti. Spinti dall’URSS, i partiti e i movimenti comunisti dell’epoca iniziarono a dipingere Israele come il nemico, in una versione “laica” molto simile a quella che ha ancora oggi la Repubblica Islamica dell’Iran (ovvero gli Stati Uniti come il “Grande Satana” e Israele come il “Piccolo Satana”). Da questo pregiudizio, si badi bene, nasce ad esempio la risoluzione Onu 3379, che equiparava il sionismo ad una forma di razzismo (fortunatamente abolita anni dopo).

Dopo la fine della Guerra Fredda, fortunatamente, abbiamo assistito ad una certa evoluzione nel mondo progressista, ma nonostante tutto, l’humus del pregiudizio verso Israele è rimasto, soprattutto alla sinistra di quei partiti progressisti – spesso ex comunisti – che, arrivati al potere, hanno dovuto fare i conti con la realtà, oltre l’ideologia e i preconcetti. Nonostante tutto, questo preconcetto è spesso rimasto e si è amplificato quando, nel mondo islamico, hanno capito che potevano sfruttare i codici e i valori occidentali, per fini politici a loro congeniali. Ovviamente, il primo obiettivo era quello di mantenere alta l’ostilità verso Israele, arma di distrazione di massa per eccellenza usata dai regimi arabi per evitare che l’attenzione mondiale venga spostata sulle loro drammatiche malefatte.

Ecco allora che i diritti umani, dalla Conferenza di Durban del 2001, vengono sfruttati per promuovere il boicottaggio di Israele, accusato di essere praticamente la fonte di tutti i mali. Da quella conferenza prende forma il cosiddetto movimento BDS, le cui teste e i cui finanziatori vivono serenamente nel mondo arabo, che praticamente con la scusa dei diritti umani promuove direttamente e indirettamente la cancellazione dello Stato d’Israele.

Lo scoppio delle Primavere arabe nel 2011 ha quindi dimostrato come la sinistra – talvolta anche istituzionale – non abbia compiuto una riflessione sostanziale sul rapporto con l’islamismo politico. Quando quelle proteste di piazza scoppiarono, guidate dai partiti legati alla Fratellanza Musulmana, la sinistra abbracciò acriticamente le proteste, guidata in primis dall’allora presidente americano Barack Obama, che decise dal giorno alla notte di abbandonare al loro destino una serie di alleati storici in Medio Oriente, con il fine ultimo di legittimare per la prima volta la Repubblica Islamica dell’Iran, Paese guidato da un regime teocratico sciita dal 1979. Come sono andate a finire le Primavere arabe, il governo Morsi e l’appeasement con l’Iran, è ormai storia e certamente non è una storia positiva.

Riassumendo, siamo quindi arrivati al fenomeno sardine e al caso di Sulaiman Hijazi e di sua moglie Nibras. Nuovamente, il mondo progressista ci ricasca, legittimando l’Islam politico con la scusa dell’uso dei codici occidentali (in questo caso la Costituzione italiana) e di alcuni valori sociali comuni. Peccato che, nonostante le comunanze, ci sono tante differenze che da anni nessuno vuole vedere e da cui pochi hanno il coraggio di prendere le distanze (spesso anche per interessi elettorali, data la capacità delle associazioni dei Fratelli Musulmani in Europa di mobilitare elettorati ad hoc, sfruttando i musulmani diventati italiani o le seconde generazioni).

Le “sardine” dovrebbero cogliere l’occasione di questo brutto inciampo per ritornare al problema sostanziale, ovvero il rapporto errato tra progressismo e Islam politico. Dietro le belle parole dei Fratelli Musulmani in Europa sui diritti delle minoranze, sulle libertà civili e quelle sociali, c’è una ideologia che non lascia spazio ad interpretazioni, promossa da personalità del passato come Sayyd Qutb o ideologhi del presente come Yusuf al-Qaradawi, che odiano l’Occidente e che vorrebbero una società guidata dalla Sharia, in cui le donne sono sottomese agli uomini e in cui le minoranze riconosciute devono pagare una tassa per vivere liberamente. E non è un caso che lo stesso Hijazi ha fra i suoi mentori un religioso giordano di nome Riyadh al-Bustanji che, incredibilmente, viaggia liberamente in Italia dopo aver dichiarato di aver già mandato sua figlia a Gaza per imparare il martirio…

Dunque, le sardine non dovrebbero prendere le distanze dai Fratelli Musulmani solo perché è sbagliato andare a braccetto con i sostenitori di Hamas, ma soprattutto per loro stesse. Se quello che promuovono è veramente uno Stato laico e rispettoso del prossimo, allora liberarsi dell’infiltrazione nociva dei Fratelli Musulmani deve rappresentare un loro fondamentale interesse, per tutelare i valori e le idee che pretendono di promuovere. Altrimenti, invece di “nuotare liberamente”, le “sardine” finiranno per infilarsi in un mare pieno di squali…

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