Giovedì 27 giugno, la Repubblica si apriva con un titolone a caratteri enormi, “Forza Capitana”, confermando implicitamente la finalità finanziaria e politica dell’operazione Sea Watch, diretta con estrema spregiudicatezza dalla ong tedesca, di incerta fisionomia, che conta di accrescere l’entità delle sue donazioni, già aggirantesi fra il milione e mezzo e i due milioni di euro; e condotta, con una tecnica da guerriglia, da una forza politica extraparlamentare, che pensa di farsi bella agli occhi della gente, mettendo in forse la politica migratoria di Salvini.
La sera di martedì, la intellighenzia di sinistra, quella ospitata, secondo una modesta turnazione, dai talk show di Rai 3 (Cartabianca) e La7 (L’aria che tira), con un tono fra il lamentoso e lo scandalistico, aveva tratto proprio dalla Sea Watch, ancora in itinere sulla linea delle acque territoriali italiane, la piena conferma della condanna del ministro del “malaffare”, perché al tempo stesso inumana, illegale, inefficace. La massa seguiva plagiata il pifferaio magico; lo seguiva per una combinazione fra la sua maligna capacità magnetica e l’attenuazione, se non la sparizione, di qualsiasi umanità e ragionevolezza da parte di una moltitudine amorfa, incolta, chiusa nella sua quotidianità, presbite, incapace di pensare alla prossima generazione. Che cosa avrebbe dovuto fare, secondo i nostri uomini saggi e illuminati, depositari esclusivi del buono e del vero? Qui si è andati dal fatalismo, espresso in entrambi i sensi: c’era chi pensava che si sarebbe dovuto riconoscere l’inevitabilità dell’immigrazione dall’Africa, visto che questa avrebbe raggiunto nel 2050 i due miliardi e mezzo (boom: la stima è un miliardo e mezzo), quindi immigrazione aperta per pressione naturale; e, c’era chi, all’opposto, credeva che si sarebbe dovuto prendere atto che ormai la politica di quasi tutti gli Stati europei era tendenzialmente anti-immigratoria: quindi immigrazione chiusa per decisione politica. Si è andati dal fatalismo alla ben collaudata argomentazione che non si fa carico dell’attualità, ma si proietta verso l’auspicata realizzazione di una politica comunitaria, che superi il trattato di Dublino, permetta una ridistribuzione obbligatoria fra Stati, concluda accordi con i Paesi di partenza, promuova l’integrazione ecc ecc.
Intanto, che fare con la Sea Watch? Certo accoglierla a mani aperte, perché, per la legge del mare, doveva raccogliere i naufraghi in mare aperto; e, per la legge dell’uomo, doveva portarli nel primo porto sicuro, considerato come tale solo quello di Lampedusa. Ora si potrebbe rovesciare lo stesso ragionamento che i nostri amici sogliono addurre a sostegno del loro argomentare, che, cioè quando il saggio indica col dito la luna, lo stolto guarda il dito. Sarebbe il caso di chiedersi il perché quello che considerano un “ricatto” di Salvini, appare a tanti, tantissimi, come un “ricatto” della Sea Watch. Proviamo a prescindere da alcuni fatti pur sintomatici, come: a) l’essere stati tutti gli immigrati imbarcati oggetto di torture e di molestie, senza, però essere derubati dei soldi necessari per pagare i mercanti di carne umana; b) l’essere la Sea Watch, appena ripresa la navigazione, tanto fortunata da incappare in un gommone, non per niente entrato in avaria dopo solo poche miglia dalla costa libica, quando è certo che esiste un centro volontario che riceve i messaggi dai gommoni e li ritrasmette alle navi delle ong, secondo quel modello produttivo battezzato just in time; c) l’essere l’unico punto di approdo sicuro Lampedusa, tanto da macinare nell’arco di due settimane tante miglia quante sarebbero bastate per andare in città estremamente accoglienti come Lisbona.
No, passiamo oltre. Vediamo se la “comandante” ha agito tenendo nel debito conto le coordinate giuridiche. C’era un precedente, costituito dalla decisione del Tribunale dei ministri di archiviare l’accusa di sequestro di persona, con riguardo proprio alla pregressa vicenda della Sea Watch. Ora si può ben pensare che questo precedente risenta del respingimento da parte della Camera della richiesta di autorizzazione a procedere con riguardo al caso Diciotti; ma forse risente ancor più del fatto che allora era solo Salvini in gioco, mentre ora erano Conte, Salvini, Di Maio, Toninelli, cioè l’intero vertice del Governo, sì che sarebbe stato difficile declassarlo a atto personale, non politico. Ma qui interessa la motivazione addotta circa la differenza fra i due casi Diciotti e Sea Watch, consistente nel fatto che la prima batteva bandiera italiana e la seconda, pur facendo sventolare una bandiera olandese, non aveva rispettato l’alt intimatogli dalla Guardia costiera. Non è chiaro perché il comportamento della nave dovesse ricadere sui migranti imbarcati, sì che lo sfondamento del blocco giustificasse il sequestro a bordo degli immigrati, peraltro realizzato per ottenere una ripartizione a carico degli altri Paesi. Tutto questo, può essere dibattuto, ma niente toglie che così il Tribunale dei ministri ha legittimato implicitamente come atto politico il trattenimento a bordo dei migranti raccolti in mare da una nave straniera, entrata illegalmente nelle acque territoriali italiane.
A seguire il decreto sicurezza-bis che punisce, con il sequestro e il pagamento di una somma di 50.000 euro, una nave che forzi il blocco, fermo restando il mantenimento a bordo dei migranti, secondo il citato precedente del Tribunale dei ministri. La “comandante” ne aveva avuto notizia già in corso di navigazione, ma ciò nonostante si è spinta fino al limite delle acque territoriali, soggiornandovi per guadagnare attenzione dai mass-media, resa certa di poter ricorrere al finale pirotecnico già programmato, dalla bocciatura del ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ed eccola mandare un messaggio urbi ed orbi per enfatizzare il suo sacrificio estremo, di far sbarcare prima o poi i suoi migranti, a costo della sua stessa verginità carceraria, novella Giovanna d’Arco condannata al rogo dal brutale arcivescovo di Beauvais, Pierre Cauchon, fedele esecutore degli ordini degli inglesi, qui interpretato da Salvini, prono traduttore degli autorevoli consigli di Trump.
Guardano al dito addirittura in modo strabico, ma ignorano la luna. Certo si prospetta una immigrazione africana di proporzioni bibliche; ma non è una politica realistica considerarla tale da doversi espandersi a macchia d’olio in tutta Europa, a cominciare dalla nostra Italia, condannata comunque a farsene carico in prima persona. La politica umana è fatta a misura di un tempo determinato, se suona vera la massima stra-citata di Keynes che sul lungo periodo saremo tutti morti. Qual è la luna agli occhi di gran parte della gente comune? È il rischio crescente di mettere in gioco la nostra identità a fronte di una esondazione aselettiva, gestita da mercanti senza scrupoli, che, alimentando iflussi in partenza dai Paesi subsahariani, seminano di morti il deserto, riempiono i disumani campi libici, spremono soldi, consegnano canotti incapaci di tenere il mare. Ciò mette in pericolo la nostra identità, fatta da un elevata cultura costruita sulle fondamenta di una religione cristiana, secolarizzata a sensi della massima evangelica, espressa con la metafora della moneta, “Dare a Cesare quel che è di Cesare”. Basterebbe rileggere le vibranti pagine della Fallaci per averne una rappresentazione traumatica, perché chi viene dal continente africano è spesso un giovane maschio, sprovvisto di un sia pur minima conoscenza della nostra lingua, poco o niente qualificato, musulmano, che si sente e si sentirà sempre tale, prima e più che italiano, così, continuando a coltivare la fedeltà al Corano più che alla Costituzione, ha una concezione teocratica dello Stato e una visione misogina delle donne, per non parlare della tentazione omofoba e antiebraica. Per capirlo non occorre guardare al futuro con la sfera di cristallo, basta vedere il presente in atto nei paesi a maggioranza musulmana.
Allora, cosa significa fermare la Sea Watch? Non tradire un umanitarismo d’accatto, costruito su un episodio creato artificialmente, ma mandare un messaggio chiaro, che per l’oggi e il domani prevedibile, non si arriva in Italia secondo una selezione affidata alla sola capacità di sopravvivere alla sete del deserto, alla barbarie dei campi libici, alla ingordigia dei mercanti di carne umana, alla fortuna di trovare una nave pronta a raccoglierli. Perché allora, in via paradossale, non andare a raccoglierli direttamente nei Paesi da cui partono, con un massiccio servizio aereo, del tipo di quello apprestato dagli americani per il blocco terrestre imposto a Berlino dai russi? Volere o volare questa è la luna che vedono gran parte degli italiani, che, a fronte degli epiteti di fascista, razzista, disumano, si danno una bella scrollata di spalle, anche i cattolici, che colgono l’impari concorrenza fra una fede “debole”, la loro, e una “forte”, l’islamica. Il Papa la pensa diversamente, bene, anche se fa sorridere amaramente l’utilizzazione strumentale che ne fanno i mass media c.d. progressisti, perché lo esaltano quando parla di solidarietà a tutto campo, ma lo ignorano del tutto quando si pronuncia a favore della famiglia tradizionale, estero-sessuale, come d’altronde proclama a piena voce la nostra Costituzione negli artt. 29 e 30 e contro il matrimonio omosessuale, l’aborto, l’utero in affitto e via dicendo. Il Papa parla con la sua visione utopica del Vangelo, ma la gente ragiona con la sua esperienza personale, specie quella più debole e marginale, stanca della continua ossessione di doversi far carico di tutta la tragedia del mondo, mentre conduce, a stento, la sua quotidiana fatica.