C’è chi dice che la Spagna produca molta più politica di quanta possa assimilarne. Gli eventi degli ultimi giorni sembrano confermarlo. Mercoledì scorso la presidente della Comunità di Madrid, Isabel Díaz Ayuso (Partito Popolare – PP), convocava elezioni regionali anticipate per frenare una possibile mozione di sfiducia da parte di Ciudadanos, il partito con cui governava fino a quel momento. La ragione è che il giorno prima, in un’altra comunità autonoma (Murcia), Ciudadanos aveva tentato il ribaltone, abbandonando la coalizione di maggioranza con i popolari e sfiduciando insieme ai socialisti il presidente in carica. Iniziativa poi abortita perché tre suoi consiglieri avevano cambiato idea all’ultimo momento. Temendo lo stesso scenario Ayuso, che i sondaggi danno in continua crescita di consensi, decideva di spiazzare tutti chiamando gli elettori alle urne. A nulla servivano le due mozioni presentate in extremis dall’opposizione di sinistra, annullate da una pronuncia del Tribunale Superiore di Giustizia in quanto registrate fuori tempo massimo. “Socialismo o libertà” era lo slogan con cui Ayuso lanciava la sua campagna per la rielezione, contrapponendo le sue credenziali liberali alla sinistra del PSOE e all’estrema sinistra che ruota intorno alla galassia di Podemos.
Ieri però arrivava l’annuncio a sorpresa del vicepresidente del governo e leader di Podemos, Pablo Iglesias: lascerà il suo incarico nell’esecutivo per competere contro Ayuso alle elezioni convocate per il prossimo 4 maggio. Subbuglio nelle redazioni e nelle segreterie per una decisione che rischia di cambiare lo scenario politico, più a livello nazionale che regionale. Ma cosa spinge un vicepresidente bolivariano, che fino a pochi anni fa nessuno avrebbe immaginato potesse accedere alla stanza dei bottoni, ad abbandonare il suo posto nell’esecutivo centrale per candidarsi in un voto regionale? Prima di tutto la prospettiva concreta della sparizione del suo partito dallo scenario politico di Madrid. La legge elettorale regionale prevede uno sbarramento al 5 per cento e per Podemos le prospettive di superare questa cifra erano fino a ieri piuttosto incerte. La candidatura di Iglesias cerca di evitare questo orizzonte catastrofico, che decreterebbe probabilmente il tramonto dell’esperienza podemita, almeno nella sua versione attuale. Poi ci sono ragioni ideologiche tipiche del personaggio: Iglesias non è un governante, è un agit-prop da gazzarra nelle aule universitarie, uno spin-off del chavismo la cui missione è far saltare il consenso democratico del post-franchismo, in nome del socialismo del XXI secolo. L’occasione per proporsi come argine alla fantomatica “ultradestra” (PP e Vox per quelli come lui pari sono) che si impadronirebbe di Madrid e poi del Paese è troppo ghiotta per non essere colta: “democrazia o fascismo” è lo slogan che ha coniato in cinque minuti in contrapposizione a “comunismo o libertà” di Ayuso (update dell’iniziale “socialismo o libertà”, adattato per l’occasione). Da qui a maggio sarà una guerra civile senza quartiere – si spera solo verbale – di iperboli e convulsioni, con una importante differenza: che Ayuso non c’entra nulla con il fascismo, mentre Iglesias e il comunismo sono parenti stretti.
In realtà la dicotomia Ayuso-Iglesias è solo mediatica. Non c’è nessuna possibilità che quest’ultimo possa contenderle la presidenza, la sua funzione sarà quella di agitare le acque a sinistra, mobilitare la base per portare acqua al mulino “progressista”, dove il candidato ufficiale era e resta il socialista Gabilondo, il cui protagonismo rischia seriamente di essere oscurato dall’irruenza del Lenin di Vallecas (questa ve la spiego un’altra volta). Ayuso nella conferenza stampa post-annuncio ha esordito dicendo che la Spagna le deve un favore, quello di aver provocato le dimissioni di Iglesias dal governo nazionale. Ed effettivamente è questo il primo colpo grosso involontario messo a segno dalla presidente della Comunità di Madrid con le elezioni anticipate. Ma potrebbero seguirne altri. Se Iglesias, come probabile, riuscisse a superare lo sbarramento ma non a evitare una maggioranza di centrodestra, la sua missione potrebbe considerarsi fallita. A quel punto la domanda sarà come riuscirà a riproporsi nella veste di leader nazionale, dopo aver puntato tutto sulla retorica del fronte popolare ed essersi autoescluso dal governo centrale. Cooptando l’attuale ministro del lavoro, Yolanda Díaz, come vicepresidente del governo, insomma regalando la prima linea ad altri esponenti podemiti di rilievo, rischia seriamente di scavarsi la fossa anche all’interno di un partito di cui difficilmente manterrebbe il controllo da sconfitto.
Anche dal punto di vista strettamente elettorale la sua candidatura potrebbe rivelarsi un autogol per la sinistra: a Madrid il socialismo del XXI secolo non ha mai goduto di grande popolarità, per usare un eufemismo. La presenza di Iglesias avrà il probabile effetto di allertare la cittadinanza moderata spingendo Ayuso verso la maggioranza assoluta. Anche chi nel centrodestra non la ama, di fronte all’alternativa di ritrovarsi al governo della regione una sinistra con Iglesias, non esiterà ad appoggiare l’attuale presidente uscente. Stesso discorso vale per gli elettori di Ciudadanos in libera uscita. Se fino ad oggi il partito arancione (anch’esso a rischio 5 per cento) poteva contare su una base elettorale a cavallo tra destra e sinistra, la presenza di Iglesias potrebbe spingerne una porzione rilevante verso il PP, anche in considerazione del fatto che nel governo della capitale le due formazioni sono alleate con buoni risultati. La sinistra (PSOE, Podemos e affini), per contro, era già schierata in armi contro Ayuso ma il suo tetto nella Comunità di Madrid difficilmente si scosterà – nella migliore delle ipotesi – da quello raggiunto nell’ultima tornata elettorale, insufficiente per garantire la governabilità.
Chi esce rinfrancato da tutto questo groviglio è il presidente del Governo Pedro Sánchez. Madrid la dava già per persa e, senza colpo ferire, si libera di una mina vagante come Iglesias. Lui alla fine governa con le periferie contro la capitale, Podemos gli serve solo per una questione numerica e da oggi sarà più maneggevole.
Quel che è chiaro è che nella Comunità di Madrid il 4 maggio si giocherà una partita molto più importante delle stesse elezioni regionali, che riguarda il futuro politico del Paese almeno su tre fronti: le prospettive di Podemos nel governo a guida Sánchez, il possibile ricorso a elezioni anticipate anche a livello generale, la ristrutturazione del centrodestra sull’asse PP-Vox e l’emarginazione definitiva di Ciudadanos.