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Italia un barile di polvere da sparo: anche i commentatori eurolirici costretti al bagno di realtà

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Va svanendo la favola del Recovery Fund, incombe la fine degli acquisti di Bce e il centrodestra ragiona come se il 2011 non fosse mai esistito

Il governo ha presentato la Nadef, che prevede un debito pubblico ancora al 152 per cento del Pil nel 2023, a seguito di una crescita impetuosa nei tre anni che vengono (“l’intera traiettoria calante prevista per il debito si basa sull’aspettativa di una crescita reale e nominale più 6 per cento nel 2021, più 3,8 per cento nel 2022, più 2,5 per cento nel 2023”). Previsione accolte con freddezza dai commentatori: solo Cottarelli la giudica “ragionevole”, mentre Fubini la scudìscia (“nel 2021 può esserci in effetti un qualche rimbalzo automatico … Ma dopo il 2021 com’è possibile che l’Italia cresca in appena due anni quasi il doppio di quanto sia cresciuta negli ultimi venti?” “effetto soprannaturale”) e Münchau la scudìscia con lui (“this government projection is truly ahistorical”), Alessandro Barbera si limita a scrivere che “sono numeri terrificanti”.

Tutto ciò senza contare che i conti del governo ancora includono i mitici soldi del Recovery Fund: non più quelli a prestito, in quanto fanno “salire il debito”, bensì solo quelli “a fondo perduto”. Peccato che, questi ultimi, a fondo perduto non sono, sono fortemente condizionati e non è detto giungano mai. Tant’è che l’agenzia Fitch si rifiuta di computarli e che persino Barbera si accorge del fatto che siano fortemente condizionati (“l’Unione ci aspetta al varco. Per capirlo basta uscire dalla narrazione della pentola d’oro e leggere le condizioni alle quali l’Italia otterrà gli aiuti del Recovery Plan“) e del fatto che non è detto giungano mai (“nell’Olanda del falco Rutte, dove a marzo si vota per le politiche”, “prima di marzo impossibile fare previsioni certe”); mentre occorre leggere Liturri su La Verità, per sapere che a fondo perduto non sono, causa reticenza estrema dei Paesi del Nord Europa ad accordare a Bruxelles il prelievo di tasse unionali. Anche tacendo del fatto che tali Paesi, tre mesi dopo il vertice di luglio, sono riusciti ad incancrenire la trattativa al Parlamento europeo: rifiutando risorse ai tradizionali programmi di spesa europei, nonché pretendendo di punire Ungheria e Polonia. La situazione è grave, se Verderami mette in bocca a Mattarella una inversione ad U, da araldo del Recovery Fund a scettico de “l’idea che sull’Italia stava per cadere una pioggia di miliardi”.

Ammette Cottarelli: “insomma, è chiaro che contiamo sul fatto che, anche al di là dell’emergenza immediata, la nostra possibilità di fare debito sia molto più alta che in passato”; Fubini è più tranchant: “si direbbe piuttosto che il governo abbia scelto per gli anni post Covid una linea di disavanzo supplementare permanente finanziata con impatti di crescita immaginari. Salvo non dirci che accadrebbe se questi impatti poi non dovessero verificarsi nella realtà”.

Pure l’ottimista Cottarelli impone due condizioni: che non giungano al potere “governi sovranisti” e che Bce continui a comprare Btp come prima del Covid non aveva fatto mai. La prima condizione parrebbe rispettata nel caso la Lega appoggi un governo Draghi (apparentemente di unione nazionale e senza nuove elezioni politiche), per il quale in tanti paiono affannarsi (Giorgetti, Crosetto, Mieli, Polito, Ruini, la moglie di Calderoli…).

La seconda condizione è ben più precaria: a fermare gli acquisti di Bce, Cottarelli teme unicamente un eventuale aumento dell’inflazione; Münchau aggiunge l’effetto già acquisito della sentenza di Karlsruhe (se la Germania tornasse al pareggio di bilancio, Bce dovrebbe rispettare le capital key e non potrebbe comprare altri Bund, quindi smettere di comprare pure Btp e ciò pure se la vicenda di Karlsruhe fosse già chiusa, il che invece non è); Fubini, circa l’attuale sostegno eccezionale di Bce, si limita ad annotare, “non è affatto scontato, ad oggi, che duri molto oltre giugno prossimo”; e così pure Barbera, “il meccanismo è in piedi fino a giugno del 2021, poi si vedrà”.

E come si farà, senza Bce? Cottarelli pudicamente auspica che utilizzeremo “al meglio le risorse ora disponibili per aumentare al più presto la capacità di crescita di medio termine dell’Italia”, Fubini gli risponde che tali riforme “non si vedono bene all’orizzonte”; ma entrambi fanno finta di ignorare che tali riforme avrebbero sulla crescita di breve-medio periodo un impatto recessivo, come squadernato ieri da Visco sul Corriere allorché egli pretende “un avanzo primario almeno dell’1,5 per cento del Pil” e, all’uopo, definisce “sanità, istruzione, ricerca” non come dei “beni pubblici essenziali” bensì come dei meri “servizi”. Münchau si limita ad annotare che “maybe Italy will go for a low-condition ESM loan” e così pure Barbera; ma noi già sappiamo che il Mes-Sanitario implica un Full-Mes, cioè la Troika e sappiamo che la Troika esigerebbe quelle riforme ad impatto recessivo e, in cambio, offrirebbe un sostegno accessorio di Bce, detto OMT, ben più limitato dei programmi in corso … tant’è che Draghi non vuole la Troika.

Siamo nei guai e senza soluzioni.


Se ne accorge il professor Orsina, il quale giudica la partita del governo come una “missione impossibile” e che, per conseguenza, l’opposizione di destra abbia la strada spianata: “per l’opposizione di destra-centro la sfida non sarebbe quella di trovare spazi: ce ne sarebbero fin troppi”. Ma per fare che? “Mettere insieme il portafoglio dei produttori con le emozioni di un popolino ombroso e diffidente”, come aveva fatto … Berlusconi: “questa è la sfida della destra italiana, oggi come ieri. Ieri però la destra era guidata da un fuoriclasse della seduzione”. Tale pare essere pure il pensiero di Marcello Pera, il quale usa la minaccia della Troika (“attenti ad abituarsi al sussidio europeo … un giorno finirà … A quel punto le condizionalità saranno obiettive. Ci chiederanno: come vi siete aiutati?”), per invitare la destra a fare “come fece Forza Italia”. Come se l’anno 2011 non fosse mai esistito.

Invece è esistito: nel 2011 Berlusconi, con un deficit ed un debito pubblico che impallidiscono al confronto con gli attuali, si infranse contro il mancato supporto di Bce. Prima ancora sono esistiti pure il 1994, il 2001, il 2008, quando il quadro europeo impedì a Berlusconi di abbassare le tasse come avrebbe tanto voluto. A dirla tutta, è esistito pure il 2012, anno nel quale Monti agonizzò, finché non venne a salvarlo il supporto di Bce. Orsina se ne accorge e conclude cupo: “oggi le condizioni del Paese sono molto, ma molto più deteriorate”, sicché, per la destra, “incanalare la rabbia e la paura in un progetto di governo rappresenterebbe a quel punto una missione quasi impossibile”. Con tanto saluti a Giorgetti, Crosetto e compagnia.

Di nuovo, siamo nei guai e senza soluzioni.


Insomma, l’Italia è un barile di polvere da sparo, ormai tutti lo scrivono. I Nord Europei non sono disposti a cedere, ultima testimone la triste agonia del Recovery Fund: solo, hanno concesso a Bce un ultimo giro di giostra. Auspicabile sarebbe una strategia italiana, diversa dalla minaccia di farsi esplodere, ma non se ne vede l’ombra. Speriamo si tratti di un segreto di Stato molto ben celato: se di Stato italiano o di Stato tedesco, non sapremmo dire, ma la suspence non è destinata a durare all’infinito.

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