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Insulti e disinformatia: da Orvieto a Bologna, la vera macchina del fango è della sinistra

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Era l’11 giugno del 2014, solo 6 anni fa. Panorama.it esce con una mia intervista a titoli di scatola così: “Concina, l’armata rossa si è ripresa Orvieto anche con gli insulti e la disinformatia“. Appena dopo la sconfitta – per me non sconfitta vera, perché lo vedremo nel tempo – di Lucia Borgonzoni e con lei del segretario della Lega, senatore Matteo Salvini, leader del primo partito italiano, alla schiena ho avuto gli stessi brividi di quel giorno di giugno, quando l’allora primo sindaco di Forza Italia, Pdl, il primo che buttò giù il muro rosso di Orvieto dopo 60 anni, venne fatto fuori per soli 900 e passa voti a suon di violenta “disinformatia comunista e ingiurie personali”.

Storie, periodi, contesti diversi, la piccola umbra Orvieto non è Bologna, ma non è esattamente città sconosciuta in Italia e nel mondo. Storia emblematica di come i contesti cambiano, ma certi metodi della sinistra mai. Sempre gli stessi restano, come una orrenda coazione a ripetere. Se Lucia, giovane, grintosa e per giunta bella oltre che leghista (tutti “reati” eh!), e con lei Salvini, ai quali sono giunti persino auguri di morte, è stata dileggiata finanche dal sindaco Pd Sala, quello così carino così educato (come la canzone di Mina “Renato”), perché “non si sa come è girata”, e poi da altri in modo molto più volgare sul web per le sue belle fattezze, e se fin dall’inizio sminuita da un Bonaccini arrogante che le disse “Lei di Emilia non sa molto, ora le spiego” (già proprio lei lì nata, cresciuta, che divide Bologna con Roma), e tanto di donne, femministe di sinistra che si aggiungevano allo squallido coro, ecco l’ex top manager di Orvieto ricevette trattamento analogo dalla sinistra. Se non peggio.

Pur di riprendersi la Orvieto rossa, arrivarono a dargli dell'”avvinazzato”, in una città dove se non bevi un buon bicchiere di bianco classico giallo paglierino, lo stesso con il quale in numerose bottiglie venne pagato il Signorelli per il Giudizio Universale, in Duomo, a Orvieto sei il Signor Nessuno. Eppure Antonio, detto Toni, Concina, top manager di Telecom e Rcs, pianista di classe, profugo dalmata, personaggio noto anche a livello nazionale, decisivo per istituire il giorno delle Foibe (era al Quirinale), a Orvieto, dove fece il liceo da profugo dalmata, era tornato “per un gesto d’amore”. Salvò il Comune dal commissariamento per la voragine rossa prodotta dai “compagni”, fu il primo sindaco allora di una famosa città, eletto nel 2009, a rinunciare allo stipendio, o almeno uno dei rari a quei tempi. Gli scatenarono contro di tutto dopo il primo mandato. Quella che Gianni Marchesini, giornalista e scrittore orvietano, fratello della famosa Anna (eravamo tutti compagni di Liceo classico) denunciò sui giornali locali come vera e propria “disinformatia comunista”. Toni nella mia intervista per Panorama mi spiegò per filo e per segno quello che gli fecero. Omisi però un particolare estremamente sgradevole per “l’armata rossa” e suoi sostenitori. Fu girato persino in un ristorante un filmino dove fecero apparire i pantaloni del dott. Concina in realtà bagnati di acqua, banalmente rovesciatasi dal tavolo, come invece bagnati di pipì. Vera, violenta macchina del fango.

Il conto di questo abominio fu però pagato salatissimo dalla sinistra. Dal maggio scorso il nuovo sindaco, prima donna di Orvieto, è Roberta Tardani, ex trentenne vicesindaco di Toni. Di Forza Italia, eletta a decisiva trazione della Lega, 40 per cento Ztl compresa, con quasi il 60 per cento dei voti, dalle periferie alla Ztl del centro storico. Dato corale. Caro Bonaccini, caro Pd, insulti, ingiurie personali, disinformatia stile Pci, presentano prima o poi il conto. A Orvieto, come poi in tutta l’Umbria fu salatissimo. Non solo per questo, ma anche per questo. Questione di tempo. Quando si vince persino riducendosi a tali macchine del fango. Pur di conservare il proprio potere da 70 anni. Quel sistema bloccato al quale gli umbri dissero coralmente basta. Da veri anticipatori.