Il sonno e i sogni da Covid-19. La nostra vita subcosciente incontra la vita reale, strategie terapeutiche e suggerimenti pratici

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa analisi della dott. ssa Maria Cristina Arpaia, psicoterapeuta

È ormai verità ampiamente conosciuta che Freud si riferisse ai sogni come alla via regia verso l’inconscio e si dice che Jung, dopo di lui, ne abbia percorso la direzione riportandone la topografia simbolica dell’inconscio nei suoi fondamenti teorici. L’enigma della nostra coscienza appare strettamente connesso al paradosso misterioso dell’inconscio notturno, dormiente – apparentemente – nelle vicissitudini diurne e risvegliato nello stato di incoscienza. Come si legge in ogni “manuale” informativo sul sonno, l’essere umano passa un terzo della sua vita dormendo, dove sonno e sogno si incontrano e talvolta scontrano, anche se qualcuno è prontissimo a giurare che lui proprio non sogna alcunché.

In genere, non ricordare di aver sognato non significa non aver sognato affatto, piuttosto il non ricordarne dipende dal carattere evanescente proprio dei sogni. Il corpo riposa durante il sonno, il tono muscolare rimane rilassato – anche se talora può essere scosso da contrazioni nelle sue parti estreme – ma il cervello si “tonifica”, corroborando le proprie sinapsi. In termini esperienziali, per l’individuo, significa vivificare i ricordi, riattivare la memoria, imparare nuove modalità espressive della personalità. Il sogno è un regolatore delle esperienze vissute durante la vita di veglia diurna, le confronta con quelle note e fa imparare. Usando una metafora informatica, la fase del sonno rappresenta una sorta di garbage collector, liberando zone di memoria non più allocata da risorse attive, le rende disponibili per processi attivi: il cervello elimina i metaboliti accumulati durante la fase di veglia e fa spazio per nuove conoscenze. Le esperienze diurne, quindi, sono abbastanza determinanti la qualità del sonno, la sua durata, la serenità necessaria nella fase pre – addormentamento. È evidente pertanto che in situazioni di stress acuto e di condizioni di paura e incertezza, come quella in cui abbiamo vissuto per due mesi e dalla quale ancora non siamo usciti, se non dalla sua modalità più acuta, si rafforzino esperienze che creano nessi sotterranei tra i meccanismi inconsci legati alla paura, tensione, irrequietezza.

Parlare di sonno, di qualità del sonno stesso e di sogni in tempo di Covid-19 ha aspetti molto interessanti, per le inevitabili conseguenze sulla psiche, oltre che sul corpo. Infatti, in riferimento a quest’ultimo, i ritmi stessi del nostro corpo si sono alterati durante la fase di quarantena forzata e questo – l’isolamento in sé e la natura coercitiva di tale isolamento – hanno provocato una vera trasformazione, in certi casi, della nostra fisiologia con riferimento al riposo, al sonno e alle fasce orarie dedicate ad esso. Come in ogni situazione, fondamentale è la conoscenza, e ancor di più in
situazioni di pericolo e di difficoltà. Tra le varie ricerche, solo per citarne di più recenti, quella del King’s College di Londra evidenzia la presenza di disturbi del sonno in una fascia molto ampia della popolazione, rilevando una stretta correlazione con situazioni di stress. I sogni sono
vividi e trasmettono sensazioni intense, di paura e di terrore, rispetto a situazioni non controllabili. I fattori in gioco, come accennato, si riferiscono a situazioni di stress, diverso in questo caso da quello vissuto nella routinaria vita lavorativa e di pesanti impegni social a cui eravamo abituati, al contrario si sperimenta un nuovo stress da isolamento, e da isolamento forzato.

Questa latente (per la coscienza) percezione di non libertà e di costrizione, sperimentata forse per la prima volta, almeno per le nuove generazioni, dopo decenni, spinge il nostro inconscio verso direzioni sentite nuove e percepite perniciose. È minata la nostra stessa percezione di controllo delle circostanze, vero mantra (il controllo), seppur spesso implicito, della nostra abituale regolazione di vita. Addirittura sono stati fatti paragoni con l’11 settembre e il trauma conseguente, con l’evidenziazione di analogie tra i sogni post traumatici degli eventi del 2001 e quelli ricorrenti nella situazione attuale. Si può trattare di situazioni che evocano reazioni da trauma, con aumento dei livelli di ansia, con impatto sul meccanismo di risposta neuroendocrina allo stress (asse ipotalamo-ipofisi-surrene), determinato da incremento della secrezione di corticotropina (CRH), con conseguente rilascio di adenocorticotropina (ACTH), proprio in risposta allo stress. In queste circostanze la tipologia dei sogni cambia, gli scenari immaginifici della nostra mente, attraverso il lavorio intenso dell’inconscio “pandemico”, risultano essere più concreti, più visivamente determinati, chiari nella definizione degli scenari. In questa circostanza specifica che caratterizza lo stato di vita durante la pandemia, una grande quantità di insetti invade i nostri sogni, o dovremmo dire incubi.

Ma allora possiamo solo subire l’effetto di una situazione di costrizione in cui ci troviamo o da cui stiamo appena uscendo – almeno fisicamente, ma psichicamente siamo appena sulla soglia? La risposta è strettamente correlata alla considerazione personale circa la propria capacità di tolleranza delle frustrazioni e di tolleranza di un tipo di costrizione soggettiva (dentro di noi, controllabile), diretta conseguenza di quella oggettiva (fuori di noi) incontrollabile per natura. La decisione non è sempre un mettersi “in azione”, la nostra mente può decidere anche senza l’atto, inizialmente. Ma questo, che è un passaggio spesso implicito e lasciato incosciente, prepara, anzi è proprio propedeutico all’azione vera e propria. Ci sono due strade, correlate e parallele per orientarsi in questa situazione che sfugge al controllo e ci lascia in uno stato spesso di prostrazione: una può essere la “cattura” del senso dei sogni, una lettura dell’inconscio, per ricongiungerci all’incipit dell’articolo, ritornando a Freud. E questo può essere fatto attraverso un lavoro terapeutico: la pratica clinica mostra la validità di affronto di fobie e ansia attraverso l’analisi dei sogni. La seconda via è una ricostituita igiene del sonno. Entrambe queste vie devono essere oggetto di un lavoro, l’intraprenderle deve essere frutto di una decisione, prima interiore, legata alla motivazione, indispensabile per un cambiamento. Questo è il fondamento di ogni lavoro che si poggi sulla libertà della persona.

Ci sono metodiche di studio obiettivo del sonno, effettuate in centri specializzati, quale la polisonnografia, volta alla verifica degli stadi del sonno, basata sulle caratteristiche EEG, EOG, EMG, rispettivamente l’attività cerebrale, dei movimenti oculari e del tono muscolare. Per quel che riguarda un lavoro soggettivo, invece, rispetto alla sintomatologia sia notturna (difficoltà nell’addormentarsi e nel mantenere il sonno) sia diurna (sonnolenza, difficoltà di concentrazione, calo del tono dell’umore), e per una valutazione clinica dell’insonnia, molto utile è un lavoro psicoterapeutico. Il punto iniziale può essere una valutazione self report: questionari o interviste retrospettive, il cui vantaggio è certamente quello di disegnare uno scenario della storia clinica dell’insonnia e la rappresentazione che la persona si fa delle sue difficoltà del sonno. La tenuta di un diario del sonno è una strategia che può essere attuata anche singolarmente, come iniziativa personale, per elicitare una coscienza maggiore delle dinamiche che si innescano prima di andare a dormire, con il vantaggio di rilevare la difficoltà esattamente come si presenta. Lo svantaggio di tale attività risiederebbe nella elevata focalizzazione sul dettaglio della situazione osservata che può alterare la situazione stessa, creando difficoltà aggiuntive. Una cosa fondamentale è la necessità di calmare lo stato iperattivo del sistema nervoso, quello stato di eccitamento, quella percezione dell’adrenalina che ci impedisce di addormentarci e che ci fa sentire letteralmente i pensieri come fossero realmente presenti, con le correlate circostanze. Se si è iperattivi durante l’attività diurna, è molto probabile che difficilmente si riesca a disinnescare questa iperattività durante la notte.

È importante rendersi consapevoli che ciò che impedisce di addormentarsi è legato a dinamiche ripetitive e false credenze e/o abitudini. False nel senso di disfunzionali. Ciò resta vero anche nelle situazioni più difficili e ansiogene come quelle generate dal Covid-19, infatti, occorre scardinare alla radice tali abitudini, sia mentali sia di comportamento. Accanto alle ordinarie credenze disfunzionali sul sonno (preoccupazioni per la perdita di sonno e sulle conseguenze del non dormire il tempo giusto – anche questa è una interpretazione soggettiva), nelle situazioni attivanti occorre ricollocare l’evento traumatico all’interno della sua cornice: considerare la condivisione della situazione, il fatto di non esser soli a vivere quell’evento; rispondere alle proprie domande, a volte implicite, sulla situazione e cercare dei punti di vista alternativi, ossia verificare se il giudizio emotivo e istintivo che si ha sulla situazione sia effettivamente l’unica spiegazione o se ci sia la possibilità di trovare una risposta più razionalizzata; partire dalla razionalizzata considerazione per guidare il comportamento, per attuare realmente un cambiamento in modo fattivo.

Bibliografia
Freud, S. “L’interpretazione dei sogni”, 1899, Bollati Boringhieri, Torino, 2019
Jung, C. G., Mcguire, W. (a cura di), “Analisi dei sogni. Seminario tenuto nel 1928-30”, Bollati Boringhieri, Torino, 2006
Jung, C. G., “L’analisi dei sogni – Gli archetipi dell’inconscio – La sincronicità”, Bollati Boringhieri, Torino, 2011
Jung, C. G., “Simboli e interpretazioni dei sogni”, Bollati Boringhieri, Torino, 2015
King’s College di Londra, riferimenti alla ricerca presenti nell’articolo
Per ricerche sui sogni in tempo di Covid, riferimenti nell’articolo

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