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In questi tempi incerti arriva un monito dal passato: la libertà secondo Evgenij Zamjatin

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“L’antica leggenda del Paradiso… Parla di noi, di adesso. Certo! Ci rifletta. Ai due abitanti del paradiso fu data l’opportunità di scegliere: felicità senza libertà o libertà senza felicità, tertium non datur. E loro, asini, scelsero la libertà: e dunque? Si capisce: poi hanno rimpianto le catene per secoli […] Per secoli! E solo noi siamo giunti nuovamente a capire come ridare la felicità… No, ascolti, ascolti il resto! Noi e il Dio dell’antichità sediamo accanto, siamo allo stesso tavolo. […] Nessuna confusione sul concetto di bene e di male: è tutto molto semplice, paradisiacamente, infantilmente semplice. Benefattore, Macchina, Cubo, Campana Pneumatica, Custodi: tutto ciò è buono, tutto ciò è magnificente, bellissimo, nobile, elevato, puro in modo cristallino. Perché ciò protegge la nostra assenza di libertà, ossia la nostra felicità.”

“Noi”
Evgenij Zamjatin
Mondadori

In un anno non ben specificato verso la fine del terzo millennio, l’umanità vive una “civilizzazione perfetta” attuata dallo Stato Unico con a capo il Benefattore, un’entità dittatoriale che regna su una società iper-controllata distopica. Tutti si svegliano alla stessa ora, tutti mangiano le stesse cose e nello stesso momento, l’attività sessuale è controllata, i movimenti sono limitati e ordinati, la privacy non esiste: i palazzi sono interamente di vetro, ad ogni angolo della strada vengono ascoltate le conversazioni e i Custodi sbirciano in qualsiasi aspetto della propria vita – anche nei diari personali come nel caso del protagonista, D-503. Romanzo russo lungimirante, antesignano del famosissimo “1984” di Orwell, venne scritto tra il 1919 e il 1921 – vent’anni prima dell’ascesa di Stalin – ma fu prontamente censurato: in Urss uscì solo nel 1988.

Il romanzo di Zamjatin è una chiara denuncia contro la dissoluzione dell’individuo per un “bene comune”: l’uomo cessa di identificarsi come tale (persino con l’abolizione dei nomi propri di persona) e si riduce a un’equazione matematica di doveri-necessità nel grande schema delle cose. Solo lo Stato Unico ha il “privilegio” di avere un passato e un futuro: lo Stato c’era, c’è e ci sarà – ma all’uomo è concesso solo di vivere nel presente. La storia viene ripudiata, l’uomo “antico” persino schernito. Il futuro è proiettato solo alla costruzione di ciò che è buono per il Benefattore.

Come quasi fossero inebriati da “un’ambrosia distopica” – anche perché l’alcool è vietato – le persone si innamorano di questa condizione a tal punto da ribaltare qualsiasi concezione di libero arbitrio. Il bene e male non esistono, ma c’è soltanto ciò che decide lo Stato: dall’estratto iniziale, l’assenza di libertà diventa condizione unica per la felicità. In un breve passaggio, il protagonista si sente al sicuro e cullato quando un Custode sbircia da sopra la sua spalla che cosa scrive sul suo diario personale. “E qui ho di nuovo avvertito – dapprima alla nuca, poi all’orecchio sinistro – il tiepido e dolce soffio di un angelo custode […] mi dava un tale senso di calma e conforto”, si legge a pagina 66.

Attenzione, le seguenti righe non sono un incoraggiamento alla disobbedienza civile durante i tempi coronavirus: anzi, si fa appello al buonsenso del lettore.

Con le dovute precauzioni, si possono però trarre alcuni innegabili parallelismi con la situazione che ci troviamo a vivere oggi. Uno Stato che limita e punisce sempre di più le libertà personali dei propri cittadini nel nome del bene comune: decidendo chi può uscire e chi no, che cosa e quando possiamo comprare e cosa no (come in Veneto dove era stata vietata la vendita di cancelleria, carta igienica e prodotti sanitari per la pulizia nei supermercati, reputati non essenziali).

Una macchina statale che, come un leviatano, si autoalimenta inghiottendo come fossero benzina aziende e partite iva. Invece di fare appello al buon senso di tanti imprenditori (che in questi giorni hanno dato prove di generosità e raziocinio esemplari) decide chi resta aperto e chi no, chi vive e chi no – affossando l’economia e il futuro di migliaia di famiglie sempre nel nome del bene comune.

L’individuo viene scoraggiato ad avvalersi del suo buonsenso ed incoraggiato a spogliarsi del suo ruolo legittimo di vigilante sull’operato del Governo usando il mantra “ora c’è lo Stato, ora ci siamo noi”. Tutto ciò che fa è bellissimo, nobile, elevato e puro – guai a criticarlo o reclamare una qualche giusta dimissione!

Persone che fino a poco tempo fa schernivano la polizia, oggi vogliono Forze dell’ordine ed Esercito pronti ad andare contro quegli stessi cittadini che hanno giurato di proteggere. Burocrati che un tempo abbassavano la bandiera italiana a favore di altre, ma che oggi si spellano le mani a forza di batterle dai balconi in nome di un ritrovato patriottismo (ovviamente tutto documentato nei dettagli sui social media). Politicanti e tecnocrati che sventolano parole di libertà e progresso, ma che silenziosamente propongono di tracciare i cellulari di tutti noi per vedere dove-come-quando ci spostiamo (proprio come i Custodi nel romanzo che sbirciano nella vita quotidiana delle persone).

Ora, fortunatamente non viviamo nel futuro distopico di Evgenij Zamjatin: la situazione non è ancora così grave, ma lo scrittore russo ci ricorda di come è molto facile cadere in preda ad una sindrome di Stoccolma per il nostro rapitore. La storia ci insegna che dove lo Stato ha sconfinato in una diminuzione dei diritti e delle libertà personali, lì è restato per diverso tempo. Solo con il sangue versato dalle rivoluzioni si è potuto porre rimedio, ed è auspicabile non arrivare a tale punto: tutti noi siamo chiamati a tenere la guardia alta in questi momenti difficili. “La libertà non è mai a più di una generazione lontana dall’estinzione. Non l’abbiamo passata ai nostri figli con il sangue. Bisogna combattere per essa, proteggerla e consegnarla affinché facciano lo stesso”, diceva un certo Ronald Reagan.