Vittoria per Johnson e Sturgeon, disfatta per Starmer e i laburisti (a eccezione di Burnham e Drakeford). Così si può sintetizzare la tornata elettorale del 6 maggio nel Regno Unito, che ha visto ben 48 milioni di elettori recarsi alle urne per eleggere sindaci, sindaci delle regioni, Parlamento scozzese e Parlamento gallese. Ecco i punti-chiave di una tornata elettorale che ha confermato un nuovo riallineamento della politica britannica, dopo quelli già registrati durante la Brexit e le elezioni del 2019.
Il Red Wall si tinge di Blu – La vittoria nella suppletiva di Hartlepool da parte dei Conservatori non può essere sottovalutata. Sia Johnson che il leader Laburista Starmer si sono recati in visita diverse volte nella città costiera del nord-est nelle ultime settimane. Il trionfo di Jill Mortimer, eletta con oltre 20 punti di vantaggio sul candidato del Labour, ha confermato la tendenza generale delle constituencies pro-Brexit ad affidarsi ai Tories. Tories che si sono confermati anche nella regione della Tees Valley con Ben Houchen, 34enne nuovo astro nascente del partito, e nelle West Midlands con Andy Street. Nel complesso, in tutta l’Inghilterra i Tories hanno ottenuto 2.205 seggi nei consigli comunali (scrutinati 132 su 143), 239 in più di prima, e sono diventati secondo partito in Scozia e Galles, confermandosi il bastione unionista delle due home nations.
I dolori di Sir Keir – Il Labour è andato incontro alla disfatta, perdendo il seggio di Hartlepool, rosso dal 1974, e oltre 300 consiglieri comunali sparsi in tutta l’Inghilterra. In Scozia non è bastato il nuovo leader, Anas Sarwar, per aumentare i consensi. Anzi, lo Scottish Labour ha perso 2 seggi anche lì. Starmer sta fronteggiando critiche da ogni parte. Gli attivisti corbyniani di Momentum e Unite, il maggiore sindacato affiliato al partito, lo accusano di avere spostato il partito troppo al centro, diluendo il messaggio di sinistra radicale del precedente leader. Sir Keir ha reagito sostituendo il capo organizzatore della campagna elettorale, Angela Rayner, sua vice nel partito, e promettendo di darsi da fare per cambiare le cose. Il Labour non sembra competitivo nelle sue vecchie constituencies ma ha mantenuto il Galles con il centrista Mark Drakeford e alcune sindacature importanti come Liverpool, dove è stata eletta Joanne Anderson (prima donna di colore del council a ricoprire la carica), e la Greater Manchester con Andy Burnham, favorito dai bookmakers per la sostituzione di Starmer in caso di sue dimissioni.
London (not) Calling for Khan – Avrebbe potuto essere la sorpresa della tornata, ma alla fine Sadiq Khan ha prevalso sul combattivo Shaun Bailey a Londra: 55 per cento contro 45. Fino a un paio di mesi fa il divario era di oltre 20 punti. Un risultato su cui i Tories potranno contare anche per il futuro: la mayorship della capitale e le varie constituencies che nel 2019 avevano votato Labour sono di nuovo contendibili. Alla Greater London Assembly 11 seggi sono andati a Khan e i suoi, 8 ai Tories. Il primo dei 25 consiglieri comunali a essere stato eletto è stato Tony Devenish, Tory di Londra Ovest.
La Scozia in giallo SNP – A Edimburgo Sturgeon e il suo SNP si sono fermati a un solo seggio dalla maggioranza assoluta (anche a causa del sistema elettorale misto). Con 64 seggi lo Scottish National Party è nettamente la prima forza di Holyrood, i Tories sono arrivati secondi con 31 e hanno colorato di blu tutte le constituencies del sud della Scozia, quelle al confine con l’Inghilterra. Sturgeon ha affermato che è un voto per un nuovo referendum per l’indipendenza, da tenersi entro il 2023, ma Johnson in un’intervista al Telegraph ha già detto no, definendo la proposta “insensata”. Il via libera al secondo referendum deve, per legge, essere data da Westminster. L’IndyRef2 sarà comunque una questione cruciale nel prosieguo della legislatura e anche e soprattutto per Boris Johnson se vuole mantenere il Regno Unito intatto territorialmente.
Avanzano i Verdi – Premessa. Si tratta di elezioni locali, che, di norma, si tengono con sistema elettorali diversi dal first-past-the-post che vige a livello nazionale. È difficile prevedere un’ondata verde sul modello di quella tedesca in nel Regno Unito. Eppure i Greens hanno ottenuto 121 consiglieri comunali, con un aumento di 71 unità rispetto alla tornata precedente. Le tematiche che anche il governo Johnson sta portando avanti su sostenibilità e green economy daranno a Sian Barry e Jonathan Bartley (i due co-leader del partito) la possibilità di avere voce in capitolo anche a livello mediatico sul futuro del Paese.
L’happy problem dei Tories – Johnson sembra invincibile, ma l’avanzata nel nord-est ha i suoi effetti collaterali. Lo stesso primo ministro si è affrettato a definire il suo “non un partito della working class”, ma “il partito delle opportunità e delle aspirazioni di tutti i cittadini britannici”. A Hartlepool, però, nelle intenzioni di voto prima della suppletiva, i Tories avevano 13 punti sui Laburisti tra gli operai. Al commentariat e a una fetta consistente del partito questa cosa mette in allarme, perché potrebbe trasformare i Conservatori nel medio-lungo periodo. Sul Telegraph è apparso un editoriale in cui si critica Johnson per avere preso misure anti-imprese: aumento della corporate tax dal 19 al 25 per cento da qui al 2023, aumento del salario minimo, entrata a piedi uniti sulle multinazionali del calcio inglese, aumento vertiginoso del debito pubblico e così via. È l’happy problem dei Conservatori: continuano a vincere e a guadagnare consenso, ma dovranno tradurlo in politiche che tengano conto delle esigenze di liberismo sfrenato di Londra, di quelle protezioniste del Red Wall, della Brexit e della cooperazione internazionale, della Global Britain e della Little Britain che, a torto o a ragione, considera il liberal cosmopolita Boris Johnson il suo mentore a Downing Street.