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L’Italia capovolta: emblema di una nazione vittima della memoria e tenuta al guinzaglio dalla politica

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La sinistra, una volta, dettava la linea. Anche agli artisti. A Firenze, a Palazzo Strozzi, presentando la mostra “Nascita di una Nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano”, il curatore Luca Massimo Barbero ha citato Roderigo di Castiglia, lo pseudonimo che veniva utilizzato dal leader del Partito comunista italiano Palmiro Togliatti: quest’ultimo non sopportava l’arte astratta, perché a suo dire non aveva niente a che fare con i lavoratori. “Uno scarabocchio è uno scarabocchio”, sentenziava il Migliore. Dichiarazioni che portarono un obbediente Renato Guttuso a ripudiare l’astrattismo ed annunciare l’abbandono del Fronte nuovo delle arti, sciolto ufficialmente il 3 marzo 1950 a Venezia. Ma altri non seguirono questo comando, fortunatamente. Guttuso, però, venne ricompensato con due elezioni al Senato.

Se ufficialmente l’esposizione fiorentina è dedicata al 1968, in realtà il respiro culturale è molto più ampio e attraversa un ventennio, dalla nascita della Repubblica fino a quella del movimento studentesco: oltre a Guttuso, al quale spetta l’onore di illustrare l’inizio della rassegna, con il gigantesco quadro che troneggiava nella scuola di partito alle Frattocchie, La battaglia del Ponte dell’Ammiraglio, inneggiante alle avventure garibaldine e inserito tra preziosi documenti visivi d’epoca sessantottina collocati ai lati, ecco le opere di Lucio Fontana, Alberto Burri, Emilio Vedova, Giulio Turcato, Enrico Castellani, Domenico Gnoli, Piero Manzoni, Renato Mambor, Mario Schifano, Mario Merz e Michelangelo Pistoletto, tra gli altri. Ma c’è un artista che rappresenta, più di tutte gli altri, il disagio di un’epoca: l’Italia capovolta, poi divenuta una lunga serie, è l’emblema di una nazione vittima della memoria e tenuta al guinzaglio, letteralmente, dalla politica. Che poi era formata da un ceto succube di diktat esterni, capaci di influenzare le scelte di un popolo solamente per motivi ideologici.

Grazie a questa mostra, la drammatica eredità odierna permette di spalancare gli occhi e condannare la povertà culturale di quella che oggi si definisce sinistra, impegnata più ad osservare il piccolo schermo che i grandi progetti. Nel bene e nel male, nessuno ha oggi la caratura di Togliatti: e tantissimi artisti, demotivati a causa della mancanza di una promessa politica più o meno realizzabile, al limite dell’utopia, abbandonano ogni impegno per dedicarsi a forme prive di contenuti, preferendo deboli estetismi. Il sacro fuoco è stato spento, e anche per questo adesso quel periodo viene “pienamente riscoperto nella sua importanza storico artistica prima all’estero, sia dalle grandi istituzioni museali che dal collezionismo internazionale, che nel nostro paese”, come sottolinea il direttore generale della Fondazione Strozzi Arturo Galansino.

E non sono da dimenticare i quattro film che verranno proiettati nelle serate di maggio, ogni lunedì, al cinema Odeon: Senso di Luchino Visconti, Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni, La decima vittima di Elio Petri e Teorema di Pierpaolo Pasolini. Una rassegna tutta da vedere, fino al prossimo 22 luglio.

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