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In Canada un assaggio di cosa ci aspetta: moneta e identità digitali la più grande minaccia alla libertà

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Lo Stato non può e non deve essere intermediario e socio occulto delle transazioni economiche tra liberi cittadini, perché questo equivale ad avere il potere di giudicare e sanzionare ogni pensiero e opinione

Chi ha seguito le proteste del Freedom Convoy in Canada saprà che la scorsa settimana Trudeau ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale (Emergency Act), poi revocato, per reprimere e riportare all’ordine i manifestanti (pacifici) di Ottawa, ricorrendo anche alla violenza attraverso l’uso delle forze dell’ordine.

Ma oltre alla violenza fisica, c’è un altro tipo di violenza, più subdola, che proprio in questi giorni ha mostrato tutti i suoi effetti.

La prima importante decisione presa a seguito dell’Emergency Act è stata di estendere l’applicazione della normativa antiriciclaggio e contro il finanziamento al terrorismo a ogni piattaforma e intermediario di pagamenti. Nelle parole del vice primo ministro canadese e ministro delle finanze Chrystia Freeland (tradotto dall’inglese):

“Estenderemo l’ambito di applicazione delle leggi antiriciclaggio e contro il finanziamento al terrorismo in modo tale che possano coprire la piattaforme di crowdfunding e i fornitori di servizi di pagamento. Queste modifiche copriranno qualsiasi tipo di transazione, incluse quelle con asset digitali come le cryptovalute, e questi soggetti saranno obbligati a registrarsi al FINTRAC (Financial Transactions and Reports Analysis Centre of Canada) e segnalare ogni transazione sospetta”.

In pratica, il governo canadese ha deciso di applicare la normativa antiterrorismo retroattivamente a ogni tipologia di transazione economica, assoggettando tutta la popolazione ad un’estensiva e pervasiva attività di sorveglianza di massa finanziaria.

Lo scopo, in questi giorni ampiamente realizzato, è quello di bloccare i finanziamenti al Freedom Convoy anche arrivando al blocco dei conti correnti dei manifestanti. La portata di queste misure estreme non si limita però ai conti dei partecipanti del Freedom Convoy (e comunque sarebbe già grave).

Migliaia di persone, che magari non hanno neanche mai partecipato attivamente alle proteste di Ottawa, potrebbero ritrovarsi improvvisamente senza poter accedere ai loro soldi, colpevoli soltanto di aver fatto delle donazioni alla causa del Freedom Convoy. La ciliegina sulla torta? Il governo ha dichiarato di sollevare le banche da qualsiasi responsabilità civile. Quindi, non solo blocco del conto senza autorizzazione del giudice – senza giudizio e retroattivamente – ma anche senza alcuna possibilità di rivalersi civilmente.

Le testimonianze sull’assurda pervasività di questa misura di sorveglianza di massa sono ormai diverse. Mi ha particolarmente colpito quella di una persona di Chilliwack (British Colombia), che dopo aver donato 50 dollari al Freedom Convoy si è trovata il conto bloccato. Giusto per valutare meglio l’assurdità della situazione: Chilliwack dista circa 4.300 km da Ottawa, che è dall’altra parte del Canada.

Questo tipo di violenza di Stato non è visibile e appariscente come la violenza dei poliziotti che calpestano i manifestanti a cavallo, ma è anche peggio. È una violenza subdola, sotto forma di sorveglianza di massa legalizzata, che ha l’unico scopo di punire la libera manifestazione del pensiero togliendo alle persone i loro mezzi di sostentamento, la libertà e la dignità.

La capacità di scambiare valore tra le persone è il principale mezzo di espressione e manifestazione del pensiero che abbiamo a disposizione. Senza la possibilità di fare transazioni tra persone, non può esserci alcuna concreta manifestazione del pensiero e libertà d’espressione.

La follia canadese ha quindi due effetti diretti: il primo è che, essendo le transazioni tracciate e controllate, lo Stato diventa socio occulto di ogni transazione e ogni rapporto tra persone. Il secondo è che lo Stato è quindi in grado di punire e silenziare chiunque la pensi diversamente dall’ideologia politica del momento. Bloccare il conto corrente di persone che hanno donato soldi a una protesta politica pacifica non è nient’altro che questo: punizione del dissenso.

I cittadini canadesi hanno compreso fin da subito il pericolo concreto di questa deriva autoritaria, e molti di loro sono accorsi a prelevare contanti dagli ATM. Questo ha apparentemente causato gravi disservizi ad alcune banche canadesi. Per tutta risposta, il governo canadese il 21 febbraio ha dato il potere alle banche di bloccare i prelievi a chiunque cercasse di prelevare tutti i suoi fondi, per “preservare la stabilità degli istituti finanziari”. La misura si è resa necessaria proprio per evitare i rischi di una corsa al prelievo, consapevoli che a causa delle politiche di riserva frazionaria il contante a disposizione delle banche è soltanto una piccolissima parte dei depositi in conto corrente. In parole povere: quei soldi fisicamente non esistono.

Ma l’azione autoritaria del governo canadese non si sta limitando ai conti correnti e alle piattaforme di crowdfunding. Nel mirino c’è anche Bitcoin, usato da molte persone proprio per finanziare in modo più sicuro e senza intermediari il Freedom Convoy.

La Corte Superiore di Giustizia dell’Ontario in questi giorni ha infatti intimato ad alcuni servizi di wallet (portafoglio), come Nunchuk, di bloccare il “conto” di chi ha donato Bitcoin al movimento, di bloccare le transazioni sospette e di comunicare ogni informazione relativa alla natura e ubicazione degli asset dei loro clienti.

Ma la Corte non ha fatto i conti con la natura di questi servizi. Nunchuk è infatti un portafoglio privato “non custodial”, molto diverso da un tradizionale conto corrente o servizio di pagamento come PayPal. In pratica, il software non fa altro che conservare sul dispositivo (in locale) le chiavi crittografiche necessarie al trasferimento di Bitcoin, che poi avviene in modo autonomo e senza alcun intermediario.

Queste transazioni, per loro natura, non sono quindi controllabili o censurabili da nessuno, neanche da chi fornisce il software del portafoglio. Ed è esattamente questo che l’azienda ha risposto ai giudici, che si sono trovati con un pugno di mosche in mano. “Ci dispiace, ma non abbiamo alcun controllo su ciò che le persone fanno con i loro Bitcoin, né abbiamo alcun dato da darvi”.

Per tutta risposta, le autorità canadesi stanno intimando ora a non promuovere al pubblico strumenti di questo tipo.

Stanno cioè espressamente chiedendo alle aziende canadesi di non fornire alle persone strumenti per proteggere sé stesse dalla sorveglianza e dalla censura di Stato. L’equivalente di chiedere ai fornitori di servizi di comunicazione di non usare protocolli di crittografia end-to-end per poter spiare meglio le conversazioni dei cittadini.

Da tutta questa storia, ancora nel pieno del suo dispiegarsi, possiamo inferire alcuni fatti:

  1. Chi controlla la moneta e le transazioni economiche controlla di fatto i rapporti umani e la libera manifestazione del pensiero.
  2. I soldi depositati in banca non solo non esistono (se non in minima parte), ma non possono neanche essere considerati proprietà privata, in quanto governo e banche ne possono disporre liberamente, anche senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
  3. In momenti di crisi le persone devono poter contare sulla proprietà privata, che nel caso della moneta tradizionale è il contante. Non è un caso che anche dall’Ucraina arrivano foto di lunghe code agli ATM.
  4. Bitcoin è l’unica forma di moneta (digitale) che permette transazioni senza intermediari, al di fuori del controllo dello Stato e della censura e repressione politica, ed è quindi l’unico strumento che oggi può garantire vera libertà d’espressione (non a caso viene spesso chiamato “freedom money”).

Questo ci porta ad un’importante riflessione, che va oltre le vicende canadesi e abbraccia tutto il mondo – Europa compresa.

Ciò che è accaduto in Canada non è altro che il preludio di ciò che invece potrebbe essere la normalità in un prossimo futuro, a causa dei progetti globali che riguardano l’identità digitale e le CBDC (Central Bank Digital Currencies).

Tutti i Paesi del mondo hanno infatti in programma di dotare i loro cittadini di strumenti per l’identità digitale per l’accesso a servizi governativi, bancari e commerciali. Questi strumenti di identità digitale saranno naturalmente connessi alla nuova evoluzione della moneta di Stato (CBDC), al 100 per cento digitale e programmabile – come un software qualsiasi. I lavori per l’Euro digitale sono già iniziati.

Se oggi bloccare conti correnti e transazioni richiede un certo livello di intervento statale e dispendio di risorse, con un sistema integrato tra identità digitale e moneta digitale sarà invece un gioco da ragazzi.

Il controllo non sarà solo a posteriori, ma anche preventivo, proattivo e anche profilato. Ad esempio, attraverso l’analisi dei dati la banca potrebbe preventivamente bloccare le transazioni di “soggetti a rischio”; o ancora, a una persona indagata per qualche reato potrebbe essere facilmente impedito di acquistare biglietti aerei.

Le banche e lo Stato avranno il pieno controllo su come le persone potranno spendere soldi, con ovvie ripercussioni sulla libertà personale. Questa purtroppo non è una fantasia distopica. Il 21 giugno 2021 Tom Mutton, direttore fintech della Banca d’Inghilterra, ha dichiarato che la programmabilità (con controllo da parte della Banca centrale) delle monete digitali dovrebbe essere una delle principali funzioni da implementare.

È chiaro allora che, se già oggi il Canada offre uno spaccato su questo futuro, l’evoluzione verso una società senza contanti, dove la moneta non solo è un software sotto il diretto controllo del governo, ma è anche collegata a un sistema centralizzato e globalizzato di identità digitale, è la più grande minaccia alla libertà umana e al nostro futuro che sia mai esistita. Nel migliore dei casi, ci avviamo a una vera e propria servitù della gleba digitale, con spossessamento della proprietà dei nostri soldi e perfino della nostra identità. Nel peggiore dei casi, una distopia dove la libertà d’espressione e di manifestazione del pensiero è un lontano ricordo.

Lo Stato non può e non deve essere intermediario e socio occulto delle transazioni economiche, perché questo equivale ad avere il potere di giudicare e censurare ogni pensiero e opinione umana. Se così fosse, cesserebbe di avere qualsiasi significato il concetto stesso di libertà, che presuppone privacy (rispetto della sfera privata da parte dello Stato) e proprietà del proprio corpo (e pensiero), oltre che proprietà del frutto del proprio lavoro (la moneta). Ma come possiamo essere liberi se il frutto del nostro lavoro e l’espressione fisica e concreta del nostro pensiero, la moneta e le transazioni economiche, vengono filtrate, valutate, analizzate e infine censurate da uno Stato onnipotente?

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