Il 22 marzo scorso il presidente USA Donald Trump ha optato per sostituire H. R. McMaster con John Bolton nella posizione di National Security Advisor. Le reazioni abbastanza polarizzate di fronte alla nomina erano prevedibili data la natura divisiva del personaggio. A lungo impegnato in posizioni governative, Bolton si è sempre distinto per una retorica priva di mezze misure. Infatti, nonostante gli impieghi burocratici prima e la presenza mediatica poi – negli anni scorsi è stato spesso ospitato da Fox News e su importanti testate americane – il nuovo NSA non ha mai nascosto le sue idee decise in politica estera. Il suo approccio, a cavallo tra il conservatorismo reaganiano e il jacksonismo, viene generalmente riassunto con l’appellativo di “falco” o, in modo dispregiativo, di guerrafondaio – senza arrivare a quelli che, francamente, possono essere classificati solo come vaneggi gratuiti e decisamente offensivi (Vittorio Zucconi su La Repubblica).
Passando oltre un certo facile giornalismo, comunque, restano da comprendere le ragioni di tale scelta. Abbastanza semplice è escluderne almeno un paio emerse sui media. La prima vede la decisione come risposta alla posizione dura tenuta da McMaster nei confronti della Russia. Spiegazione simile è stata data anche per la sostituzione di Tillerson con Pompeo. In ambedue i casi non ha alcun fondamento. Sia Bolton che Pompeo, infatti, sono più duri dei loro predecessori sulle attività di Mosca. Bolton, in particolare, non si è fatto scrupoli, ad esempio, nel dichiarare che gli Stati Uniti avrebbero dovuto “make the Russians feel pain” in risposta alle interferenze russe nelle elezioni americane, magari attraverso una rappresaglia cyber più che proporzionale. Non basta, inoltre – ed è la seconda spiegazione emersa – dire che Donald Trump, dato il suo carattere focoso, non sopporterebbe chi non sposa in toto la sua visione del mondo. Tale interpretazione semplicistica, infatti, potrebbe essere utilizzata per numerosi casi di dimissioni indotte o licenziamenti legati ad amministrazioni precedenti. Indubbiamente il temperamento di Trump pesa ma non è la sola – né la principale – causa per i numerosi cambi ai quali abbiamo assistito negli scorsi mesi. Del resto, il tycoon è in disaccordo anche con alcune posizioni boltoniane: guerra in Iraq, impegno americano nel mondo, difesa della NATO, posizione molto dura su Russia e Putin. Secondo tale interpretazione, dunque, il presidente americano non avrebbe dovuto scegliere Bolton – addirittura qualcuno ha sostenuto che la nomina di Bolton sarebbe in totale antitesi rispetto alle posizioni di politica estera sostenute da Trump in campagna elettorale.
Su molti altri temi, comunque, Trump e Bolton sono allineati, Corea del Nord e Iran sopra tutti. E, probabilmente, Trump avrebbe nominato prima Bolton, se non fosse stato per pressioni e suggerimenti in senso differente. Ad esempio, Bolton era quotato per diventare segretario di Stato: data la difficoltà che avrebbe avuto ad essere confermato al Senato alla fine la scelta cadde su Tillerson. Anche al momento della nomina di McMaster come nuovo National Security Advisor il nome di Bolton era tra i finalisti. Alla fine, seguendo anche il consiglio di alcuni membri del congresso stimati da Trump (Tom Cotton in primis), venne selezionato il generale. Già da mesi, comunque, il presidente americano non sembrava essere a suo agio con McMaster che, da parte sua, non è mai riuscito ad entrare in sintonia con Trump. I rapporti con Bolton, invece, sono rimasti molto buoni – nonostante, secondo indiscrezioni, Trump non gradirebbe i folti e iconici baffi boltoniani e ciò avrebbe avuto un peso sulle scelte passate.
Resta la domanda, perché ora? Nei prossimi mesi l’amministrazione americana sarà impegnata su numerosi fronti rilevanti: possibile trattativa con il leader nordcoreano Kim Jong-Un, decisione in merito al futuro dell’Iran Deal, presentazione del piano di pace per la Terrasanta, gestione dello scontro commerciale con Cina e altri attori, possibili sviluppi nella relazione con la Russia. In queste e altre partite cruciali Donald Trump vuole essere sicuro di avere al suo fianco un National Security Advisor che condivide la sua filosofia di fondo e, soprattutto, che ha un approccio simile al suo e ne capisce la tattica negoziale. Ciò, come detto sopra, non significa volere persone che condividano in toto le sue idee – sulla questione delle relazioni con la Russia, come già detto, il disaccordo potrebbe essere importante – ma persone che una volta presa una decisione sappiano guidare la burocrazia nel miglior modo verso l’esecuzione della stessa. Questa è una dote che a Bolton, per decenni nei gangli statali, non manca. In particolare, Trump – come lo stesso Bush junior prima di lui – non si è trovato molto a suo agio con una burocrazia poco incline a implementare alla lettera le innovazioni da lui richieste o a perseguire con vigore la politica estera da lui immaginata. La scelta di John Bolton è da inquadrare anche in questo contesto, data l’attitudine del nuovo NSA a vedere la burocrazia solo come esecutrice della volontà del presidente e non come un freno alla stessa. Il democratico Joe Biden, anni fa, disse a Bolton: “My problem with you, over the years, has been, you’re too competent. I mean, I would rather you be stupid and not very effective. I would have had a better shot over the years…”. Se ciò si confermerà vero nei prossimi mesi la scelta di Trump potrebbe dare i frutti sperati.
Infine, la fama di John Bolton – così come quella di Pompeo, nominato segretario di Stato poche settimane fa – è di essere decisamente duro contro gli avversari degli Stati Uniti. Bolton, avendo sostenuto il regime change sia nei confronti della leadership iraniana che di quella nordcoreana, ad esempio, costituisce una carta di indubbio valore nell’ottica trumpiana. Nel suo “The Art of the Deal” (1987), infatti, Trump illustra le regole da lui ritenute basilari per condurre un negoziato di successo. Una di esse è: “Usa la tua leva”. Bolton avrà anche questa funzione. Con la sua nomina, infatti, Iran, Corea del Nord e tutti gli avversari di Washington vengono messi sull’attenti. Kim Jong-Un, ad esempio, sa benissimo che difficilmente potrà bluffare ora che come National Security Advisor c’è John Bolton. Lo stesso vale per i leader iraniani: avendo sostenuto più volte uno strike alle installazioni nucleari di Teheran, Bolton difficilmente terrà una posizione conciliatoria. Le strade per ambedue i Paesi diventano quindi quasi biunivoche: arrivare a un compromesso o rischiare lo scontro militare. La minaccia, con John Bolton in uno dei posti chiave dell’amministrazione, è credibile. A proposito, un paio di dichiarazioni a metà strada tra il serio e il faceto sono illuminanti. Qualche anno fa il senatore Jesse Helms disse di Bolton che è “the kind of man I would like to stand with at Armageddon”; il segretario alla difesa James Mattis, con una sfumatura simile e con la nota di umorismo che lo contraddistingue, ha incontrato pochi giorni fa Bolton e lo ha accolto dicendo: “I’ve heard that you’re actually the devil incarnate and I wanted to meet you”. Trump, dunque, ha messo le sue pedine in posizione: ora non resta che attendere sviluppi e contromosse.