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In attesa del 9 maggio russo: verso un’altra “guerra civile europea”?

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Nell’accusa a Varsavia la visione di Mosca: meglio un’Ucraina smembrata che sovrana. E possibile attacco alla Moldavia

Sembra che l’invasione russa dell’Ucraina abbia risvegliato i peggiori fantasmi della storia europea. Le dichiarazioni di Lavrov sull’antisemitismo degli ebrei e sulle origini giudaiche di Hitler richiamano le cupe atmosfere dei Protocolli dei Savi di Sion, non a caso opera della polizia segreta zarista. Il ministro degli esteri di Putin ha scelto con cura la platea a cui offrire in pasto il suo revisionismo volgare, l’Italia del pacifismo pro-fascista, del neutralismo anti-Nato, delle adunate contro l’invio di armi alla nazione aggredita. Ma anche il Paese degli accademici (non solo Orsini) che, spinti da un anti-americanismo accecante, non si fanno scrupoli a riabilitare perfino le intenzioni di Hitler, alle cui responsabilità nello scoppio della Seconda Guerra Mondiale associano non quelle reali dell’Unione Sovietica staliniana (Molotov-Ribbentrop e protocollo segreto) ma quelle presunte delle democrazie occidentali, colpevoli di reagire all’avanzata della Wehrmacht. Uno scenario delirante riproposto ogni sera in diretta televisiva e ogni mattina sulle colonne degli organi di stampa filo-russi, un teatro dell’assurdo impensabile fino a pochi anni fa, oggi ubiquo e trasversale.

Mentre da noi va in scena la confusione pianificata ed eterodiretta (credete davvero che tutto questo sia solo frutto di una deriva spontanea?), gli ucraini continuano a lottare per la sopravvivenza. A dar retta alle fonti di intelligence occidentali, la devastazione a cui abbiamo assistito in mondovisione potrebbe essere solo un antipasto di quel che verrà. In oggettiva difficoltà sul campo di battaglia, costretto a modificare continuamente gli obiettivi in corsa, il regime di Mosca starebbe preparando la mobilitazione generale in occasione delle manifestazioni del 9 maggio. Sarebbe proprio la celebrazione della vittoria sovietica sul nazismo (quello vero) l’occasione per una dichiarazione di guerra ufficiale all’Ucraina e al mondo intero: una riproposizione tra il tragico e il grottesco della lotta antifascista su scala universale, una de-nazificazione planetaria, in pratica una guerra contro tutto quel che non è russo. La follia ideologica che si fa minaccia globale. Cosa cambierebbe a livello pratico, per i russi e per tutti noi, è difficile dirlo a priori. Certamente la formalizzazione del passaggio da “operazione speciale” a guerra aperta aprirebbe le porte a una potenziale escalation bellica anche oltre i confini ucraini e a una definitiva involuzione del regime russo verso il totalitarismo di massa.

In questo delirio di onnipotenza che contrasta con la realtà di un esercito obsoleto, demoralizzato e – di fatto – impantanato, si delineano i prossimi obiettivi dell’avanzata russa: la sempre più probabile annessione delle repubbliche del Donbass (ricordate il lapsus di Naryshkin nella sessione del Consiglio di Sicurezza prima dell’invasione?), la creazione di un’altra enclave separatista nella regione di Kherson, l’occupazione del Sud dell’Ucraina fino al ricongiungimento con la Transnistria, l’esclusione definitiva di Kiev dall’accesso al mare. Insomma, non potendo conquistare il Paese nella sua totalità, la Russia punterebbe a spaccarlo e a dividerlo. Acquisizioni territoriali che, se consolidate, saranno difficilmente reversibili a breve termine.

Specchio delle intenzioni di Mosca la surreale accusa rivolta alla Polonia di voler occupare l’Ucraina occidentale, approfittando della situazione di crisi. La Russia legge le relazioni internazionali secondo il prisma che le è familiare, quello dell’appropriazione con la forza, e c’è da pensare che una soluzione del genere potrebbe non risultarle sgradita: nella sua visione meglio un’Ucraina smembrata che sovrana. Ma i piani di Mosca si scontrano con la realtà dell’eroica difesa del Paese, i cui obiettivi dichiarati continuano a contemplare la liberazione di tutto il territorio nazionale, compresi l’Est e, idealmente, la Crimea. L’armata putiniana non è ancora riuscita a chiudere i conti con i resistenti nemmeno in una Mariupol ridotta in macerie, e per il momento deve accontentarsi di issare bandiere sovietiche e rimettere in piedi statue di Lenin in porzioni significative ma pur sempre limitate di territorio controllato.

Fonti militari ucraine avvertono però che “la Russia ha già preso la decisione di attaccare la Moldavia”, replicando così lo schema utilizzato per il Donbass: territorio controllato da autorità fittizie filo-russe, destabilizzazione permanente nei confronti del potere centrale di uno Stato sovrano, presenza di truppe russe (1.500 effettivi in Transnistria) più o meno sotto copertura, organizzazione di “incidenti” attribuiti alla controparte, richiesta di assistenza o dichiarazione dello stato d’emergenza e intervento armato. È il manuale dell’espansionismo editato dal Cremlino.

Il 9 maggio non sono previste parate della vittoria a Tiraspol, informa Mirko Mussetti, ma la piccola Unione Sovietica moldava non è l’unica area di tensione per il governo di Chisinau. La Gagauzia, regione autonoma meridionale a prevalenza di turco-parlanti ma politicamente vicina a Mosca, potrebbe rilevare il testimone delle manifestazioni dell’orgoglio russo. Ogni miccia, a questo punto, rischia di alimentare il falò. In due mesi gli equilibri successivi alla Seconda Guerra Mondiale e alla Guerra Fredda sono saltati in aria. Se il colpo di Stato bolscevico cent’anni fa diede il via a quella che Nolte descrisse come “guerra civile europea”, la guerra russa in Ucraina rischia di diventare l’evento che segnerà le sorti del XXI secolo.

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