Il caso Boris Johnson un pericoloso precedente. Hai detto una panzana e hai vinto? Le tue balle sono state digerite meglio delle mie? Bene, ti denuncio.
Gli inglesi la chiamano judicialisation of politics, variante d’Oltremanica della nostrana “politicizzazione della giustizia”, ma il concetto è sempre quello: può la lotta politica essere condotta principalmente da tribunali e indagini?
L’ultimo caso è emblematico. Boris Johnson, uno dei leader della Brexit del 2016, è stato citato in tribunale per avere mentito in campagna elettorale sull’entità della cifra che ogni settimana Il Regno Unito inviava a Bruxelles da un giovane imprenditore di 29 anni, Marcus Ball. “Condotta scorretta” l’accusa per BoJo, che sarà tenuto a presenziare a un’udienza preliminare del caso che lo riguarda proprio nel momento in cui starà affilando i coltelli per diventare leader dei Tories, e, di conseguenza, primo ministro.
Nella speranza che la coincidenza dei fatti sia puramente casuale, l’idea che ci sia un tribunale che indaghi sulla veridicità delle affermazioni dei politici in campagna elettorale dovrebbe far rabbrividire, invece che essere accolta da grida di giubilo. Nel corso degli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative di fact checking da parte di centri studi universitari, think tanks e giovani giornalisti per rendere i politici più accountable riguardo promesse e dichiarazioni fatte durante le campagne elettorali.
Tutte iniziative lodevoli che hanno lo scopo di informare i cittadini-elettori che vogliono saperne di più su quanto sentono. Ma rendere materia di cronaca giudiziaria una delle tanti affermazioni strampalate che si sentono in tv e nei comizi elettorali equivarrebbe a costituire, de facto, un orwelliano Ministero della Verità presieduto da un Comitato di Sanità Pubblica che sceglie al posto nostro da chi vuole essere rappresentato. Sarebbe l’invasione suprema del potere giudiziario su quello rappresentativo-popolare, un’aberrazione che ricorderebbe i tribunali speciali e la caccia alle streghe. Fa tristezza pensare che siano in tanti a volere ancora usare uno strumento – quello delle inchieste – che, negli anni, oltre ad avere dimostrato la sua totale inefficacia come arma elettorale, avvicina i sistemi politici in cui prospera più al peronismo che non alla vituperata democrazia liberale, ormai attaccata su più fronti.
Non è un caso che questa battaglia sui politici bugiardi si affianchi a quella, altrettanto preoccupante, sulle fake news. Intendiamoci. Inventarsi di sana pianta notizie false allo scopo di determinare in qualche modo un sentimento popolare favorevole verso alcune cause è il contrario di quanto prescrive la deontologia professionale dei giornalisti. Ma, allo stesso modo, opporre alle bufale le cosiddette “verità” di un’informazione ufficiale dovrebbe mettere in guardia tutti gli amanti della libera stampa sui rischi di una Pravda ormai fuori dal tempo. Inoltre, a qualcuno potrebbe venir voglia di indagare quanto la “verità” della stampa autorevole sia veritiera…
Il caso Johnson è solo l’ultimo esempio dell’abdicazione totale della politica alle carte bollate, agli avvocati, ai tribunali. Hai detto una panzana e hai vinto? Le tue balle sono state digerite meglio delle mie? Bene, ti denuncio. Durante la campagna per la Brexit, l’allora primo ministro David Cameron disse che “se il Regno Unito fosse uscito dall’Ue sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale”. Si aprano le porte del tribunale!
In fondo, il continuo rivolgersi al potere giudiziario e ad autorità terze non è altro che il sintomo di un male sempre più metastatizzato nelle nostre democrazie: quello della sfiducia nella libera scelta e nella libertà. Un lettore ha diritto di informarsi dove preferisce. Un elettore di votare chi gli pare e piace, senza che nessuno stia a sindacare le sue motivazioni. Se ci si astraesse dalla battaglia politica a tutto campo e si ritornasse a far valere questi principi sarebbe tutto più facile. Non trovate?