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Italia crocevia dei traffici di armi del regime iraniano, la “porta di ingresso” di Teheran in Europa

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Era il 2013 quando, incontrando Emma Bonino a Teheran, il presidente iraniano Rouhani disse di vedere nell’Italia la “porta di ingresso” dell’Iran in Europa. Quella frase passò quasi inosservata, anche se a distanza di anni, e mettendo insieme i pezzi, si può facilmente verificare come fosse da prendere molto sul serio.

In questi anni, infatti, se è vero che per un verso il regime iraniano ha fallito nello sviluppare le relazioni ufficiali economico-politiche con l’Italia (grazie alle sanzioni Usa), per altro verso ha fatto del nostro Paese un crocevia per i suoi traffici illegali. Solo negli ultimi mesi, una serie di fatti, anche riportati dalla stampa, ha rivelato tutta la pericolosità del regime di Teheran per l’Italia e l’Europa.

Il primo, una denuncia del responsabile anti-terrorismo del Dipartimento di Stato americano, ambasciatore Nathan Sales. Come si ricorderà – dopo le esplosioni di Beirut – Sales ha denunciato la presenza di depositi di nitrato di ammonio e armi di Hezbollah anche in territorio europeo. Tra i Paesi menzionati, anche l’Italia.

Rispondendo ad una interrogazione parlamentare in merito, presentata dal deputato Giorgo Mulè (Forza Italia), il vice ministro degli esteri Marina Sereni non solo ha messo nero su bianco l’indisponibilità italiana a inserire tutto Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche, ma ha anche dichiarato vagamente che in merito alle denunce fatte dall’ambasciatore Sales, “l’operato di Hezbollah rimane attentamente e costantemente monitorato”. Una risposta vaga, ma che soprattutto non smentisce l’uso da parte di Hezbollah del territorio italiano per fini eversivi e terroristici.

Andiamo avanti: ad oggi ancora nessuno del governo italiano si è degnato di fornire delucidazioni in merito alla notizia uscita su Forbes della presenza di un mini sommergibile italiano in un porto del Venezuela. La questione riguarda direttamente il regime iraniano, perché Teheran e Caracas sono la stessa cosa quando si tratta di traffici di armamenti e di droga. Per la cronaca, il sottomarino avvistato a Puerto Cabello era un Vas 525, disegnato dalla GSE di Trieste e usato in passato anche dal reparto speciale della marina Comsubin.

Infine, arriviamo a questi ultimi giorni: in due articoli molto puntuali, Il Messaggero ha riportato la notizia dell’uccisione a Formello – vicino Roma – di un iraniano di nome Said Ansary Firouz, 68 anni, figlio di un ex ambasciatore iraniano in Italia ai tempi dello Shah.

Firouz ufficialmente era un venditore di auto d’epoca, ma parallelamente era un agente dell’intelligence iraniana, impegnato nel traffico di armi tra Roma e Teheran. Secondo un articolo pubblicato su Il Messaggero da Giuseppe Scarpa, il 23 ottobre scorso, Firouz avrebbe dovuto esportare a Teheran drone e materiale bellico per un valore di 300 milioni di euro. A tale scopo, aveva organizzato incontri con rappresentanti iraniani e italiani tra Londra e Roma, usando in particolare come luogo dell’incontro l’Hotel degli Aranci ai Parioli. Per l’Italia, la compagnia che Firouz aveva trovato per il suo traffico illegale era la Flytop di Giuseppe Santiccioli, che si era detto disponibile ad inviare droni in Iran, probabilmente facendo passare il materiale bellico dall’Armenia. Droni, per la cronaca, capaci di sganciare bombe GBU-44/Viber Strike. Fortunatamente, complimenti a loro, i ROS dei Carabinieri erano intervenuti subito, bloccando il traffico illegale alla radice e mettendo Firouz e altre 9 persone sotto inchiesta.

Da non dimenticare che, nel 2010, proprio con l’accusa di traffico di armi illegale con l’Iran fu arrestato Hamid Masoumi Nejad, inviato della tv di Stato della Repubblica Islamica, accusato di aver provato ad esportare nel suo Paese materiale dual use per fini bellici. L’inchiesta si chiamava “Operazione Sniper” ed era guidata dal procuratore Armando Spataro. La notizia dell’arresto di Masoumi Nejad non fu presa bene da Teheran, che decise di protestare ufficialmente convocando l’allora ambasciatore italiano Bradanini. Nel 2018, diversi degli imputati (due italiani e un iraniano) per l’Operazione Sniper furono condannati a 4 anni di reclusione. Evidentemente gli arresti compiuti dalla Guardia di Finanza nel 2010 erano fondati…

In conclusione, questi fatti dimostrano nuovamente come il regime iraniano sia un pericolo reale e concreto per la sicurezza nazionale italiana – e non solo. Dimostrano anche come l’affermazione di Rouhani – “Italia porta di ingresso dell’Iran in Europa” – avrebbe dovuto essere recepita dai rappresentanti politici italiani più che come un complimento, come una minaccia… L’appeasement degli ultimi governi verso Teheran è stato usato dagli ayatollah non per promuovere la pace, ma per usare (e se serve colpire) l’Occidente direttamente, sfruttando la compiacenza di chi in buona o cattiva fede – su questo non entriamo – ha seriamente pensato che fosse possibile instaurare un rapporto diplomatico “normale” con un regime primo al mondo per finanziamento al terrorismo internazionale.

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