Nelle ultime settimane non si sente parlare d’altro che di emergenza sanitaria da coronavirus e dei danni causati all’economia. Tanta è, sì, giustamente, la preoccupazione per la diffusione repentina e incontrollata del patogeno proveniente dalla città cinese di Wuhan, da indurre il governo italiano ad adottare misure draconiane e mai viste prima come quelle contenute nel Dpcm del 4 marzo 2020 e poi in quello del 9 marzo, dove viene disposta la sospensione non solo di manifestazioni ed eventi sportivi, ma anche delle attività di scuole e atenei fino al 15 di marzo, poi prorogata al 3 di aprile, e di esercizi commerciali non essenziali, con estensione a tutta Italia della “zona arancione” e delle limitazioni degli spostamenti.
L’esplosione dei contagi e dei decessi ha messo a tacere le polemiche sorte sull’opportunità di misure tanto severe, dunque resta il problema di un Paese che è piegato dall’emergenza e che deve trovare soluzioni rapide per garantire quei servizi che potenzialmente possono essere resi, almeno in parte, mediante strumenti digitali, su tutti quelli scolastici. Non si può certo lasciar trascorrere un periodo di tempo tanto lungo in totale inattività, con i problemi che ne deriverebbero per il sostenimento di esami, validità degli anni scolastici e altre scadenze che sarebbero altrimenti rinviate a data da destinarsi, compromettendo gravemente la qualità dei servizi.
La quarantena coglie di sorpresa gli istituti scolastici e universitari, nonché il personale e molti studenti: certo, non deve essersi avvertita fino ad ora l’esigenza di predisporre strumenti digitali idonei a permettere agli studenti di poter procedere nello studio con l’assistenza a distanza del docente. Tuttavia, come reazione allo stop la didattica a distanza che si sta sperimentando mediante applicazioni come Hangouts Meet o Google Classroom, pur con qualche difficoltà iniziale, offre la possibilità agli alunni e agli studenti universitari di seguire le lezioni in videoconferenza interattiva, webinar a orari prestabiliti, oppure preregistrate, disponibili quindi per consultazione da remoto e “on demand”, come fossero film da guardare comodamente a casa.
L’innovazione spinta dall’emergenza: gli strumenti sperimentati nell’emergenza coronavirus, se implementati e consolidati per il futuro, possono portare una ventata di modernità alla scuola italiana, spesso accusata di essere vittima di retaggi antiquati e di resistere all’innovazione tecnologica di internet e degli smartphone. Quali migliori strumenti, dunque, per permettere agli studenti assenti di non perdere le spiegazioni degli insegnanti, ma anche a parti invertite ove possibile, di favorire il contatto studente-insegnante mediante chat o videochiamata, di aggiungere modelli interattivi, filmati e contenuti di approfondimento per potenziare un apprendimento che nel nostro Paese sembra prigioniero di una didattica ormai fin troppo tradizionale, strutturata nella maggioranza dei casi esclusivamente su carta e lezioni frontali?
Esemplare è il video di una lezione di algebra allegata in un articolo uscito nei giorni scorsi su La Stampa, si spera apripista di una stagione di video-lezioni e di “smart teaching” anche per la scuola pubblica italiana. “Non tutti i mali vengono per nuocere”, recita un antico detto. Anche nella ecatombe della pandemia, dopo la conta dei danni e delle vittime, si possono scorgere le premesse per un progresso tecnologico che può fare solo che bene alle nostre scuole ed università, ma che dovrà essere supportato da investimenti per aggiornare le strutture scolastiche, come mostrano le lodevoli iniziative di coordinamento e rifornimento di hardware promosse dall’ormai ex Miur.