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Il senso di colpa dell’Occidente e il moralismo che avvelena la politica

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In pochi giorni è diventata l’eroina dei principali quotidiani italiani che l’hanno fin da subito contrapposta a Salvini, innescando un clamoroso duello mediatico. Ed è chiaro perché per le logiche del politicamente corretto, Carola Rackete rappresenti la perfezione. La “Capitana” della Sea Watch 3, in effetti, ne incarna i pilastri: l’autofobia, l’antioccidentalismo, il culto acritico del multiculturalismo e il moralismo che si è sostituito alla concezione razionale della politica. Ed è anche, e soprattutto, donna.

Nella celebre intervista su Repubblica, la nostra ha sottolineato di essere bianca e occidentale e di essere nata in un paese ricco, quasi sentendosene in colpa. Una colpa che, stando ad alcune tendenze d’oltreoceano sempre più presenti nelle élite europee d’avanguardia, sarebbe innata e dalla quale è impossibile redimersi se non mettendosi sotto accusa e autoprocessandosi. Non a caso l’Africa nera, islamica e migrante è stata contrapposta all’Italia cattiva che non accoglie. E che dovrebbe anche vergognarsi perché bianca e cristiana e quindi, automaticamente, razzista e sessista. Un approccio di questo genere ha permesso di ridurre la storia occidentale ad un mero scontro tra neri e bianchi, buoni e cattivi, di cui la vicenda della Sea Watch sarebbe l’ultimo episodio. In questa logica iper-semplificatrice e grazie ad una clamorosa ricerca di notorietà da parte della “Capitana” (come si potrebbero leggere le sue scelte se non come il tentativo di finire sotto i riflettori?), Salvini è riuscito a portare altra acqua al mulino della propria propaganda.

Utilizzando la polarizzazione costruita dai media, e rafforzata da alcuni deputati del Pd, ha incarnato ancora una volta il cattivo, colui che alla morale preferisce il diritto e le leggi dello Stato. Una posizione pienamente legittima nonostante l’asprezza e l’arroganza di alcune dichiarazioni. Ovviamente la fermezza del ministro degli interni è stata biasimata, se non demonizzata, da quasi tutti i giornali, che ne hanno sottolineato la disumanità. E qui torniamo al politicamente corretto, poiché una vicenda di estrema complessità è stata commentata usando esclusivamente dei criteri morali. Il binomio buono/cattivo si è sostituito al binomio legalità/illegalità. Il dibattito ha così seguito dei binari etico-morali ed emotivi. Su questo piano discorsivo tutte le posizioni differenti dall’accoglienza sono state bollate come immorali e quindi sono state quasi espulse dai media mainstream. Ma non è finita qui. I critici di Carola Rackete sono stati infatti accusati di sessismo. Anche chi si è permesso di criticare le sue scelte, e non il suo curriculum o il suo aspetto, è stato dipinto come un retrogrado maschilista italico, andato in escandescenza perché non in grado di accettare una donna di polso.

La vicenda si è conclusa con l’arresto della “Capitana”, ricoperta da insulti inenarrabili. Una fine vergognosa che descrive plasticamente i rischi degli opposti estremismi. La mancanza di un libero confronto tra posizioni diverse, la demonizzazione sistematica dell’avversario e l’uso politico delle emozioni, sostituite al ragionamento, ci hanno ricordato che la barbarie è sempre in agguato. Un monito valido per i supporter di Salvini, ma anche per i suoi odiatori che non di rado gli hanno augurato la morte. Come avvenuto al gay-pride di Milano.

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