Jordan Peterson: il politically correct fa un’altra vittima. A Cambridge

4.1k 0
generica_porro_1-1200

L’allontanamento di Jordan Peterson dall’università di Cambridge segna un altro trionfo del politicamente corretto e del suo autoritarismo. Peterson, professore di psicologia all’università di Toronto, aveva ricevuto dall’ateneo inglese un’offerta per una visiting fellowship. Offerta che gli è stata revocata qualche giorno fa perché, dopo un esame approfondito dei suoi scritti e delle sue dichiarazioni, risulta persona sgradita. I suoi libri, la sua produzione scientifica e i suoi tanti interventi pubblici non si adattano ai canoni del politicamente corretto. Come emerge da una dichiarazione rilasciata da un portavoce dell’università: “Cambridge is an inclusive environment and we expect all our staff and visitors to uphold our principles. There is no place here for anyone who cannot”. Peterson, a causa dell’opposizione all’ideologia politicalcorretista, è stato identificato come un nemico ed è stato allontanato dall’ateneo. Il rifiuto dell’uso di pronomi neutri e le critiche al cosiddetto white privilege gli sono stati fatali.

Sembra assurdo che un’università che si richiama a valori quali l’uguaglianza, l’inclusione e la diversità possa giungere ad un atto del genere. Ci si stupisce meno se si analizzano in modo più approfondito le modalità con cui opera il politicamente corretto. In esso il binomio uguaglianza e inclusione, che dovrebbe promuovere e incoraggiare la diversità, vale solo per un certo tipo di diversità. Vale per le diversità relative agli orientamenti sessuali e di genere, per le diversità etniche e per alcune diversità culturali (il multiculturalismo). Non si applica invece a tutti coloro che osano discutere e criticare i principi e le basi teoriche che fondano il politicamente corretto. Per questi soggetti valgono invece la discriminazione e l’esclusione, che comportano una disuguaglianza di fatto. Il trinomio su cui si fonda il politicamente corretto è dunque una facciata dietro la quale si nasconde una nuova forma di autoritarismo intellettuale e morale. Le tre parole che risuonano in ogni campus americano non sono affatto impegno. Non implicano cioè un’azione che le faccia rispettare e le renda operative. Sono un’ottima maschera dietro cui si nasconde l’intolleranza verso il pensiero non progressista. Le università grazie a questi meccanismi, da luoghi deputati alla formazione e alla libera discussione, si stanno trasformando in parrocchie laiche in cui vige il più ferreo dogmatismo. Luoghi in cui, fa male dirlo, si sta perdendo la libertà di parola e di manifestazione e in cui si sta affermando una nuova forma di repressione. Poco visibile, non violenta, ma subdola e psicologica che costringe tanti studenti e docenti al silenzio. E allora la cacciata di Peterson, le discriminazioni subite da associazioni studentesche pro-life e da tutti coloro che non promuovono il femminismo radicale e non abbracciano le lotte LGBT diventano più chiare. E soprattutto smettono di sorprendere.

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version