Com’era ampiamente prevedibile, anche in occasione della guerra russo-ucraina abbiamo reagito con il nostro inconfondibile stile. Per l’ennesima volta, la preoccupazione principale è quella di “fare bella figura” con gli amici, ossia di farci vedere “sul pezzo”, senza chiederci se esso sia effettivamente, com’è in questi giorni, un vero pezzo di artiglieria o soltanto una figura retorica da sfoggiare con disinvoltura al momento opportuno. Di soluzioni certe alla più grande crisi internazionale della nostra generazione ne leggiamo a profusione ed imprevedibilmente discordanti persino tra appartenenti allo stesso schieramento politico. In sostanza, sembrerebbe che gli italiani si siano fatti tutti una precisa idea su quali siano state le cause certe di questa guerra, con una conoscenza della storia e della geopolitica che sarebbe ammirevole se non fosse, come sempre più spesso accade, del tutto pre-confezionata e vendutaci un tanto al pezzo. Pur nutrendo ammirazione per le certezze dei fortunati che già conoscono cause, sviluppi e risultati finali di tutto ciò, preferisco pormi tra gli asini, ossia quelli che ne hanno capito ancora pochino e tra quelli che non scommetterebbero un centesimo su come andrà a finire.
Mi attengo ai fatti, perlomeno a quelli incontrovertibili e sicuramente provati, primo fra tutti che è stato Putin ad invadere un Paese sovrano e retto da un governo regolarmente scelto dai suoi abitanti. Già da questo primo assunto, vorrei sapere come intendano conciliare la documentata realtà dei soprusi contro le popolazioni civili e le violenze dei militari russi con i principi dei patetici sbandieratori di vessilli recanti la scritta “pace”, tolti dalla naftalina giusto in tempo per una nuova sfolgorante stagione di retorica pret-a-porter. Per essere precisi, intanto, non chiamiamo “bandiere” tali drappi colorati, rimessi in fretta sui balconi degli irriducibili pacifisti nostrani e nuovamente esposti al pubblico nei comuni retti da amministrazioni di sinistra, che ormai erano passati di moda. Le bandiere sono una cosa seria, in quanto suprema rappresentazione della storia e dell’identità e dei valori di un popolo, mentre i drappi colorati che inneggiano ad una generica “pace” sono tutt’altro, e ben potrebbero stare allo stesso livello di striscioni che inneggino alla salute, al benessere, alle buone condizioni economiche. La pace è, niente di meno ma niente di più, l’assenza della guerra e benché tutti noi si voglia vivere in pace, non possiamo non chiederci con quali mezzi e su quali decisioni storiche si cerchi di porre fine alla guerra già in corso.
Sono decisioni storiche, non certo a caso, perché se la guerra è una esiziale negazione dello stato di pace, non possiamo sminuire la portata di quelle decisioni statuali (si spera democraticamente assunte) che facciano cessare la guerra, a quei costi che, da che mondo è mondo, devono essere attentamente valutati ed accettati da chi governa. Che tali governanti di oggi siano tutti all’altezza di prendere decisioni storiche è un’altro paio di maniche, ma quelli abbiamo e proprio quelli le prenderanno. Funziona, purtroppo, esattamente così: li abbiamo, più o meno, sospinti per via elettorale a tali sancta sanctorum ed il posto che occupano è esattamente quello che hanno voluto per loro milioni di italiani, non dimentichiamolo. Lo stesso vale per gli Stati Uniti d’America, con un Joe Biden palesemente in difficoltà e del tutto privo di carisma, autorevolezza, linearità di pensiero che fanno rimpiangere “il guerrafondaio” Trump a non pochi americani. Quello hanno adesso alla Casa Bianca e quello si terranno, esattamente come faremo noi.
Temo tuttavia che, non soltanto da noi, si sia assai sottovalutato e sotto-finanziato il comparto della difesa militare che ogni Stato di diritto deve garantire ai propri sudditi. Per inciso: sudditi è una cosa e servi un’altra. Sarebbe ampiamente giunto il momento di passare ai fatti ed a riconsiderare con intelligenza e decisione le esigenze militari del nostro Paese, più che sbandierare straccetti colorati o a trastullarci nel far dipingere ai bambini i teneri disegnini a pastello con la bandiera dell’Ucraina sullo sfondo e qualche frasetta di convenienza. Sono, purtroppo, sciocchezze nelle quali ancora una volta ci perdiamo, senza cambiare con questo una virgola di quanto sta succedendo e, soprattutto, quanto potrebbe accaderci ben presto. Ma la vogliamo smettere con le cretinerie tipo “mettete dei fiori nei vostri cannoni”? Oltretutto, perlopiù provengono da quelle formazioni politiche e sociali che di cannoni dovrebbero intendersene, visto che hanno applaudito alle parate militari sovietiche e russe (la differenza è pochissima) e vergognosamente blandito per anni un Putin che i cannoni li ha usati moltissime volte, perlopiù contro nemici di impari potenza militare.
Ormai lo sappiamo, siamo irrefrenabilmente affascinati dall’uomo forte di turno; è la nostra storia, salvo appenderlo per i piedi quando si perda la guerra, negando poi di averlo mai sostenuto ed acclamato. Se soltanto i più sperticati ammiratori italiani del dittatore russo tacessero oggi, perlomeno per coerenza, come finora sembrerebbe fare il solo Berlusconi, già sentiremmo meno chiasso. Basta con le cazzate e basta con l’abuso della pur orecchiabile canzonetta “Imagine”, che peraltro è una sorta di inno all’anarchia, all’ateismo e al pacifismo più irragionevole ed utopistico. Non sto chiedendo di conoscere ed apprezzare la delicatezza della sinfonia n. 9 “Dal nuovo mondo” del boemo Dvořák come sottofondo per pensare a cosa ciascuno di noi potrebbe fare di concreto per dare il proprio contributo a far cessare al più presto la guerra, va bene anche la musica leggera e persino qualche concessione alle frasi fatte motivazionali nello stile imprenditoriale-mistico alla Steve Jobs, ma poi basta. Perlomeno nelle statuizioni dei ministri e dei capi di Stato potremmo aspettarci più concretezza e meno lirismo. E, già che ci siamo, basta pure con la scemenza dei “costruttori di ponti e distruttori di muri”, la ricreazione è finita! Stop.
Si aggiunga che noi diamo una lettura del tutto fuorviante dell’art. 11 della nostra Costituzione. Proprio perché tale articolo sancisce che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali“, dovremmo non nutrire alcun dubbio sull’illegittimità dell’occupazione russa dell’Ucraina (almeno finora), per avere usato la guerra come strumento di offesa contro la popolazione ucraina e invece noi cosa facciamo? Da bravi coltivatori di fiori nei cannoni, usiamo la Costituzione per affermare l’esatto contrario e non prendiamo posizione alcuna, nei fatti, perché “la guerra è lo strumento sbagliato”. A parte tanti discorsi prettamente teorico-emozionali, quali posizioni precise ha finora preso l’Italia, quale decisione ha maturato rispetto al fatto che, facendo noi parte della Nato, potremmo essere chiamati ad azioni militari precise e dirette, stavolta senza nasconderci dietro a ruoli di mera sussistenza ed appoggio logistico? Di fatto, nessuna, eppure potrebbe accadere, eccome. Ma noi stiamo alla finestra, dando prova della nostra secolare propensione al tentennamento, e molti di noi (sbagliando o meno) sono prontissimi a tirarsi indietro dai solenni impegni sanciti nei patti atlantici.
Accade, in sostanza, che nemmeno consideriamo possibile una guerra vera, perché “la guerra è brutta” e lo dice “la Costituzione più bella del mondo”, perché lo dicono persino i cantanti e perché sventolare la bandiera “pace” sconfiggerà ogni nemico attuale o futuro, meglio ancora se all’allegro sventolamento collettivo seguirà l’immancabile fiaccolata. Siamo così coerenti e decisi nei nostri propositi che riusciamo perfettamente a fare dimostrazioni di piazza con le bandiere arcobaleno frammischiate a quelle rosse con la falce e martello bene in vista, nemmeno sfiorati dal dubbio che ciò che Putin intende restaurare si chiama comunismo reale e potrebbe pure riuscirci, nostro malgrado.