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Indice della Libertà Economica 2018: Italia fanalino di coda d’Europa

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L’ultimo indice sulla libertà economica nel mondo, redatto dalla Heritage Foundation, vede l’Italia stanziata a un ben poco lusinghiero 79° posto. Davanti a noi, purtroppo, non si trovano solo Paesi quali Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Israele, i tre scandinavi, i tre baltici… ossia Stati noti per essere economicamente più dinamici e liberi rispetto al nostro; davanti all’Italia troviamo anche, tra gli altri, Spagna, Macedonia, Colombia, Rwanda, Sud Africa, Turchia, Giordania… ed è meglio interrompere qui la lista. Il punteggio complessivo (62,5) si situa leggermente al di sopra della media globale (61,1). Le ragioni sono presto dette:

“Italy’s economy, the eurozone’s third largest, is hobbled by exceptionally high public debt and such structural impediments to growth as labor market inefficiencies, a sluggish judicial system, and a weak banking sector. Political uncertainty increases the potential for financial volatility and could further delay structural reform. The economy remains burdened by political interference, corruption, and poor management of public finance. The complexity of the regulatory framework and high cost of conducting business cause considerable economic activity to remain in the informal sector”.

Il quadro scoraggiante non è una novità per chi segue attentamente le vicende italiche e disaggregando il dato complessivo la panoramica si fa ancora più desolante. La media, infatti, viene alzata decisamente da libertà monetaria, commerciale e di investimento che, però, sono profondamente influenzate dalle regole decise a livello di Unione Europea. Gli indicatori che valutano aspetti sui quali l’Italia ha molta più libertà di manovra, al contrario, sono talvolta tragici (come la triade “Government Integrity, Tax Burden, Government Spending”).

Certo, il lavoro della Heritage è limitato al solo aspetto della libertà economica: ciò significa che non necessariamente la situazione economica complessiva di un Paese che precede il nostro nel ranking sia migliore di quella italiana. Per fare un esempio su tutti, il Rwanda, 39° nella graduatoria, è sì un Paese in grande crescita (+6% PIL reale previsto nel 2018 dall’Economist Intelligence Unit) e dove si respira, complessivamente, maggiore libertà economica ma, per il resto, il paragone con l’Italia è decisamente sbilanciato a nostro favore. Fatte le dovute premesse, però, resta la necessità di non sottovalutare l’infimo risultato che il nostro Paese ha raggiunto. Soprattutto perché non è isolato. Nel Legatum Prosperity Index 2017 – un indice che spazia su tutte le principali variabili necessarie a valutare la condizione generale di un Paese – l’Italia figura al 30° posto.

Certo, un quadro meno fosco rispetto a quello dipinto dal più limitato indice Heritage, ma decisamente non soddisfacente. Anche in questo caso, tra l’altro, la posizione del nostro Paese ha un crollo verticale quando viene esaminato l’ambiente entro il quale fare business: siamo al 68° posto mondiale – non tanto lontano dal 79° posto dell’indice Heritage – dietro a Paesi come Kenya, Namibia e Zambia. La valutazione sulla qualità dell’economia in generale ci vede, invece, al 44° posto mentre quella sulla governance al 46°. Certo, se hai sole, mare, buon cibo e buon vino il tutto viene mitigato, ma credo che qualche riflessione in più su questi dati sia necessaria. E’ chiaro, infatti, che i problemi dell’Italia non sono certo l’assenza dello Stato o, come sentito anche durante questa campagna elettorale, le “multinazionali che speculano sulla pelle dei lavoratori” e altre amenità simili ma, tra gli altri, inadeguatezza della macchina statale, corruzione, lentezza e complessità burocratica, ambiente ostile agli investimenti, peso fiscale troppo alto e troppo bassa qualità espressa dalla classe politica. I dati offerti da Heritage e Legatum offrono, in sostanza, una panoramica chiara su quali siano le zavorre che impediscono a questo Paese di crescere e sprigionare le sue potenzialità: resta da vedere se, partendo dal decisore politico per arrivare al singolo cittadino, si riuscirà finalmente a comprenderlo.