Non c’è più sordo di chi non vuol sentire. Sembra poter essere solo questo il commento possibile davanti alle recenti notizie sugli sviluppi delle relazioni tra Roma e Teheran: mentre Pompeo arrivava in Italia per parlare anche di Iran, nella Repubblica Islamica giungeva una delegazione italiana della compagnia marittima italiana Venice Maritime Cluster, guidata dal segretario generale Paolo Malaguti.
Secondo quanto emerso dagli articoli della stampa iraniana, la delegazione ha incontrato il presidente dell’Organizzazione dell’Autorità portuale iraniana, Mohammed Rastad. Nell’incontro, le parti hanno concordato di valutare l’opportunità di aprire una rotta diretta tra il porto iraniano di Chabahar e quello di Venezia. Se il tentativo riuscisse, come ammesso dagli stessi iraniani, permetterebbe all’Iran di connettersi con l’Europa intera, soprattutto grazie al collegamento con l’interporto di Padova, a 40 chilometri da Venezia.
Non può sfuggire al lettore che questo progetto non solo si inserisce nelle relazioni tra Italia e Iran, ma anche nel più largo piano cinese di espansione del proprio potere politico e commerciale (la famosa Via della Seta, di cui l’Italia è parte con il MoU firmato dal precedente governo Conte). Non può sfuggire nemmeno che questi sono proprio i temi che ha toccato il segretario di Stato americano Pompeo nel suo viaggio di ben quattro giorni in Italia (con spostamento nello Stato Vaticano compreso). Mentre, proprio ieri, Pompeo accoglieva con favore la decisione italiana di revocare la licenza alla compagnia aerea dei Pasdaran Mahan Air (che di recente aveva raddoppiato gli scali nel nostro Paese: non solo a Malpensa, anche a Fiumicino, come su Atlantico abbiamo riportato per primi in Italia lo scorso luglio), apriva alla Repubblica Islamica il porto di Venezia.
È tempo che Roma decida chiaramente da che parte stare. Se davvero tiene fortemente all’Alleanza Atlantica, al sostegno americano in Libia e all’export verso gli Stati Uniti – primo mercato per le imprese italiane – non può giocare nel mezzo. Non è possibile che proprio l’Italia divenga la porta d’ingresso del regime fondamentalista iraniano in Europa.
Quando, nel febbraio del 2016, il presidente Rouhani visitò Roma, egli disse chiaramente che l’Iran vedeva proprio nell’Italia il “gateway” (ovvero la porta d’ingresso) della Repubblica Islamica verso l’Europa. Un segno chiaro di come, dall’estero, molti regimi illiberali vedano nel nostro Paese un anello debole dell’alleanza occidentale. È tempo di tagliare di netto questa visione e di sfruttare la visita del segretario Pompeo per ribadire, non solo a parole, il posizionamento estero italiano. È un interesse nazionale italiano non solo per preservare i valori democratici e lo stato di diritto, ma anche per proteggere veramente il Made in Italy, tanto caro al neo ministro degli esteri Luigi Di Maio.