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Su immigrazione e frontiere si sta ridefinendo la politica europea. Post-Merkel più vicino

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Una delle principali critiche alla linea di politica europea del governo Conte, in particolare sul tema dell’immigrazione, è che sbaglierebbe alleanze. Come si fa a flirtare con l’Austria e i Paesi di Visegrad, che non hanno accettato un singolo ricollocamento e si oppongono strenuamente alla revisione del regolamento di Dublino e a qualsiasi sistema di condivisione dei richiedenti asilo? “E’ difficile influenzare le decisioni europee, ma diventa impossibile farlo quando non si hanno le alleanze giuste” (Sergio Fabbrini, Sole24Ore). Ma i commenti in questo senso non si contano. Sottinteso: gli alleati “giusti” sarebbero Francia e Germania. Detto tra parentesi: è inquietante, purtroppo non sorprendente, che molta della nostra stampa mainstream continui a vedere un “naturale alleato” a Parigi, e addirittura a offrirsi come sponda interna, quando non da oggi, ma almeno dal 2011 ci è stata dichiarata una “guerra fredda” che minaccia la nostra stessa sicurezza nazionale (Libia e Maghreb) e che è probabilmente all’origine del crollo elettorale di Pd e FI.

Premesso che in realtà la politica europea del nuovo governo è ancora piuttosto nebulosa, e non è detto che la sintonia politica di Matteo Salvini con gli altri leader “sovranisti” non trovi un freno e un contrappeso, c’è tuttavia un fattore che ci sembra trascurato e che potrebbe rendere nient’affatto folle se non proprio un’alleanza, quanto meno la ricerca di una sponda a Vienna, a Monaco e a Budapest, così come in altre capitali del nord Europa.

Ad una onesta prova dei fatti il sistema dei ricollocamenti dei soli rifugiati non ha funzionato non solo per il rifiuto dei Paesi di Visegrad. Anche la Francia di Macron, non solo l’Ungheria di Orban, è inadempiente, e la Germania ha mostrato scarsa volontà di farlo rispettare o di “forzare” una revisione di Dublino a vantaggio degli interessi italiani. Figuriamoci ora che Angela Merkel sta perdendo potere ed è sotto la pressione della CSU bavarese – addirittura sull’orlo di una crisi di governo dopo l’annuncio di dimissioni del ministro dell’interno Seehofer. Riformare Dublino è un processo che nella migliore delle ipotesi non entrerà nel vivo prima di un anno, all’indomani delle elezioni del Parlamento europeo del 2019. Nel frattempo? Dovremmo forse aprire i “centri controllati” previsti dalle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo, senza alcuna garanzia che altri Paesi importanti facciano altrettanto e che, su “base volontaria”, accettino la ripartizione dei richiedenti asilo?

Se la porta delle ripartizioni è chiusa (ripeto: non solo per volontà di Visegrad, ma perché il vento è cambiato anche in tutti gli altri Paesi europei, Germania compresa), inutile continuare a sbatterci la testa. Forse si può lavorare più proficuamente per rafforzare la difesa e il controllo delle frontiere esterne con i governi che da più o meno tempo propongono una linea più rigorosa per contrastare i flussi migratori.

Sembra averlo compreso Matteo Salvini, che ieri a Pontida ha spiegato: “L’obiettivo non è mal comune e mezzo gaudio ridistribuendo i migranti. Mio obiettivo è che l’Europa protegga la frontiera esterna con Frontex“. Questo è forse un obiettivo al momento più realistico. Alla luce degli ultimi sviluppi politici a Berlino, e del semestre di presidenza austriaca dell’Ue, iniziato ieri, il cui motto è “Un’Europa che protegge”, il leader leghista ha cominciato a intravedere all’orizzonte il “modello australiano”. Meglio puntare su un’ipotesi di ripartizione dei richiedenti asilo incerta sul “se” ci sarà disponibilità, e soprattutto sui numeri (nel senso che potrebbe riguardare poche centinaia di richieste), nel frattempo essendoci trasformati in un immenso hotspot di arrivo e smistamento come vorrebbe Macron, oppure su una linea condivisa a livello europeo su chi ha titolo a entrare e come, respingendo tutti insieme chi non ne ha?

“Il nostro obiettivo – ha dichiarato il cancelliere austriaco Kurz in un’intervista alla Bild – rimane quello di una soluzione comune europea per rafforzare il controllo delle frontiere esterne e la creazione di centri di raccolta in Paesi terzi. In questo modo potremo salvaguardare l’esistenza di un’Europa senza frontiere interne”. Già, perché di tutta evidenza se le comunità europee temono un’immigrazione incontrollata, come in questi anni, e quindi premono sui rispettivi governi portandoli a scontrarsi tra di loro, il rischio è il collasso di Schengen, una delle più apprezzate conquiste dell’integrazione europea. L’unico modo per salvare Schengen è difendere le frontiere esterne (mette piede in Europa solo chi ha diritto all’asilo) e avere un’immigrazione economica controllata, chiudendo a quella unskilled e dotandosi di criteri comuni rigorosi. Una verità banale che per primi gli europeisti dovrebbero riconoscere e tenere sempre a mente. Una volta centrati questi obiettivi, sarà probabilmente più facile avviare anche una discussione serena su Dublino.

“Il controllo dell’immigrazione non è un’opzione, è una necessità”, è il titolo dell’editoriale del Times di domenica. Non solo per il Regno Unito, ma anche per l’Unione europea. Non si tratta solo di affrontare l’emergenza, ma di trovare un giusto equilibrio. Chiedersi se l’immigrazione sia una cosa buona o cattiva, ha osservato il professore dell’Università di Oxford Paul Collier, autore del libro “Exodus”, è come chiedersi se mangiare sia cosa buona o cattiva: “In entrambi i casi la domanda pertinente non è se sia buona o cattiva, ma quanto. Un po’ di immigrazione è quasi certamente meglio che nessuna immigrazione. Ma come mangiare troppo può portare all’obesità, così l’immigrazione può essere eccessiva… Non governata, accelererebbe in misura tale da diventare eccessiva. Ecco perché i controlli, lungi dall’essere un imbarazzante retaggio di nazionalismo e razzismo, stanno diventando strumenti sempre più importanti di politica sociale in tutte le società avanzate”. La sfida anche per l’Europa è arrivare ad avere un’immigrazione umana, economicamente sostenibile e ampiamente accettata dai cittadini europei.

Il professor Collier e il suo collega Alexander Betts hanno scritto la scorsa settimana che “l’immigrazione che ha il supporto democratico della società che accoglie soddisfa gli interessi di lungo termine di quella società, di quella di origine e dei migranti stessi”. “Chi fugge dalla guerra e dalle persecuzioni merita di essere difeso e trattato in modo appropriato – conclude il Times – sebbene ciò non significhi che a tutti debba essere concesso asilo in Europa. Per molti ci sono soluzioni più vicine ai loro Paesi. Gli immigrati economici da Paesi a basso reddito, all’interno e dall’esterno dell’Ue, devono essere soggetti invece a regole e controlli. Non è razzista o nazionalistico sostenerlo”.

Come abbiamo già segnalato qui su Atlantico, l’immigrazione incontrollata di questi anni ha cambiato la politica europea più di quanto possa apparire leggendo cronache e analisi dei mainstream media, scuotendo le tradizionali famiglie politiche e le vecchie alleanze, e favorendo la ricerca di nuovi equilibri di potere. Le elezioni italiane del 4 marzo e la formazione del governo gialloverde sono state il detonatore. In tutto questo è comprensibile la frustrazione del presidente francese Macron. Se la Merkel si è indebolita, lo è ancor di più Macron che sembrava destinato ad essere il leader che avrebbe riformato l’Eurozona, cambiato l’Ue, e che per ora deve riporre i suoi sogni di gloria nel cassetto.

Non ha alleati. I suoi piani presupponevano un’Italia arrendevole, quindi dalla sua parte sulle riforme, ma è l’immigrazione oggi il tema caratterizzante. Può deplorare la decisione del governo dei “vomitevoli” di chiudere i porti alle Ong, ma con scarsa credibilità se poi non è disposto ad accogliere nemmeno un carico di migranti nei suoi porti.

Altri leader sono in ascesa e contendono a Macron il ruolo di guida e la direzione stessa del cambiamento. Il cancelliere austriaco Kurz sta esercitando una forte influenza sulla politica tedesca, mostrando a Berlino che è possibile una nuova coalizione di governo, mettendo insieme destra identitaria e centrodestra, come a Vienna. Sull’immigrazione, sulla difesa e il controllo dei confini dell’Ue, sull’identità, si combatte anche una battaglia per gli equilibri politici in Europa, per la natura del centrodestra europeo, superando il centrismo della cancelliera Merkel che l’ha caratterizzato per oltre un decennio.

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