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Inflazione non solo da domanda, ma la Bce non ha altra scelta che tirare il freno

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 15 agosto 2020

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L’inflazione nella zona euro è salita alle stelle, toccando il 7,5 per cento a marzo, dal 5,9 per cento di febbraio, facendo così registrare il valore più alto dall’inizio della serie storica, nel 1997. L’attuale inflazione rappresenta un enigma di difficile soluzione per la Banca centrale europea (Bce), in quanto la fiammata inflazionistica è alimentata sia da fattori di domanda che di offerta, e arriva in un momento di inaspettata debolezza economica, anche a causa della guerra in corso in Ucraina.

Negli ultimi anni, a partire almeno dalla crisi del 2008, le banche centrali di tutto il mondo si sono imbarcate in piani di allentamento quantitativo senza precedenti, abbassando nel contempo i loro tassi di interesse quasi a zero o, nel caso della Bce, sotto zero.

Questo schema di politica monetaria straordinariamente espansivo non si è tradotto in un’inflazione in rapida ascesa fino a circa la metà del 2021, poiché una parte considerevole dell’aumento dell’offerta monetaria è andato a ingrossare le riserve bancarie. Tuttavia, a partire dal 2021, la tempesta perfetta si è materializzata: l’espansione monetaria si è sommata a fortissimi stimoli fiscali nella grande maggioranza dei Paesi dell’unione monetaria, così come al ritorno agli acquisti come effetto della graduale riapertura delle economie dopo i lockdown, e tutto questo ha alimentato una domanda aggregata ben al di là della capacità produttiva. A ciò va aggiunto che le strozzature e le interruzioni dell’offerta globale hanno ulteriormente contribuito a limitare l’offerta.

La teoria economica sostiene che quando l’economia si sta surriscaldando, così che la domanda supera l’offerta traducendosi in un’accelerazione inflazionistica, la Banca centrale deve tirare il freno aumentando i tassi di interesse e riducendo il supporto quantitativo. Limitando la disponibilità di credito e rendendo l’indebitamento più costoso attraverso tassi d’interesse più alti, la Banca centrale può in questo modo moderare la domanda aggregata, raffreddare l’economia, ancorare le aspettative d’inflazione e prevenire gli effetti di seconda ronda, evitando così una spirale salari-prezzi.

Tuttavia, questa ricetta di politica economica è pensata per frenare l’inflazione principalmente in uno scenario inflazionistico guidato dalla domanda, ossia in uno scenario in cui l’economia si espande oltre il suo potenziale, alimentando – appunto – l’inflazione e portando a investimenti mal calibrati. Il caso è diverso quando l’inflazione è alimentata da costi crescenti, vale a dire quando i costi di produzione aumentano a causa di qualche shock dal versante dell’offerta, che è, solo in parte, il caso attuale, con catene di approvvigionamento globale sotto pressione a causa delle ricorrenti interruzioni da parte cinese e dell’invasione russa dell’Ucraina.

Detto questo, la Bce non ha altra scelta che correre ai ripari, accelerando l’uscita dal suo programma di allentamento quantitativo e possibilmente aumentando i tassi di interesse già nel 2022. Con tassi d’interesse reali – tassi d’interesse aggiustati per il tasso d’inflazione – in terreno negativo da parecchio tempo, e aspettative d’inflazione sempre più disancorate, il costo potenziale dell’inazione è un’inflazione fuori controllo e, in fin dei conti, la necessità di inasprire la politica monetaria molto più drasticamente. La regola di Taylor – una prescrizione di politica monetaria ampiamente accettata – vuole che una Banca centrale aumenti i tassi di interesse quando l’inflazione è al di sopra del target, ed essendo l’obiettivo di inflazione della Bce fissato al 2 per cento, questa regola richiede decisioni rapide in materia di politica monetaria. 

Un’opzione politica alternativa vedrebbe i governi nazionali dell’Eurozona ridurre i loro deficit di bilancio: questo comporterebbe meno stimoli, una domanda aggregata ridotta e quindi pressioni inflazionistiche più limitate. Tuttavia, sembra abbastanza improbabile che, in un momento di difficoltà economiche inaspettate come risultato del conflitto in Ucraina, i governi diventino meno irresponsabili dal punto di vista fiscale, anche se ciò porta con sé un costo economico a lungo termine non indifferente.

Le opzioni politiche qui descritte si concentrano sul lato della domanda dell’economia, e nel contesto attuale appaiono le uniche praticamente applicabili. A lungo termine, le politiche che sostengono la crescita della produttività possono aumentare il prodotto potenziale e dunque tenere sotto controllo l’inflazione, ma qui e ora non è questo il caso. La Bce deve prendere in mano la situazione, e velocemente.

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